Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23310 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23310 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BIBBIENA il 21/03/1997
avverso la sentenza del 25/06/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 giugno 2024 la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia del Tribunale di Arezzo del 28 novembre 2022 con cui COGNOME NOME era stato condannato alla pena di anni uno di arresto ed euro 3.000,00 di ammenda, con la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in ordine al reato di cui all’art. 186, commi 1, 2 lett. c), bis e 2-sexies, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, commesso il 14 giugno 2020, per essersi posto alla guida di un’autovettura in stato di ebbrezza in conseguenza dell’assunzione di bevande alcoliche, con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/I (pari a 1,72 g/l), con l’aggravante di aver provocato un incidente stradale e di aver circolato in orario notturno.
Avverso l’indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, proponendo cinque motivi di doglianza.
Con il primo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 356 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen., lamentando l’omesso avviso in suo favore della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, con conseguente nullità procedimentale e inutilizzabilità dei risultati scaturiti dalle svolte analisi ospedaliere.
Il ricorrente contesta la motivazione con cui la Corte territoriale ha escluso l’intervenuta violazione dell’onere previsto dall’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. basandosi sull’erroneo presupposto per cui, risultando controfirmati da lui i verbali di accertamenti urgenti redatti dalla P.G. – in cui era stata data indicazione dell’avvenuta effettuazione dell’avviso -, avrebbe effettivamente ricevuto l’avviso di farsi assistere da un difensore di fiducia al momento dell’espletamento degli atti urgenti volti a verificare l’entità del tasso alcolemico presente nel sangue.
In realtà, l’indicazione di effettuazione di tale avviso riguarderebbe il solo verbale di accertamenti urgenti concernente la prova etilometrica e non già quello inerente al successivo prelievo ematico presso la sede ospedaliera, rispetto al quale all’imputato, che pure aveva espresso il consenso a sottoporsi a tale analisi, non sarebbe stato formulato nessuno specifico avviso ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen.
Non vi sarebbe stata, pertanto, corrispondenza tra il risultato probatorio posto a base della decisione e l’atto probatorio vero e proprio.
Con la seconda doglianza sono stati eccepiti travisamento probatorio e illogicità della motivazione in relazione alla violazione dei criteri sottesi al c. accertamento sintomatico.
A dire del ricorrente, infatti, l’inutilizzabilità dei risultati emersi dalle sv analisi ospedaliere avrebbe dovuto imporre ai giudici di merito di fondare il riconoscimento della sua responsabilità penale esclusivamente sul c.d. accertamento sintomatico, che tuttavia, nel caso in esame, non potrebbe consentire di ritenere comprovata l’effettiva presenza nella sua persona di uno stato di ebbrezza, avendo gli operanti indicato solo sintomi stereotipati ed enfatizzati, non direttamente riferibili all’assunzione di alcol ovvero imputabili a sinistro stradale poco prima avvenuto.
Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 186, comma 2-bis, cod. strada, oltre a carenza di motivazione in ordine all’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.
Nessuna argomentazione sarebbe stata espressa sul punto dalla Corte territoriale, peraltro non risultando neanche possibile stabilire, per le ragioni in precedenza indicate, che al momento dei fatti lui presentasse un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.
Con la quarta doglianza il ricorrente ha lamentato inosservanza ed erronea applicazione di legge, nonché travisamento della prova in ordine al disposto riconoscimento della circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale, per esserne stata fondata la relativa ricorrenza sulla sola concentrazione di etanolo presente nel sangue, invero erroneamente accertata mediante l’espletamento di analisi ospedaliere non utilizzabili.
Con la quinta censura il COGNOME ha eccepito inosservanza o erronea applicazione di legge in relazione all’art. 62-bis cod. pen., per non essergli state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, con motivazione erronea e incomprensibile, pur sussistendone i presupposti applicativi.
Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente ha dedotto inosservanza o erronea applicazione di legge, lamentando l’intervenuta prescrizione del reato, considerato che, trattandosi di contravvenzione, sarebbe già intervenuto il decorso del relativo termine massimo di cinque anni previsto dalla legge.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Del tutto privi di pregio sono, innanzi tutto, i due primi motivi di ricorso – invero trattabili congiuntamente – atteso che essi, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite con l’atto di appello, reiterano le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
2.1. In ogni modo, le doglianze con cui il COGNOME ha diffusamente eccepito vizi di legittimità circa le modalità con cui i giudici di appello hanno ritenut comprovato lo stato di ebbrezza da lui avuto al momento dei fatti – per essere stato accertato solo in virtù di un prelievo ematico ospedaliero nullo, in quanto effettuato senza il preventivo avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia – concerne aspetti di merito rispetto ai quali il ricorrente ha proposto solo un’alternativa rilettura in fatto delle emergenze processuali acquisite, a fronte di una motivazione della Corte di appello che ben individua
aspetti logici e congrui da cui evincere la ricorrenza dello stato di ebbrezza dell’imputato, e quindi della sua responsabilità penale. La Corte territoriale ha, infatti, congruamente evidenziato come: nel verbale di accertamenti urgenti per la verifica dello stato di alterazione conseguente alla presenza di alcol nel sangue, regolarmente sottoscritto dall’imputato, fosse stato dato atto di come l’imputato fosse stato informato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 356 cod. proc. pen.; il prevenuto fosse stato accompagnato con il suo consenso presso l’Ospedale di Bibbiena per effettuare il prelievo ematico; non risulti comprovato che il COGNOME non avesse ricevuto dai sanitari della struttura ospedaliera l’avviso orale della facoltà di farsi assistere d un difensore di fiducia.
Assume, conseguentemente, decisivo rilievo il principio, reiteratamente affermato da parte di questa Suprema Corte, per cui al giudice di legittimità è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga con motivazione logica e congrua, come effettuato nel caso di specie, le ragioni del proprio convincimento.
Stesso giudizio di manifesta infondatezza deve, conseguentemente, essere espresso anche con riguardo alle censure eccepite con il terzo e il quarto motivo di ricorso.
Priva di ogni fondamento, infatti, è la doglianza con cui il COGNOME ha eccepito violazione di legge e travisamento probatorio in ordine alle modalità con cui i giudici di merito hanno ritenuto di configurare l’aggravante prevista dall’art. 186, comma 2-bis, cod. strada, atteso che trattasi di censura unicamente relativa al merito rispetto alla quale il ricorrente si è limitato a proporre sol un’alternativa rilettura in fatto delle emergenze processuali acquisite, a fronte di una motivazione della Corte di appello che ben rappresenta aspetti logici e congrui da cui evincere la ricorrenza dell’ipotesi di incidente stradale provocato dallo stato di ebbrezza dell’imputato.
Allo stesso modo manifestamente infondata è anche la censura con cui il COGNOME ha lamentato l’illegittimità della decisione con cui i giudici di appello, senza esprimere argomentazione alcuna, hanno ritenuto di confermare la
disposta applicazione della sanzione amministrativa della revoca della patente di guida.
In realtà, ritenute comprovate – per tutte le ragioni in precedenza esposte sia la circostanza della presenza nel sangue dell’imputato di una concentrazione di etanolo superiore a 1,50 g/I che quella relativa all’intervenuta verificazione dell’incidente quale conseguenza del suo stato di ebbrezza, risulta assolutamente consequenziale e obbligatorio disporre l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, dovendo trovare applicazione la norma dell’art. 186, comma 2-bis, cod. strada, il cui dettato imperativo e cogente esonera il giudice dall’adempimento di ogni ulteriore specifico onere motivazionale sul punto.
Del tutto priva di pregio è, poi, la doglianza con cui il ricorrente ha lamentato la mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, ritenendosi adeguata e logica la motivazione con cui la Corte di appello ha ritenuto l’insussistenza di elementi idonei a consentirne il relativo riconoscimento.
La Corte di merito, in particolare, ha ritenuto di escludere la concessione di tale beneficio in ragione della mancata presenza nell’imputato di segni di resipiscenza, oltre che della consapevolezza del disvalore penale e sociale della sua condotta, tale da aver provocato una situazione di particolare allarme e pericolo.
Trattasi di argomentazioni che ben rappresentano e giustificano, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non sindacabile in questa sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419-01).
D’altro canto – in particolare dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. disposta dal d.l. 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modifiche dalla I. 24 luglio 2008, n. 125 – è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto, come avvenuto nella situazione in esame, di avere valutato e applicato i criteri ex art. 133 cod. pen. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da imporre un obbligo per il giudice, ove ritenga di escluderla, di
doverne giustificare, sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, è la
suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli
elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, tra le tante, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, COGNOME, Rv.
192381-01). In altri termini, l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle
condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez. 2, n. 38383
del 10/07/2009, COGNOME ed altro, Rv. 245241-01).
5. Con riferimento, infine, alla censura relativa all’intervenuta prescrizione del reato, assume dirimente rilievo osservare come per i fatti commessi a partire
dai 10 gennaio 2020 trovi applicazione il regime dell’improcedibilità, disciplinato dall’art. 344-bis cod. proc. pen., in virtù del quale, dal novantesimo giorno
successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen., la mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni e la mancata definizione del giudizio di cassazione entro quello di un anno costituiscono causa di improcedibilità dell’azione penale.
Escluso che tale ultimo termine sia comunque decorso nel caso in esame, risulta di palmare evidenza come l’invocata estinzione del reato conseguente all’applicazione del regime della prescrizione risulti, nella specie, del tutto inconferente e inappropriata.
Il ricorso deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2025
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