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Guida in stato di alterazione: lucidità non basta

Un automobilista, condannato per guida in stato di alterazione a seguito di un incidente, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che un esame medico, effettuato ore dopo, aveva attestato la sua lucidità. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che lo stato di lucidità successivo non è in contrasto con lo stato confusionale rilevato dagli agenti al momento del fatto, confermando così la condanna.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Guida in Stato di Alterazione: la Lucidità Successiva non Esclude la Colpa

La recente sentenza della Corte di Cassazione, numero 6268 del 2025, affronta un caso significativo di guida in stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di sostanze. Il punto cruciale della controversia riguarda il valore probatorio di una visita medica che attesta la lucidità del conducente a distanza di ore dall’incidente stradale da lui causato. La Suprema Corte offre chiarimenti importanti sulla prevalenza delle constatazioni effettuate nell’immediatezza del fatto rispetto agli accertamenti postumi.

I Fatti del Caso

Un automobilista veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’articolo 187 del Codice della Strada. L’accusa era di essersi messo al volante in stato di alterazione da sostanze psicotrope, causando un incidente stradale che coinvolgeva più veicoli. La Corte d’Appello, pur riducendo parzialmente la pena, confermava la responsabilità penale dell’imputato. La difesa, tuttavia, decideva di ricorrere in Cassazione, basando la propria strategia su due motivi principali.

I Motivi del Ricorso

Il ricorrente lamentava, in primo luogo, una violazione di legge procedurale. Sosteneva che la Corte d’Appello avesse fondato la sua decisione su testimonianze (di un agente di polizia e di un medico) che erano state assunte in un’udienza alla quale egli non aveva potuto partecipare a causa di un legittimo impedimento, trovandosi in stato di detenzione.

In secondo luogo, la difesa denunciava un vizio di motivazione e la violazione del principio “in dubio pro reo”. L’argomentazione centrale era che la condanna si basava su una valutazione illogica delle prove. In particolare, si evidenziava come una visita medica effettuata in ospedale, a seguito dell’incidente, avesse accertato una condizione di piena lucidità e coscienza dell’imputato. Questa prova scientifica, secondo il ricorrente, sarebbe stata ingiustamente svalutata dai giudici di merito, i quali avevano preferito dare peso alle impressioni soggettive degli agenti intervenuti, che descrivevano l’uomo in stato confusionale.

La Valutazione della Prova nella Guida in Stato di Alterazione

Il caso solleva una questione fondamentale: che peso ha l’accertamento medico effettuato a distanza di tempo rispetto alle testimonianze dirette raccolte al momento del fatto? La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse superato l’oggettività della visita medica con un ragionamento presuntivo, attribuendo la successiva lucidità alla breve emivita del farmaco assunto dall’imputato e al tempo trascorso. Questo, secondo il ricorrente, costituiva un’inversione dell’onere della prova, in contrasto con il principio del favor rei.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure.

Per quanto riguarda il primo motivo, relativo all’inutilizzabilità delle prove testimoniali, i giudici hanno ritenuto l’eccezione aspecifica e infondata. La sentenza impugnata, infatti, basava la ricostruzione dei fatti sulle dichiarazioni di entrambi gli agenti di polizia intervenuti, non solo su quella resa nell’udienza contestata. Riguardo alla testimonianza del medico, il ricorrente non aveva precisato a quale delle due audizioni (una delle quali era pienamente valida) si riferissero le dichiarazioni ritenute inutilizzabili, rendendo il motivo di ricorso generico.

Sul secondo e più sostanziale motivo, la Cassazione ha chiarito che non vi è alcuna contraddizione logica nella decisione della Corte d’Appello. La circostanza che l’imputato fosse risultato “lucido, vigile e ben orientato” alcune ore dopo l’incidente non è in contrasto con lo stato di confusione, manifestato con frasi sconnesse e occhi lucidi, riscontrato nell’immediatezza del fatto. La Corte sottolinea che la valutazione delle condizioni psicofisiche al momento della guida è l’elemento determinante. Tentare di introdurre in sede di legittimità una spiegazione alternativa per lo stato confusionale (come una caratteristica personale dell’imputato) equivale a una richiesta di riesame del merito, inammissibile in Cassazione.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: ai fini della configurabilità del reato di guida in stato di alterazione, ciò che conta è la condizione del conducente al momento del fatto. Le prove raccolte nell’immediatezza, come le testimonianze degli agenti operanti, assumono un valore probatorio preponderante. Un accertamento medico successivo che attesti la lucidità del soggetto non è, di per sé, sufficiente a smentire le prove dirette, specialmente quando può essere logicamente spiegato con il passare del tempo e l’esaurirsi dell’effetto delle sostanze assunte. La decisione conferma la solidità dell’impianto accusatorio basato sulle constatazioni dirette e la necessità, per la difesa, di formulare ricorsi specifici e non meramente incentrati su una rilettura alternativa dei fatti.

Una persona trovata lucida ore dopo un incidente può essere comunque condannata per guida in stato di alterazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la circostanza che una persona risulti lucida e orientata alcune ore dopo un fatto non è in contrasto con le prove che dimostrano uno stato di confusione e alterazione al momento dell’incidente, come testimoniato dagli agenti intervenuti.

Per contestare l’uso di una testimonianza in appello, cosa deve fare la difesa?
La difesa deve presentare un motivo di ricorso specifico e non generico. Nel caso esaminato, il ricorso è stato giudicato aspecifico perché non chiariva con precisione quali affermazioni, rese in quale udienza, si ritenessero inutilizzabili, soprattutto a fronte del fatto che un testimone era stato sentito in due diverse occasioni.

Cosa significa quando la Cassazione dichiara un ricorso inammissibile?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel merito perché privo dei requisiti formali o sostanziali richiesti dalla legge. Di conseguenza, la sentenza impugnata diventa definitiva e la condanna confermata. Il ricorrente viene inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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