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Guida in stato di alterazione: la prova oltre l’esame

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una conducente condannata per guida in stato di alterazione da alcol e stupefacenti. La Corte ha stabilito che la prova dello stato di alterazione non deriva solo dagli esami biologici, ma da un insieme di elementi indiziari, tra cui il comportamento del conducente (eloquio sconnesso), le dinamiche dell’incidente stradale causato e il valore significativo del test delle urine. Questo approccio combinato è stato ritenuto sufficiente per confermare la condanna.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Guida in Stato di Alterazione: Prova Sintomatica e Analisi delle Urine

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di guida in stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti. La prova della colpevolezza non si fonda esclusivamente sui risultati delle analisi biologiche, ma può essere validamente desunta da un complesso di elementi sintomatici e circostanziali. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Una conducente veniva condannata in primo e secondo grado per i reati di guida in stato di ebbrezza e in stato di alterazione da cannabinoidi, con l’aggravante di aver provocato un incidente stradale. La difesa della ricorrente ha presentato ricorso in Cassazione, contestando in particolare la condanna per la guida sotto l’effetto di stupefacenti (art. 187 del Codice della Strada). Il motivo principale del ricorso si basava sulla tesi che le analisi delle urine, pur positive, non fossero in grado di dimostrare con certezza che lo stato di alterazione fosse sussistente proprio al momento della guida, ma solo che vi fosse stata un’assunzione pregressa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi proposti non fossero altro che una riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. La decisione impugnata, secondo la Cassazione, aveva fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta, basata su una valutazione complessiva di tutti gli elementi probatori a disposizione.

Le Motivazioni: La Prova della Guida in Stato di Alterazione

Il cuore della decisione risiede nella metodologia utilizzata per accertare la guida in stato di alterazione. La Corte ha chiarito che, sebbene le analisi biologiche siano uno strumento importante, non rappresentano l’unica fonte di prova. La colpevolezza dell’imputata è stata confermata sulla base di una convergenza di più indizi gravi, precisi e concordanti.

Gli Indizi Sintomatici e Comportamentali

I giudici hanno valorizzato una serie di elementi fattuali che, nel loro insieme, dipingevano un quadro inequivocabile dello stato della conducente al momento del fatto:
1. La testimonianza dell’agente di Polizia Giudiziaria: L’agente intervenuto sul luogo dell’incidente aveva constatato un “palese stato di alterazione”, evidenziato in particolare dall’eloquio sconnesso della donna.
2. Le modalità del sinistro: L’incidente stesso era un chiaro indicatore. Il veicolo aveva urtato entrambi i lati della carreggiata, un comportamento che denotava una “evidente e grave disattenzione”, pienamente compatibile con una ridotta capacità di controllo del mezzo.

Il Valore delle Analisi Biologiche

Le analisi delle urine, che avevano rilevato la presenza di metaboliti dei cannabinoidi (THC-COOH), sono state considerate un tassello fondamentale che si integrava perfettamente con gli altri elementi. La Corte ha sottolineato due aspetti cruciali di tale accertamento:
1. Conferma di un’assunzione recente: Il test confermava un consumo non remoto di sostanze stupefacenti.
2. La significatività del dato: Il valore riscontrato era di 94, a fronte di un limite di “cut off” di 15. Un dato così elevato è stato ritenuto un ulteriore e robusto indizio a sostegno della tesi accusatoria.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’accertamento del reato di guida in stato di alterazione da stupefacenti non richiede necessariamente una “prova scientifica” che collochi temporalmente l’effetto della sostanza esattamente al momento della guida. La prova può legittimamente basarsi su un ragionamento inferenziale che prende in considerazione tutti gli indizi disponibili. Il comportamento del conducente, le circostanze del fatto e i dati clinici e strumentali, se letti congiuntamente, possono fornire una prova logica e completa della sussistenza del reato. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso, infine, ha comportato la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.

È sufficiente l’esito positivo delle analisi delle urine per una condanna per guida in stato di alterazione da stupefacenti?
No, secondo la Corte non è sufficiente da solo. L’esito positivo delle analisi deve essere corroborato da altri elementi, come il comportamento del conducente (es. eloquio sconnesso) e le modalità dell’incidente, che dimostrino un effettivo stato di alterazione psicofisica al momento della guida.

Quali elementi ha considerato la Corte per confermare lo stato di alterazione del conducente?
La Corte ha ritenuto provato lo stato di alterazione sulla base di un complesso di indizi: 1) la testimonianza dell’agente di polizia sullo stato confusionale e l’eloquio sconnesso della conducente; 2) le modalità del sinistro, che indicavano una grave disattenzione; 3) il risultato delle analisi delle urine che mostrava una recente assunzione di cannabinoidi; 4) il valore significativamente alto (94 su un cut-off di 15) rilevato nelle analisi.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la persona che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle Ammende, a meno che non si dimostri l’assenza di colpa nel determinare la causa di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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