Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24087 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24087 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI
CATANZARO
nel procedimento a carico di:
NOME nato a TROPEA il 22/07/1976
avverso l’ordinanza del 21/08/2024 del TRIBLL-gIg4 di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza del 26 settembre 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha annullato l’ordinanza cautelare di applicazione degli arresti domiciliari emessa nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di concorso in truffa ai danni di ente pubblico aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa e dall’abuso dei poteri inerenti alla pubblica funzione del coindagato NOME COGNOME (artt. . 9,110, 416-bis.1, 640, comma 2, cod. pen.).
Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro aveva emesso la menzionata ordinanza cautelare ritenendo il COGNOME, già sindaco del Comune di Briatico e presidente della Provincia di. Vibo Valentia, gravemente indiziato di essere stato coinvolto in una procedura illecita di assunzione presso il Comune di Zungri.
Il giudice procedente valorizzava, al riguardo, il contenuto di una conversazione intercettata il 30 agosto 2019 tra NOME COGNOME, responsabile amministrativo del Comune di Cessaniti, e NOME COGNOME, elemento apicale del clan di ‘ndrangheta radicato nel Comune di Zungri, nel corso della quale il COGNOME aveva riferito al COGNOME di aver “sistemato” il COGNOME passandogli le domande per fargli superare in terza posizione il concorso per istruttore direttivo presso i servizi demografici del Comune di Cessaniti.
Il COGNOME aveva precisato al suo interlocutore che il COGNOME si sarebbe dovuto classificare al terzo posto nella prova concorsuale, in modo da acquisire un titolo, che gli avrebbe poi consentito di essere assunto direttamente da un altro comune, manifestando, al contempo, la sua preoccupazione, perché, se il COGNOME avesse risposto correttamente a tutte le domande, avrebbe finito per rovinare il piano (COGNOME usava un’espressione volgare per esprimere il concetto), classificandosi al primo posto.
Il piano, invece, prevedeva che l’unico posto a concorso venisse assegnato a un’altra persona, che al secondo posto si classificasse un’altra persona ancora, che sarebbe stata così chiamata da un altro comune, e al terzo, infine, il Niglia.
Lo sviluppo successivo degli atti amministrativi, secondo l’impostazione accusaria, aveva consentito di verificare che l’unico posto a concorso era stato vinto dalla nuora del COGNOME, mentre il COGNOME si era classificato effettivamente al terzo posto, come concordato, per essere successivamente assunto dal comune di Zungri.
1.1. Il Tribunale del riesame aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare per mancanza di gravità indiziaria, ritenendo che non fosse stato dimostrato, né che il COGNOME avesse effettivamente ricevuto le domande della prova di esame, utilizzandole, né quale fosse la fonte della conoscenza da parte di COGNOME del contenuto delle prove concorsuali.
2. Con sentenza del 3.7.2024 la Prima sezione penale della Corte di Cassazione, su ricorso del pubblico ministero, ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame sulla base di una motivazione, che appare opportuno riportare integralmente, incentrata sulla manifesta illogicità del percorso motivazionale seguito dal giudice dell’impugnazione cautelare.
Manifestamente illogica, ad avviso della Corte di Cassazione, è “l’affermazione che si rinviene nella motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui, anche a voler ritenere genuine le dichiarazioni di COGNOME, vi sarebbe prova che questi ha passato le domande di esame a Niglia, ma non vi sarebbe prova che questi le abbia ricevute, atteso che un’affermazione di questo tipo presuppone che la consegna delle domande di esame da COGNOME a Niglia non sia avvenuta di persona brevi manu, come imporrebbe una regola di condotta dei comportamenti umani dotata di plausibilità razionale (Sez. 1, Sentenza n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, P.G. in proc. Romano, Rv. 281385), ma con un mezzo diverso, che potrebbe averne permesso lo smarrimento nel percorso dall’un correo all’altro, mezzo che, peraltro, non è né individuato né ipotizzato nell’ordinanza, talchè l’affermazione contenuta in essa si rivela una mera congettura, ovvero una ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit ed insuscettibile di verifica empirica, in quanto tale inidonea a costituire base razionale della motivazione di un
provvedimento giudiziario (Sez. 5, Sentenza n. 25616 del 24/05/2019, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 277312). E’, inoltre, manifestamente illogica l’affermazione che si rinviene nella motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui, anche a voler ritenere provato che COGNOME abbia ricevuto le domande di esame da COGNOME, non vi è prova che egli le abbia utilizzate, atteso che la prova di un fatto non è soltanto la prova storica che si ricollega direttamente al fatto storico oggetto di accertamento ed è idonea ad attribuire allo stesso il carattere della certezza (Sez. 2, Sentenza n. 14704 del 22/04/2020, Bekaj, lb.í. 279408), ma anche quella derivante dalla concatenazione degli indizi (Sez. 2, Sentenza n. 45851 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285441: “in tema di processo indiziarlo, il giudice può fondare il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche sulla concatenazione logica degli indizi, dalla quale risulti che il loro complesso possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso”). Nel caso in esame, non risulta valutato nell’ordinanza, secondo le regole sulla concatenazione degli indizi, e nei limiti dell’accertamento dei gravi indizi proprio della fase cautelare, come prova dell’esser state utilizzate da COGNOME le domande di esame ricevute da COGNOME il successivo sviluppo degli eventi, ed, in particolare la circostanza che COGNOME sia stato collocato effettivamente in terza posizione nella graduatoria del concorso presso il Comune di Cessaniti, come preannunciato da COGNOME, e sia stato assunto successivamente da un comune vicino, anche qui come preannunciato da COGNOME; non è stata considerata, inoltre, nell’ordinanza impugnata, secondo le regole della concatenazione degli indizi neanche la circostanza che l’interlocutore di COGNOME nella conversazione intercettata fosse un esponente della locale di Zungri, ovvero una persona evidentemente, interessata al controllo del territorio di Zungri, controllo che avviene anche tramite la conoscenza delle persone collocate negli uffici pubblici di governo del territorio di competenza. E’, ancora, manifestamente illogica l’affermazione che si rinviene nella motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui non è
nota la fonte della conoscenza da parte di COGNOME delle domande di esame, sia perché si tratta di una persona intranea alla procedura concorsuale presso il Comune di Cessaniti, sia perché le dichiarazioni di COGNOME contenute nella conversazione intercettata costituiscono una confessione stragiudiziale che può essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in sé e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e la spontaneità in relazione al fatto contestato (Sez. 1, Sentenza n. 6467 del 11/05/2017, dep. 2018, Secolo, Rv. 272100; Sez. 6, Sentenza n. 23777 del 13/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 253002), genuinità” e spontaneità che non sono messe in discussione dall’ordinanza impugnata nel caso in esame. E’, da ultimo, manifestamente illogica l’affermazione che si rinviene nella motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui COGNOME sarebbe stato assunto dal Comune di Zungri all’esito di una selezione autonoma, diversa da quella presso il Comune di Cesganiti intorbidita dal comportamento di COGNOME. Si tratta, infatti, di affermazione che non tiene conto del rapporto di presupposizione esistente tra la procedura presso il Comune di Céssaniti (che ha consentito a COGNOME di ottenere la idoneità all’incarico) e la procedura presso il Comune di Zungri (che ha consentito a COGNOME di ottenere l’assunzione). Nella determina del 23 dicembre 2023, n. 149, con cui il Comune di Zungri ha assunto COGNOME, correttamente prodotta nel giudizio di legittimità dalla stessa difesa dell’indagato, si legge esplicitamente che tra i requisiti di ammissione alla procedura di concorso vi è l’essere “idoneo non assunto collocato in vigenti graduatorie approvate da altri enti con piena corrispondenza tra profilo e categoria del posto che si intende di coprire con quelli per i quali è stato bandito il concorso la cui graduatoria si intende utilizzare, ed omogeneità del regime giuridico del posto che si intende ricoprire con quello per il quale è stato bandito il concorso la cui graduatoria si intende utilizzare”. Non viene, quindi, in questione lo scorrimento della graduatoria del Comune di Cessaniti, ma l’utilizzazione della graduatoria del Comune di Cessaniti ai fini dell’assunzione presso altro ente pubblico, ai sensi dell’art. 9 I. 16
gennaio 2003, n. 3, recante norme in tema di “Utilizzazione degli idonei di concorsi pubblici”, e dell’art. 3, comma 61, I. 24 dicembre 2003, n. 350, che regola le assunzioni mediante utilizzo delle “graduatori,e di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate’ Il preside, itr NOME COGNOME Né la manifesta illogicità dell’ordinanza impugnata sul punto viene meno per effetto dell’argomento introdotto dalia difesa dell’indagato, secondo cui avrebbe potuto presentarsi alla selezione presso il Comune di Zungri qualsiasi candidato che avesse previamente ottenuto l’idoneità, in una graduatoria dello stesso tipo di tutto il territorio nazionale, perché, pur essendo vera questa affermazione in astratto, leggendo sempre la determina n. 149 del Comune di Zungri, emerge che, nella selezione del candidato da assumere, il Comune aveva predeterminato, e comunicato, la decisione di voler utilizzare dei criteri di priorità, ovvero l’utilizzazione per prime delle graduatorie di enti locali appartenenti alla provincia di Vibo Valentia, solo subordinatamente ad esse di quelle di enti locali appartenenti alla Regione Calabria, ed, ancora in subordine, di quelle di enti locali appartenenti alle · altre regioni italiane; a parità di priorità, il Comune di Zungri aveva predeterminato, poi, e reso nota, la decisione di scegliere la graduatoria più recente. In questo contesto, la motivazione dell’ordinanza impugnata non tiene conto della circostanza che –COGNOME era risultato idoneo alla selezione presso il Comune di Cessaniti, che fa parte della provincia di Vibo Valentia, all’esito di una graduatoria approvata appena pochi mesi prima di quella indetta dal Comune di Zungri, circostanze che nella procedura di selezione presso il Comune di Zungri lo collocavano in una posizione di sicuro vantaggio su altri potenziali candidati desiderosi di essere assunti presso il medesimo Comune”.
Con l’ordinanza oggetto di ricorso il tribunale del riesame di Catanzaro, quale giudice del rinvio, annullava nuovamente per difetto dei gravi indizi di colpevolezza l’ordinanza di custodia cautelare.
In estrema sintesi il giudice dell’impugnazione cautelare, partendo dal contenuto della conversazione intercettata tra il COGNOME e il COGNOME,
osservava che, con riferimento alle domande che l’indagato avrebbe dovuto ricevere per potere superare le successive prove concorsuali del 13.9.2019 e del 3.10.2019, avendo ricevuto quelle relative alle prove preselettive già svolte (fatto integrante il reato di cui all’art. 326, c.p.), l’affermazione del COGNOME esplicita una mera intenzione criminosa non attuata, non punibile ai sensi dell’art. 115, c.p., non essendo stato dimostrato, sia pure a livello indiziario, che la stessa sia stata attuata secondo le forme programmate.
Sul punto il tribunale del riesame rileva, in particolare, che difettano i presupposti per attribuire valore indiziario a determinati dati investigativi palesemente incongruenti rispetto alle prospettazioni del COGNOME: nello specifico, infatti, risulta che il COGNOME si classificava secondo e non terzo, come programmato, nella graduatoria di Cessaniti; che il COGNOME non era soggetto intraneo alla procedura amministrativa del comune di Cessaniti, limitandosi a svolgere attività gratuita in favore dell’ente pubblico, circostanza che non gli consentiva di accedere direttamente al contenuto delle tracce del concorso.
Rilevava, inoltre, il tribunale del riesame, che il comune di Zungri non aveva attinto direttamente dalla graduatoria di Cessaniti, ma aveva avviato, dopo l’infruttuoso espletamento della procedura di mobilità obbligatoria a livello nazionale, una selezione per titoli e colloqui completamente autonoma e aperta agli idonei, non essendo stato chiarito, in questo contesto, in che modo il COGNOME e i suoi correi potessero governare una lunga serie di eventi non prevedibili e non dipendenti dalla loro volontà per far conseguire al COGNOME il posto di istruttore amministrativo presso il comune di Zungri, senza tacere che non è emerso alcun collegamento nel corso delle indagini tra l’indagato, il COGNOME e il COGNOME.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il pubblico ministero, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, per illogicità manifesta, avendo il giudice del riesame reiterato il medesimo percorso argomentativo già censurato dalla Corte
di Cassazione ed operato una valutazione parcellizzata degli elementi emersi dalle indagini.
Tra gli altri argomenti GLYPH il ricorrente evidenzia come il tribunale del riesame, proprio in virtù della lamentata valutazione parcellizzata, ha omesso di motivare in ordine alla rilevanza indiziaria di un dato che lo stesso giudice dell’impugnazione cautelare dà per scontato: l’avvenuta trasmissione al Niglia delle informazioni necessarie a superare le prove preselettive, circostanza che contraddice l’affermata impossibilità per l’indagato di accedere alla suddetta procedura amministrativa e la mancanza di legami tra il COGNOME e il Mazzeo, senza tacere che il tribunale del riesame ha affermato apoditticamente la mancanza di un rapporto di presupposizione tra la formazione della graduatoria di Cessaniti e l’assunzione del COGNOME presso il comune di Zungri, omettendo di motivare circa la convergenza delle clausole del bando, che prediligevano gli idonei nelle procedure selettive più recenti indette dai comuni del territorio della provincia di Vibo Valentia, con il programma criminoso esplicitato dal Mazzeo.
Con requisitoria scritta il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga rigettato.
Con una propria memoria i difensori di fiducia dell’indagato chiedono che il ricorso sia dichiarato inammissibile, rilevando, in particolare, come la consulenza tecnica di parte, allegata alla memoria, e acquisita dal tribunale del riesame, abbia escluso che nel corso della conversazione intercettata il COGNOME abbia pronunciato la frase di avere passato al COGNOME i compiti, vale a dire le risposte alle domande relative alla prova preselettiva.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
5.1. Vanno preliminarmente ribaditi i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle
condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr., ex plurimis, Sez. 2, 2.2.2017, n. 9212, Rv. 269438; Sez. 4, 3.2.2011, n. 14726; Sez. 3, 21.10.2010, n. 40873, Rv. 248698; Sez. 4, 17.8.1996, n. 2050, Rv. 206104), essendo sufficiente, ai fini cautelari, un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell’imputato (cfr. Sez. 2, 10.1.2003, n. 18103, Rv. 224395; Sez. 31, 23.2.1998, n. 742).
Come si è opportunamente chiarito, in tema di misure cautelari personali, un indizio può definirsi “grave” qualora sia pertinente rispetto al fatto da provare, idoneo ad esprimere una elevata probabilità di derivazione del fatto noto da quello ignoto e dotato di un elevato grado di capacità dimostrativa de fatto da provare (cfr. Sez. 6, n. 26115 del 11/06/2020, Rv. 279610).
Al tempo stesso va rammentato che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, con orientamento mantenutosi costante nel tempo, il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è investito di pieni poteri di cognizione e, salvi i limiti derivanti da un eventuale giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito, con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato.
La Corte di cassazione, invero, risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il
giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, Rv. 285801; Sez. 2, n. 45863 del 24/09/2019, Rv. 277999; Sez. 5, n. 24133 del 31/05/2022, Rv. 283440).
Con particolare riferimento ai poteri del tribunale del riesame quale giudice del rinvio, si è, inoltre, evidenziato come, in tema di annullamento con rinvio dell’ordinanza del tribunale del riesame per vizio di motivazione relativo al quadro indiziario, è legittima l’ordinanza del giudice del rinvio che, dopo avere colmato le lacune evidenziate nella sentenza rescindente, pervenga ad una decisione analoga a quella precedentemente annullata sulla base di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità, nonché integrando e completando quelle già svolte anche sulla base di elementi successivamente emersi o acquisiti (cfr. Sez. 6, n. 8902 del 24/01/2018, Rv. 272340).
5.2. Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Catanzaro abbia fatto buon uso di tali principi.
E invero il giudice dell’impugnazione cautelare ha ritenuto non sussistente il requisito dei gravi indizi di colpevolezza a carico del COGNOME, attraverso un’esaustiva e articolata ricostruzione degli elementi di fatto, raccolti dagli organi investigativi, considerati insufficienti nella loro valenza indiziaria, muovendosi nel solco delle indicazioni provenienti nella sentenza di annullamento con rinvio di cui in premessa.
Al riguardo non appare decisivo, ad avviso del Collegio, il tema dell’applicabilità o meno alla fattispecie in esame del disposto dell’art. 115, c.p., in relazione al quale si segnala un’incertezza interpretativa nella giurisprudenza di legittimità, di cui il tribunale del riesame di Catanzaro non dimostra di avere piena consapevolezza.
In un risalente arresto di questa Corte, infatti, si è affermato che l’accordo finalizzato alla commissione di un reato, in tanto diviene
rilevante nei confini della mera ipotesi concorsuale, in quanto pervenga ad una concreta realizzazione dell’assetto divisato, ad un’attività esecutiva, dunque, che non si arresti alle soglie del tentativo. Di conseguenza, il mero accordo allo scopo di commettere un reato, non traducendosi in un’attività di partecipazione al reato stesso, resta assoggettato al principio di ordine generale stabilito dall’art. 115 cod. pen., quando “due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo (cfr. Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995, Rv. 202036).
Tuttavia, a un diverso approdo giunge altro arresto, del pari citato dal giudice dell’impugnazione cautelare, secondo cui l’accordo tra più soggetti di realizzare uno o più reati è un elemento comune alla fattispecie associativa ed a quella concorsuale, ma in tale ultima ipotesi esso deve pervenire alla concreta realizzazione del reato, quanto meno a livello di tentativo, secondo quanto previsto dall’art. 115, comma primo cod.pen. (cfr. Sez. 6, n. 7957 del 05/12/2003, Rv. 228482).
In questa prospettiva la soglia del tentativo, rispetto al fatto-reato oggetto dell’imputazione provvisoria, da valutare unitariamente e non atomisticamente, attraverso una parcellizzazione dei singoli segmenti della condotta, potrebbe sembrare essere stata raggiunta, posto che lo stesso tribunale del riesame evidenzia, conformemente al dictum della sentenza di annullamento con rinvio, il valore di confessione stragiudiziale delle affermazioni del COGNOME riportate nella conversazione oggetto di captazione in precedenza indicate, con riferimento alle prove preselettive, che si erano effettivamente svolte il 21 agosto del 2019, essendosi il COGNOME riferito ” ad un fatto storico, precisamente collocato nello spazio e nel tempo, individuando nel Niglia il coautore di una condotta illecita già commessa” (cfr. p. 4)
In realtà, come correttamente rilevato dal sostituto procuratore generale nella requisitoria scritta in premessa richiamata, il fulcro della decisione oggetto di ricorso va rinvenuto altrove, è, precisamente, nell’inidoneità del contenuto della conversazione intercettata a fondare un sufficiente
quadro di gravità indiziaria a carico del COGNOME soggetto rimasto del tutto estraneo alla conversazione tra il COGNOME e il COGNOME con i quali, peraltro, il COGNOME, sulla base delle svolte indagini, non risulta avere avuto contatti diretti.
Sul punto si osserva che, se è vero che, in tema, di prove, il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., è altrettanto vero che il giudice è pur sempre tenuto a valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (cfr. Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, Rv. 286150).
In questo contesto, particolarmente stringente appare l’onere motivazionale posto a carico del giudice in tema di applicazione di misure cautelari personali, qualora gli elementi a carico di un soggetto siano costituiti, come nel caso che ci occupa, dalle conversazioni intercorse tra soggetti indagati o non indagati, captate nel corso di operazioni di intercettazione ed in parte relative a dati appresi da altre persone, essendo il giudice in tale evenienza, chiamato ad un rigoroso apprezzamento non solo della credibilità soggettiva dei dialoganti e dell’attendibilità intrinseca e convergenza in senso accusatorio di quanto da essi affermato, ma anche dell’autonomia e della solidità delle fonti di conoscenza di ciascun soggetto intercettato (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 27370 del 16/02/2021, Rv. 281635; Sez. 6, n. 2309 del 15/10/2013, Rv. 258784).
Tale indagine, come sottolineato dal tribunale della libertà, è stata del tutto omessa in sede di adozione dell’ordinanza di custodia cautelare, mentre avrebbe dovuto essere condotta con il necessario rigore, in presenza di elementi di fatto, che appaiono in oggettivo contrasto con l’ipotesi accusatoria e fanno dubitare della stessa attendibilità del COGNOME, come prospettato dalla stessa difesa del COGNOME nella sua memoria.
Da un lato, infatti, contrariamente a quanto emerso dalla conversazione intercettata, il piano di cui ha riferito il COGNOME, non si è svolto secondo lo schema concordato, posto che il COGNOME, come si ricava dalla documentazione amministrativa in atti, si è classificato secondo e non terzo nella graduatoria del concorso bandito dal comune di Cessaniti, a differenza di quanto ritenuto dalla stessa sentenza di annullamento con rinvio, laddove, evidenzia con logico argomentare il giudice dell’impugnazione cautelare, “dalla letteralità del propalato del Mazzeo appena riportato si evince che la selezione doveva essere vinta da una concorrente di sesso femminile, che la seconda candidata era destinata a un altro Comune nemmeno menzionato dal parlatore, mentre il Niglia doveva semplicemente classificarsi terzo nella graduatoria di Cessaniti” (cfr. p. 5).
Sul punto il pubblico ministero ricorrente rileva che si tratterebbe di una contraddizione apparente, in quanto la conversazione intercettata si era svolta dopo l’espletamento delle prove preselettive, all’esito delle quali il COGNOME si era classificato al terzo posto, mentre solo all’esito delle prove definitive l’indagato si sarebbe classificato al secondo posto.
Si tratta, come appare evidente, di un rilievo versato in fatto, e, comunque, prima facie illogico, perché la collocazione del COGNOME al terzo posto della graduatoria, per come si era espresso il COGNOME nella conversazione intercettata, era la condizione necessaria per poter dirottare il candidato verso un altro comune, dunque, non poteva che riferirsi al terzo posto della graduatoria finale del concorso bandito dal Comune di Cessaniti.
Dall’altro, il Comune di Zungri, dove alla fine il COGNOME venne assunto, “non attingeva direttamente dalla graduatoria formata dal Comune di Cessaniti, ma avviava, dopo l’infruttuoso espletamento della procedura di mobilità obbligatoria a livello nazionale – fattore già idoneo a interrompere “il rapporto di presupposizione” tra le due procedure, costituendo elemento perturbatore non governabile dai coindagati – una selezione per titoli e colloquio completamente autonoma e aperta agli
idonei, il cui esito non era, dunque, prevedibile in anticipo e dipendente dalla volontà degli indagatati COGNOME e COGNOME ((cfr. p. 6).
Infine si è accertato, sulla base della documentazione amministrativa acquisita dal tribunale del riesame, l’incompetenza funzionale del
COGNOME “a gestire gli aspetti della procedura di gara”, che non gli consentiva di accedere al contenuto delle tracce del concorso, prima che
venissero rese pubbliche, laddove il responsabile del procedimento era il dott. NOME COGNOME “come tale garante delle regolarità dell’intera
procedura selettiva” (cfr. p. 5).
Il percorso argomentativo seguito dal tribunale del riesame, in conclusione, si è mosso in conformità ai suoi poteri di rivalutazione degli
elementi di fatto acquisiti nel corso delle indagini, di cui ha saggiato la consistenza in termini di gravità indiziaria attenendosi al perimetro
cognitivo delineato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio, in modo da giungere alla decisione impugnata in questa sede, senza incorrere in vizi motivazionali, anzi uniformandosi alle indicazione del giudice rescindente, che gli aveva imposto di valutare la “confessione stragiudiziale” del COGNOME “in sé e raffrontata con gli altri elementi di giudizio”, proprio allo scopo di “verificarne la genuinità e la spontaneità in relazione al fatto contestato”.
Il ricorso del pubblico ministero, che, in definitiva si risolve in una non consentita rivalutazione degli elementi di fatto già presi in considerazione dal giudice di merito e in una pretesa violazione del dictum del giudice rescindente, per le ragioni già esposte manifestamente infondata, va, pertanto, dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso in Roma il 20.3.2025.