Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35647 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35647 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME MONZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/01/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prova della condotta integrante il reato di cui all’art. 187 cod. strada. In particolare, censura la motivazione nella parte in cui ritiene l’esito positivo del prelievo ematico prova sufficiente di uno stato di alterazione al momento della guida e della causazione dell’incidente stradale, nella parte in cui dà atto del contrasto giurisprudenziale relativo agli indici sintomatici di alterazione e nella parte in cui ritiene pro lo stato di alterazione alla guida con le circostanze con cui è avvenuto il sinistro stradale. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimit perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il rico e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 3825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
La ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte territoriale correttamente rileva che, se è vero che, per costante giurisprudenza di legittimità, la condotta tipica del reato previsto dall’art. 187 cod. strada non è quella di chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato d’alterazione psicofisica determinato da tale assunzione, e che dunque, perché possa affermarsi la responsabilità dell’agente, non è sufficiente provare che precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida egli abbia assunto stupe-
facenti, ma altresì che egli guidava in stato d’alterazione causato da tale assunzione, è altrettanto vero che, per altrettanto costante orientamento giurisprudenziale, l’esame biologico che non è da solo sufficiente al fine è quello delle urine, giacché notoriamente i metaboliti della droga vi permangono per un tempo più lungo di quello che caratterizza l’effetto psicoattivo, mentre l’accertamento della presenza di sostanza stupefacente nel circolo ematico (valori uguali o eccedenti il cut off connotano lo stato di alterazione psicofisica: lo stesso referto in atti in calce contiene l’indicazione della compatibilità delle concentrazioni di principio attivo r scontrate nel sangue dell’imputata con “guida in stato di alterazione psicofisica”) consente di ritenere di per sé con certezza l’attualità degli effetti di alterazione.
Proprio la presenza del principio attivo nel circolo ematico al momento dell’incidente stradale ha, dunque, logicamente indotto i giudici del gravame del merito ad escludere la veridicità di quanto dall’imputata affermato in ottica difensiva ovvero di non avere assunto cocaina quel giorno. L’esame ematochimico è delle 15:58 del 03.02.2019: a quell’ora la COGNOME presentava 15 ng/ml di cocaina in circolo (cutoff 10 ng/ml). Corretto il rilievo che, poiché la cocaina rimane nel circol ematico mediamente per 12 ore dopo l’assunzione, questa sarebbe avvenuta al più alle 4 del mattino dello stesso 03.02.2019.
In proposito al sentenza impugnata si colloca nel solco dell’ormai consolidato recente orientamento (cfr. Sez. 4, n. 14919 del 21/03/2019, COGNOME, Rv. 275650 01 in motivazione, oltre che le recentissime Sez. 4 n. 3383 del 23/11/2023 dep. 2024, COGNOME, non mass., Sez. 4 n. 31514 del 19/4/2023, COGNOME, non mass. e Sez. 7 n. 10351 del 21/02/2014, COGNOME, non riass., Sez. 7 n. 23159 del 29/05/2024, COGNOME, non mass.), mentre gli accertamenti su campioni piliferi e sulle urine hanno una affidabilità limitata perché rilevano tracce di sostanze stupefacenti che restano depositate in tessuti e organi anche per un periodo di tempo prolungato, gli esami ematici hanno una affidabilità di gran lunga maggiore, rilevando la presenza di sostanze tossiche che, al momento dell’accertamento, per il fatto di essere in circolazione nel sangue, sono inevitabilmente destinate a raggiungere il cervello ed il sistema nervoso e, proprio per questo, sono suscettibili di alterare lo stato cognitivo e i riflessi del soggetto, per cui bastano da soli a ritenere lo stato di a razione (vedasi anche Sez. 4 n. 22587 del 18/04/2024, Equatore, non mass. in tema di omicidio stradale, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della guida in stato di alterazione da stupefacenti, ).. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sotto altro profilo, rileva la Corte territoriale che le modalità dell’incide stradale, in quanto dimostrative di una totale distrazione nella guida, depongono anch’esse per lo stato di alterazione. Secondo gli accertamenti eseguiti dalla polizia Locale di Milano l’imputata ha investito un pedone che stava attraversando sulle strisce pedonali; l’incidente si è verificato in INDIRIZZO, avente una carreggiata
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molto ampia, in piena mattinata, in condizioni di ottima visibilità e traffico scarso il testimone COGNOME NOME ha dichiarato agli operanti di non aver sentito alcun rumore di frenata prima del rumore dovuto all’impatto; la visione delle telecamere del supermercato RAGIONE_SOCIALE, ubicato proprio davanti all’attraversamento pedonale, ha rivelato che il pedone è stato investito quando si trovava a metà dell’attraversamento stesso, e dunque non era affatto, come dalla COGNOME sostenuto nell’immediatezza, appena “sbucato” da dietro le macchine in sosta, bensì era perfettamente visibile per le autovetture sopraggiungenti.
2.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, afferente al trattamento punitivo, laddove lo stesso appare sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Il ricorso, in particolare, non si confronta con l’ampia motivazione offerta a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche negate sul motivato rilievo che elementi favorevoli che possano essere concretamente valutati al fine.
La circostanza che l’imputata, dopo aver investito il pedone, si sia fermata, evitando di peggiorare la propria posizione commettendo il reato di cui all’art. 189 comma 6 cod. strada, non è stata logicamente ritenuta una ragione sufficiente per la concessione delle attenuanti generiche.
Inoltre, viene sottolineato che la COGNOME non è incensurata, ma è gravata da numerosi pregiudizi, in materia di stupefacenti ed anche per il reato di evasione.
Il provvedimento impugnato, dunque, appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’ solvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili d atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comu que rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (c Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il dinego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché a suo negativo comportamento processuale).
Né può porsi in questa sede – al di là della possibile applicazione o meno al caso in esame della c.d. riforma Orlando che, per tutti i reati commessi dopo la sua entrata in vigore (3 agosto 2017) e fino al 31 dicembre 2019 (data successivamente alla quale l’intera disciplina è stata innovata dalla legge 27 settembre 2021, n. 134) ha introdotto un termine di sospensione di diciotto mesi decorrente
dalla data del deposito della motivédione della sentenza di primo grado – la questione di un’eventuale declaratoria della p -escrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con I ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2024