Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2837 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2837 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 15/03/1996
avverso l’ordinanza emessa il 05/04/2024 dal Tribunale di Napoli;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza con cui è stata applicata la misura della custodia in carcere nei confronti di COGNOME NOME, ritenuto gravemente indiziato del delitto di partecipazione all’associazione mafiosa denominata “clan COGNOME“; COGNOME, in particolare, avrebbe assolto compiti di gestione delle piazze di spaccio e sarebbe stato esecutore di attività estorsive e intimidatorie sotto le direttive di NOME COGNOME soggetto con funzioni apicali.
Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo e il secondo motivo, che possono essere descritti congiuntamente, si lamenta vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria, fatto discendere,
oltre che da una serie di provvedimenti ritenuti inutili, dalle dichiarazioni di d collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Sotto un primo profilo, il Tribunale non si sarebbe confrontato con le argomentazioni difensive relative ai provvedimenti valorizzati in chiave accusatoria, atteso che di detti provvedimenti, solo uno avrebbe ad oggetto un reato tipico della criminalità organizzata (si tratterebbe di una tentata estorsione “risalente al 2014”) ma non dimostrerebbe affatto la affiliazione al clan COGNOME dell’imputato negli anni 2019 e ss.
Né avrebbero adeguata capacità dimostrativa le circostanze ulteriori valorizzate dal Tribunale secondo cui l’indagato si muoverebbe abitualmente con un’arma da sparo e che in alcune occasioni si sarebbe accompagnato con tale COGNOME NOME, denunciato per violazione della disciplina degli stupefacenti; si assume, da una parte, che si tratterrebbe di elementi provenienti da una fonte confidenziale, e, dall’altra, che COGNOME NOME sarebbe soggetto estraneo a reati di criminalità organizzata, essendosi tra l’altro confuso COGNOME NOME con COGNOME NOME.
Né il Tribunale si sarebbe confrontato con gli assunti difensivi secondo cui nelle numerose conversazioni intercettate, COGNOME avrebbe conversato solo con il cognato NOME, soggetto del tutto estraneo ad indagini relative al Clan Moccia.
Dunque, una piattaforma indiziaria fondata solo sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che, tuttavia, sarebbero state valutate, quanto ai profili di attendibilità, secondo le ordinarie regole e senza considerare le discrasie che pure erano state evidenziate.
In particolare, i dichiaranti avrebbero indicato COGNOME come partecipe a due tentati omicidi collegati all’associazione mafiosa e il Tribunale non avrebbe considerato che si tratterebbe di fatti mai contestati, soprattutto considerando che almeno per uno dei due episodi – quello in danno di tale COGNOME– i responsabili del fatto sarebbero stati già individuati.
Né sarebbe stata esercitata l’azione penale nei riguardi dei collaboratori che pure si erano dichiarati partecipi ai fatti in questione.
Gli stessi Giudici che hanno emesso provvedimenti nei riguardi di COGNOME avrebbero definito COGNOME un personaggio indecifrabile e manifestato dubbi sulla attendibilità delle dichiarazioni; il Tribunale avrebbe valorizzato detti provvedimenti senza confrontarsi con le perplessità manifestate dagli stessi Giudici.
Non diversamente, aggiunge il ricorrente, erano state evidenziate criticità anche per COGNOME; in tale contesto si manifestano perplessità anche sul rinvenimento della “lista delle estorsioni” a casa del collaboratore di giustizia COGNOME.
Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione quanto all’art. 297 cod. proc. pen.
Il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare che nella specie mancherebbe il requisito della anteriorità dei fatti contestati nel presente procedimento rispetto a quelli relati
all’altro procedimento, attesa la contestazione aperta oggetto del reato per cui si procede ed essendo stata accertata la permanente affiliazione del ricorrente in epoca successiva al precedente arresto in ragione del suo coinvolgimento nei fatti oggetto di altra ordinanza cautelare riguardanti anche la illecita introduzione negli istituti di pen di telefoni e droga.
Sarebbero state tuttavia ignorate le doglianze difensive con cui si era spiegato come gli “ultimi” fatti fossero slegati dall’appartenenza al clan e dunque non avrebbe potuto farsi derivare da essi la permanenza della partecipazione; si aggiunge come fosse stato peraltro evidenziato che il magistrato di sorveglianza ha revocato la misura dì sicurezza, cui era sottoposto il ricorrente, proprio perché, alla luce delle informazioni assunte, non risultavano collegamenti con la criminalità organizzata dopo la sua carcerazione risalente al 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Quanto ai primi due motivi, che possono essere valutati congiuntamente, il Tribunale, dopo aver puntualmente richiamato una serie di elementi tutt’altro che neutri emergenti dalle risultante di altri procedimenti e tutti evocativi del coinvolgimento del ricorrente in dinamiche criminali mafiose riconducibili al clan COGNOME, ha delineato il ruolo di NOME COGNOME facendo riferimento alla dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, precisando correttamente come esse debbano essere valutate in connessione con il quadro di riferimento indiziario generale in precedenza delineato.
In tale contesto il Tribunale ha fatto riferimento, riportandole testualmente, alle dichiarazioni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, evidenziando, per ciascuno dei dichiaranti, il percorso di collaborazione, l’uso probatorio già compiuto delle loro dichiarazioni, la cui attendibilità è stata sostanzialmente sempre confermata.
Si tratta di dichiarazioni chiarissime dalla evidente capacità dimostrativa del quadro di gravità indiziaria.
In tale contesto, i motivi di ricorso rivelano la loro strutturale inammissibilità perch sostanzialmente aspecificig non avendo il ricorrente indicato in concreto né quali sarebbero le ragioni che possano aver indotto i dichiaranti ad accusare falsamente COGNOME – quale sarebbe stato cioè l’interesse inquinante di cui i collaboratori sarebbero stati portatori – e, soprattutto, quali sarebbero i fatti specifici su cui le dichiara sarebbero intrinsecamente inattendibili con riguardo a COGNOME.
Sul tali decisivi profili il ricorso, al di là di riferimenti generici, è sostanzial silente.
Né, peraltro, il ricorso si confronta con la mole di riscontri – puntualmente indicati da Tribunale – e sulla loro capacità dimostrativa elevata che, di per sé, sarebbe sufficiente a delineare il quadro di gravità indiziaria.
Si è spiegato come, rispetto alle dichiarazioni di COGNOME, secondo cui COGNOME si sarebbe occupato in un dato periodo della cassa del clan e del mantenimento dei detenuti, e di COGNOME, assuma una valenza di indubbio riscontro la circostanza che proprio presso l’abitazione di COGNOME sia stata rinvenuta la lista dei soggetti estorti delle somme che dovevano versare i detentori delle piazze di spaccio e un elenco – con relativo importo – di soggetti affiliati e detenuti, tra i quali anche NOME COGNOME corrispondere il sostentamento economico.
Sul punto il ricorso è del tutto silente.
Non diversamente, il ricorso è silente anche in relazione agli altri elementi indicati dal Tribunale e, in particolare, alle risultanze delle conversazioni intercettate e relative a ruolo ricoperto dal ricorrente all’interno del sodalizio sia prima che dopo il suo arrest avvenuto il 10.12.2019 (cfr. pag. 37 e ss. della ordinanza impugnata)
Dunque, un quadro indiziario obiettivamente molto grave, fondato su molteplici fonti, dimostrativo del rapporto organico e perdurante del ricorrente con il sodalizio mafioso e rispetto al quale i motivi di ricorso si rivelano, in parte, generici, e, in parte, si risolvendosi in una indistinta critica difettiva.
È inammissibile anche il terzo motivo di ricorso, avendo il Tribunale anche in questo caso chiarito puntualmente come, a fronte del riferimento compiuto dall’indagato ad una ordinanza cautelare avente ad oggetto una tentata estorsione – aggravata ai sensi dell’art. 416 bis. 1 cod. pen. – relativa a fatti del 2020, la contestazione associativ per cui si procede ha carattere aperto e come vi siano molteplici elementi di prova- tutti puntualmente richiamati- comprovanti il proseguimento dell’adesione di Baratto al sodalizio mafioso anche dopo il 2020.
Dunque, ha spiegato il Tribunale correttamente, rispetto alla deduzione difensiva, non vi è affatto la prova che i fatti diversi oggetto del secondo titolo cautelare, sian stati commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza cautelare.
Sul punto nulla di specifico è stato dedotto, essendosi limitato il ricorrente ad reiterare le stesse considerazioni già portate alla cognizione del Tribunale senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato.
L’inammissibilità del ricorso determina, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma 11 ottobre 2024
Il Cogliere estensore
Il Presidente