Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44941 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44941 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato a Terracina il 14/02/1980
avverso l’ordinanza del 27/07/2023 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le richieste del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile; sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per il
ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, in funzione di Tribunale del riesame, ha integralmente confermato il decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola in data 6 marzo 2023, nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 644 e 56-629 cod. pen.
Ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME deducendo un unico motivo di impugnazione, con cui lamenta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, che l’attività perquirente fosse stata svolta anche presso il proprio studio legale, in violazione delle guarentigie in favore degli esercenti la professione forense e nonostante la mancanza di una formale iscrizione nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame non avrebbe offerto risposta alla memoria difensiva e si sarebbe limitato a motivare richiamando giurisprudenza non in termini con il caso di specie.
All’odierna udienza camerale, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
NOME COGNOME in primo luogo, Ł stato espressamente indicato dall’autorità inquirente come diretto e concreto destinatario dell’attività investigativa, quale partecipe dei delitti di usura e di tentata estorsione in concorso ai danni di NOME COGNOME con specifica descrizione delle condotte ascrittegli e puntuale precisazione delle cose, della documentazione e dei dispositivi da sottoporre a vincolo, poichØ strumentali rispetto all’accertamento dei suddetti reati.
Egli doveva, quindi, a tutti gli effetti, considerarsi indagato, rispetto a tali provvisorie contestazioni, e tale Ł stato esplicitamente ritenuto dal Tribunale del riesame.
La qualità di indagato, infatti, anche nell’ambito del procedimento di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo, deve essere valutata non secondo un criterio meramente formale, fondato sull’esistenza di una notitia criminis e sull’avvenuta iscrizione nominativa nel registro degli indagati, ma secondo quello sostanziale della qualità che il soggetto ha in concreto assunto, in base alla situazione esistente, anche eventualmente a prescindere dalle iniziative del pubblico ministero (Sez. 5, n. 20734 del 05/02/2016, COGNOME, Rv. 267286-01; in termini, in tema di prova dichiarativa, Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282030-01; Sez. 6, n. 25425 del 04/03/2020, COGNOME, Rv. 279606-01; Sez. 4, n. 48778 del 19/11/2019, COGNOME, Rv. 277401-01; cfr. anche Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584-01, secondo cui spetta comunque al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità).
Ciò premesso, occorre verificare se le speciali garanzie di libertà previste dall’art. 103 cod. proc. pen. restino escluse, qualora il professionista abbia assunto egli stesso la veste di indagato.
A suo tempo, la disciplina dei limiti all’attività di indagine nei confronti del difensore Ł stata affrontata, nei suoi profili generali, da Sez. U, Sentenza n. 25 del 12/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 195627-01, secondo cui le disposizioni a tutela dell’attività difensiva «vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengono eseguiti nell’ufficio di un professionista, iscritto all’albo degli avvocati e procuratori, che abbia assunto la difesa di assistiti, anche fuori del procedimento in cui l’attività di ricerca, perquisizione e sequestro viene compiuta».
3.1. Di recente, si Ł sottolineato come tale interpretazione rispondesse all’inderogabile esigenza di garantire il libero e ampio dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale, presidiato dall’art. 24 Cost., che sancisce la inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona, di modo che occorre affermare la necessaria estensione delle garanzie in tutti i casi in cui gli atti di indagine siano comunque eseguiti nell’ufficio di un professionista, iscritto all’albo degli avvocati, che abbia assunto la difesa di assistiti, anche fuori del procedimento in cui l’attività di ricerca, perquisizione e sequestro Ł compiuta (Sez. 2, n. 44892 del 25/10/2022, COGNOME, Rv. 283822-01; sostanzialmente conformi, Sez. 4, n. 23002 del 03/04/2014, COGNOME, Rv. 262235; Sez. 6, n. 20295 del 12/03/2001, COGNOME, Rv. 218841-01). Opera poi una attenta distinzione rispetto allo specifico atto investigativo intrapreso, in ossequio alla puntuale lettera codicistica, Sez. 2, n. 19255 del 30/03/2017, COGNOME Rv. 269660-01, evidenziando come, mentre per le perquisizioni e le ispezioni la garanzia in questione sia collegata all’esecuzione delle stesse presso gli uffici dei difensori, per i sequestri il divieto di acquisire documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato, sia collegato direttamente alle persone dei difensori, ai sensi del secondo comma del citato art. 103, in linea con quanto previsto anche dall’art. 4 della direttiva 2013/48/UE; ne deriva che il divieto opera anche quando l’attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dagli uffici
dei difensori. La successiva Sez. 5, n. 27988 del 21/09/2020, COGNOME, Rv. 280665-01 ha affermato che, in ogni caso, il sequestro di carte e documenti, anche relativi all’oggetto della difesa, presso lo studio del difensore indagato, Ł possibile, ex lege , solo qualora essi costituiscano corpo del reato. 3.2. L’indirizzo maggioritario, a cui il Collegio ritiene di aderire e di dare seguito, Ł, nondimeno, di avviso non completamente sovrapponibile a quello, pur variegato al suo interno, appena descritto, ogni qualvolta il professionista destinatario dell’attività inquirente sia egli stesso indagato.
Rappresenta certamente un punto fermo, nella giurisprudenza di legittimità, e in dottrina, che le guarentigie in questione sono apprestate a garanzia del diritto di difesa, onde prevenire il pericolo di abusive intrusioni nella sfera difensiva e tutelare il segreto professionale, non trattandosi di meri privilegi di categoria, ma del riflesso dell’inviolabilità del diritto di difesa costituzionalmente garantito (Sez. 2, n. 33617 del 31/05/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 27988 del 21/09/2020, COGNOME, Rv. 280665-01, in motivazione; Sez. 2, n. 19255 del 30/03/2017, COGNOME, Rv. 269660-01; Sez. 4, n. 23002 del 03/04/2014, COGNOME, Rv. 262235-01; Sez. 6, n. 20295 del 12/03/2001, COGNOME, Rv. 218841-01).
Sulla scorta di questa premessa, appare condivisibile – e privo di effettivo contrasto, nel caso di specie, con il risalente dictum delle Sezioni Unite, avuto riguardo alle peculiarità della vicenda storica e processuale, come meglio appresso specificate – l’orientamento che esclude le garanzie dell’art. 103 cod. proc. pen. al difensore (o all’investigatore privato) sottoposto ad indagini (Sez. 6, n. 14240 del 11/01/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831, in motivazione; Sez. 6, n. 8295 del 09/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275091-02; Sez. 6, n. 10893 del 16/10/2018, dep. 2019, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 32909 del 16/05/2012, Marsala, Rv. 253263-01; Sez. 5, n. 12155 del 05/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252147-01; Sez. 2, n. 6766 del 12/11/1998, COGNOME, Rv. 211914).
«La tesi che le guarentigie previste dall’art. 103 cod. proc. pen. riguardino, indiscriminatamente, ogni avvocato» afferma condivisibilmente Sez. 2, n. 31177 del 16/05/2006, COGNOME, Rv. 234858-01, «collide con vari principi ermeneutici di carattere letterale, sistematico e logico. Sotto il primo profilo, essa risolve la nozione di difensore – che Ł il vocabolo tecnico espressamente adottato dalla norma – in quella di avvocato: e da tale identificazione inferisce la doverosità delle garanzie speciali in ogni caso in cui l’iniziativa comprima la sfera di libertà professionale, pur se priva di alcun addentellato con un concreto mandato . Equiparazione, già prima facie arbitraria, e qui si passa al criterio interpretativo di natura sistematica titolo VII del libro I del codice di rito disciplina, non già una generica figura di difensore, astraendola da qualsiasi concretezza procedimentale, bensì proprio al difensore dell’imputato (e dunque, non di qualsiasi cliente, per un incarico di qualsivoglia natura, perfino extrapenale o extragiudiziario). La collocazione topica della norma non può essere negletta, nØ ridotta al rango di contingenza descrittiva, ma rivela una coerenza interna, relazionale, ancorando le garanzie in esame non già a una qualifica astratta, ad uno status professionale, bensì ad un effettivo prestatore d’opera intellettuale, officiato con specifico mandato: come tale, depositario e custode di tutto ciò che la parte gli ha fiduciariamente rimesso per il miglior assolvimento dei compiti di difesa. Il criterio teleologico concorre, da ultimo, a confermare l’interpretazione restrittiva della norma. Non Ł seriamente contestabile che la tutela speciale miri a garantire in ultima analisi proprio l’imputato contro attività d’indagine e di ricerca della prova pervasive della sfera confidenziale del mandato difensivo, potenzialmente idonee ad arrecare un vulnus al suo corretto svolgimento».
Aveva già correttamente notato Sez. 5, n. 35469 del 04/06/2003, COGNOME, Rv. 228326-01, inoltre, come – quando la persona soggetta all’indagine sia lo stesso professionista e non venga, dunque, in rilievo l’attività defensionale da questi svolta in favore di altri – un simile percorso ermeneutico assicuri un raccordo tra il terzo ed il primo comma dell’art. 103, senza dar luogo a privilegi non
strumentali alla garanzia della funzione difensiva, e risulti congruo con la disposizione del secondo comma della stessa disposizione, che preclude il sequestro dei soli documenti pertinenti alla difesa, con esclusione del corpo del reato.
La norma, peraltro, deve reputarsi di stretta interpretazione, alla luce delle riflessioni che precedono, ed Ł, quindi, insuscettibile di applicazione estensiva, a pena di ledere il principio costituzionale di ragionevolezza-uguaglianza (cfr., ancora, Sez. 2, n. 31177 del 2006, cit.: «anacronistico privilegio immunitario, senz’altro esempio in favore di diverse categorie professionali, pur se titolari di analoghi rapporti fiduciari con clienti»).
Deve, in conclusione, ritenersi esclusa la necessità dell’autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari e del preventivo avviso al Consiglio dell’ordine nella fase esecutiva, quando il professionista sia il soggetto direttamente indagato in relazione al reato in via di accertamento e gli inquirenti muovano alla ricerca del corpo del reato.
Nel caso in esame la perquisizione Ł stata operata nell’ambito di una indagine a carico di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per condotte che, allo stato, consentivano di ipotizzare i delitti di usura e di tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME. ¨ stato documentalmente riscontrato, invero, che NOME COGNOME aveva rilasciato un finanziamento con interessi usurari a NOME COGNOME, padre di NOME. Sarebbe, poi, intervenuto in questa vicenda negoziale anche NOME COGNOME, dapprima quale negotiorum gestor e poi in via autonoma, richiedendo alla persona offesa il pagamento di somme portate da effetti a suo tempo rilasciati in garanzia dal genitore e illegittimamente trattenute e agendo, successivamente, in executivis per il recupero di tali crediti nei confronti degli eredi. Insieme al fratello, aveva agito anche NOME COGNOME in particolare, per quanto attiene a tre assegni emessi a favore di tale NOME COGNOME sottratti a COGNOME senior e ricompresi nell’articolata condotta usuraria ed estorsiva sopra accennata.
L’atto di indagine aveva, dunque, espressamente per oggetto, in primo luogo, i tre suddetti titoli di credito (corpo del reato, ex art. 240, primo comma, cod. pen., in quanto – per quanto ipotizzabile nella fase strettamente procedimentale – prodotto o profitto del reato ovvero comunque «cose che servirono o furono destinate a commettere il reato»), oltre all’eventuale mandato difensivo rilasciato da NOME COGNOME e a tutta la documentazione e ad altri titoli riconducibili alle persone fisiche e giuridiche coinvolte nella vicenda suaccennata.
Fermo restando che, come accennato, non erano necessarie l’autorizzazione di cui all’art. 103, comma 4, cod. proc. pen. e l’avviso di cui al precedente comma 3, risultano, pertanto, rispettati anche i precisi parametri di legge in tema di
possibilità di procedere a perquisizione nell’ufficio del difensore, ‘sostanzialmente’ indagato, limitatamente ai fini dell’accertamento del reato provvisoriamente attribuitogli (art. 103, comma 1, lett. a) , cod. proc. pen.);
possibilità, nel caso, di procedere conseguentemente a sequestro di res che costituissero corpo del reato (art. 103, comma 2, cod. proc. pen.).
A fronte di ciò, la difesa non deduce, in concreto, alcun elemento idoneo a chiarire se, nel momento in cui fu disposto ed eseguito il mezzo di ricerca della prova, il ricorrente rivestisse la qualità di difensore nel procedimento nel quale era stato emesso il decreto dell’Ufficio inquirente, ovvero in altro procedimento penale o extrapenale (limitandosi a richiamare genericamente il rapporto defensionale ipotizzato dal Pubblico Ministero), nØ il ricorrente illustra le ragioni per cui l’azione investigativa avrebbe inciso su una sua specifica attività difensiva, con consequenziale lesione alla sfera giuridica di COGNOME (o di terzi soggetti) ovvero eccepsice l’irrituale apposizione del
vincolo ablatorio su specifiche «carte o documenti relativi all’oggetto della difesa» non costituenti corpo del reato. Ci si limita, di fatto, ad invocare semplicemente una tutela intuitu personae , che, nei termini latissimi in cui Ł stata posta nell’atto di impugnazione, non Ł riconosciuta dall’ordinamento.
Il motivo di ricorso Ł, pertanto, insuperabilmente generico e, comunque, manifestamente infondato, laddove non allega valide ragioni connesse alla tutela del cliente attraverso il libero esercizio del diritto di difesa.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 13/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME