Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6245 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6245 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/11/2022 della Corte di appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catania rideterminava in un anno e dieci mesi di reclusione la pena irrogata in primo grado nei confronti di NOME COGNOME per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.) e lesioni aggravate (artt. 61, n. 2; 582; 585 cod. pen.) per aver spintonato, colpito al volto e minacciato una guardia giurata che lo aveva bloccato, durante
un controllo di un terminal bus, avendolo notato sottrarre il portafogli ad una passeggera.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME, per il tramite del suo AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico motivo, erronea applicazione della legge penale, in relazione all’omessa applicazione della scriminante dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393-bis cod. pen.).
La Corte di appello ha ritenuto che la guardia giurata avesse agito in presenza di un’ipotesi di furto con destrezza, perlomeno in base a quanto percepito e poiché il COGNOME gli era stato segnalato dai colleghi come “borseggiatore”, ipotesi che consente l’arresto in flagranza ad opera del privato cittadino e, quindi, a maggior ragione, da parte di una guardia giurata.
L’art. 138 r.d. 18/06/1931, n. 773 (c.d. T.U.L.P.S.) qualifica la guardia giurata come “incaricato di pubblico servizio”.
La Corte di cassazione, pronunciatasi sulla differenza tra pubblico ufficiale e incaricato di un pubblico servizio, equipara le funzioni della guardia giurata a quelle dei privati cittadini.
L’articolo 383 cod. proc. pen. consente ai privati cittadini di procedere all’arresto in flagranza nelle sole ipotesi disciplinate dall’articolo 380 cod. proc pen.
Quindi, nella sentenza impugnata, è erroneamente affermato che il furto con destrezza ex art. 625, n. 4, cod. proc. pen. rientra nelle ipotesi di arresto obbligatorio in base al citato art. 380, il che avrebbe compromesso il corretto sviluppo della motivazione.
A ciò si aggiunga che il furto non è mai stato contestato al COGNOME, sicché mancherebbe il reato presupposto suscettibile di legittimare l’intervento della guardia giurata, che, di conseguenza, risulterebbe del tutto arbitrario ed anzi illegittimo.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto generico, nel duplice senso che risulta di non agevole comprensione e perché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, completa e non illogica.
1.1. Ove, infatti, lo si legga nel senso che la Corte di appello avrebbe erroneamente attribuito all’imputato una qualifica privatistica, deve rilevarsi che la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che il furto con destrezza avrebbe giustificato l’arresto in flagranza da parte di privati, aggiungendo che, a maggior ragione, era possibile l’arresto ad opera di un «soggetto, qual è la guardia giurata, deputato alla tutela dei beni degli utenti che si trovano nella zona di sua competenza»
Sicché, per un verso, non si vede come l’errore dedotto possa viziare il ragionamento, essendo l’affermazione del tutto incidentale (l’arresto è, infatti, pur sempre consentito, sebbene in via facoltativa, ex art. 381 cod. proc. pen., e non, quindi, dai privati).
Per altro verso, la stessa contestazione di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.) presuppone la qualifica pubblicistica in capo alla guardia giurata. Né tale qualificazione è stata contestata dal ricorrente che, anzi, l’ha tacitamente assunta nel momento in cui ha rivendicato la configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 393-bis cod. pen.
1.2. Ove, per contro, si ritenga che sia il ricorrente ad eccepire la natura privatistica o, quantomeno, di “incaricato di un pubblico servizio” della guardia giurata, in disparte la (risalente) presa di posizione legislativa di cui all’art. 13 del T.U.L.P.S., che declina la nozione di incaricato di pubblico servizio secondo un invero superato criterio soggettivo, è agevole replicare che la guardia giurata è pacificamente un pubblico ufficiale, dal momento che (e se) svolge un’attività caratterizzata dall’esercizio di poteri autoritativi, ai sensi dell’art. 357 cod. pen che nel 1990 optò per una definizione ispirata al criterio c.d. oggettivo-funzionale.
Ciò – deve precisarsi -, a condizione che, al momento della commissione del fatto, la guardia giurata stesse agendo nell’esercizio delle sue attribuzioni istituzionali (in tal senso si esprime la pacifica giurisprudenza di legittimità: ex multis, Sez. 6, n. 46744 del 06/11/2013, COGNOME, Rv. 257277 e, con riguardo alla configurabilità delle appropriazioni come peculato, sempre che compiute nell’esercizio delle attribuzioni istituzionali, Sez. 6 , n. 34641 del 22/10/2020, COGNOME, Rv. 279953; Sez. 6, n. 34869 del 07/05/2015, COGNOME, Rv. 264333).
Tanto accadeva, appunto, nel caso di specie: la Corte d’appello ha infatti specificato che, quando furono compiuti i fatti, il COGNOME stava svolgendo le sue
funzioni nel proprio ambito di competenza, poiché gli eventi si svolsero nel parcheggio gestito dalla ditta per cui lavorava come guardia giurata.
1.3. Né, ovviamente, il delitto di resistenza a pubblico ufficiale può essere escluso perché all’imputato non è stato contestato il furto. Ciò non significa, infatti, che il fatto nella sua materialità non stesse per essere realizzato, avendo peraltro i giudici di secondo grado già replicato ad identica eccezione che lo stesso imputato ammise, in sede di interrogatorio, che stava per commettere tale delitto e che a tanto non si risolse proprio a causa dell’intervento del COGNOME.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/01/2024