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Guida in stato di ebbrezza: bere dopo l’incidente?

Un motociclista, condannato per guida in stato di ebbrezza con l’aggravante di aver causato un incidente notturno, ha fatto ricorso sostenendo di aver bevuto solo dopo il sinistro. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando la versione difensiva implausibile e confermando la condanna. L’ordinanza sottolinea come il tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti sia inammissibile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Guida in stato di ebbrezza: la tesi del ‘bere dopo l’incidente’ non convince la Cassazione

Il reato di guida in stato di ebbrezza continua ad essere al centro di numerosi casi giudiziari, spesso caratterizzati da complesse ricostruzioni dei fatti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso emblematico, in cui un motociclista, condannato per essersi messo al volante con un tasso alcolemico superiore al consentito e aver causato un incidente, ha tentato una difesa tanto comune quanto difficile da provare: sostenere di aver assunto alcolici solo dopo il sinistro. Analizziamo la decisione della Suprema Corte e le sue implicazioni.

Il caso: incidente notturno e accusa di guida in stato di ebbrezza

Un motociclista veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 186 del Codice della Strada. Gli veniva contestato di aver guidato il proprio veicolo in stato di ebbrezza, con un tasso alcolemico di 1,10 g/l, e di averlo fatto con le aggravanti di aver provocato un incidente stradale e di aver commesso il fatto in orario notturno (tra le 22:00 e le 7:00).

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso per cassazione, lamentando una presunta contraddittorietà e illogicità nella motivazione della sentenza d’appello.

La strategia difensiva e i motivi del ricorso

Il punto centrale della difesa si basava su una precisa linea temporale. L’incidente si sarebbe verificato tra le 3:00 e le 3:45 di notte, mentre il fermo da parte delle forze dell’ordine e il successivo trasporto in ospedale sarebbero avvenuti intorno alle 4:00. Il prelievo ematico, che ha accertato il tasso alcolemico, è stato effettuato solo verso le 5:00.

Secondo il ricorrente, questi elementi non erano sufficienti a dimostrare che egli fosse ubriaco al momento della guida, un’ora o due prima del test. La tesi difensiva era netta: l’assunzione di una bevanda alcolica sarebbe avvenuta solo dopo l’incidente e prima dell’arrivo dei soccorsi. Di conseguenza, lo stato di ebbrezza palese (alito vinoso, eloquio confuso) riscontrato dalla Polizia Locale e la successiva curva alcolemica non sarebbero stati prova della sua colpevolezza al momento della guida.

I limiti del giudizio di Cassazione in tema di Guida in stato di ebbrezza

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale. Il giudizio di legittimità, quale è quello della Cassazione, non è una terza istanza di giudizio sui fatti. Il suo compito non è rivalutare le prove (come la testimonianza di un agente o l’orario di un prelievo), ma verificare che la decisione dei giudici di merito sia stata presa rispettando le norme e con una motivazione logica, coerente e non contraddittoria.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il ricorso non sollevasse reali vizi di legittimità, ma mirasse, in modo neanche troppo velato, a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, cosa non consentita in quella sede. Le censure proposte sono state qualificate come ‘mere doglianze in punto di fatto’.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello pienamente congrua ed esente da vizi. In particolare, è stata sottolineata l’inverosimiglianza della versione difensiva. Un elemento decisivo è stato il fatto che l’imputato non avesse mai accennato, al cospetto degli agenti intervenuti, di aver bevuto dopo l’incidente. Questo silenzio è stato interpretato come un indizio della tardiva costruzione di una linea difensiva.

Inoltre, i giudici hanno dato peso alla testimonianza di un operante della Polizia Locale, il quale aveva riferito in udienza che l’imputato mostrava un alito vinoso e aveva fornito ‘due o tre spiegazioni’ sulla dinamica dell’incidente che ‘non convincevano’ e ‘non avevano nessuna evidenza’. Questi elementi, valutati nel loro complesso dai giudici di merito, sono stati ritenuti sufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza, superando la tesi difensiva dell’assunzione postuma di alcol.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. Il primo, di carattere processuale, è la conferma che il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per rimettere in discussione l’apprezzamento delle prove fatto nei gradi di merito, a meno che non emerga un vizio logico macroscopico. Il secondo, relativo al merito della questione, evidenzia come la tesi del ‘bere dopo l’incidente’ sia estremamente difficile da sostenere se non è supportata da elementi concreti e, soprattutto, se non è stata immediatamente rappresentata alle autorità intervenute. La coerenza del comportamento e delle dichiarazioni dell’imputato fin dai primi istanti si rivela, ancora una volta, un fattore cruciale nel processo penale.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione valuta solo la corretta applicazione delle leggi (giudizio di legittimità) e non può riesaminare i fatti o le prove (giudizio di merito). Come stabilito nell’ordinanza, tentare di ottenere una diversa valutazione delle risultanze processuali rende il ricorso inammissibile.

Sostenere di aver bevuto alcolici dopo un incidente, e non prima di mettersi alla guida, è una difesa efficace?
Secondo questa ordinanza, tale difesa è stata giudicata ‘inverosimile’ e inefficace, specialmente perché l’imputato non l’aveva mai menzionata agli agenti intervenuti sul posto. La Corte ha ritenuto più credibili gli elementi raccolti nell’immediatezza, come l’alito vinoso e le dichiarazioni confuse dell’imputato.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, se non vi è assenza di colpa, al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso per un importo di 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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