Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2539 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2539 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CASSANO ALLO IONIO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/07/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; del ricorso;
sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità
uditi i difensori, avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che si sono riportati ai motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20 luglio 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha annullato limitatamente ad un capo di imputazione provvisorio (il capo n. 28) l’ordinanza con la quale il 20 giugno 2023 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per una serie di delitti ed in particolare associazione per delinquere di stampo mafioso (capo 1), plurimi reati di estorsione (capi 2-8-9-10), associazione dedita al narcotraffico (capo 35), occultamento e trasporto di sostanze stupefacenti (capi 42 e 50).
Ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, a mezzo del difensore, articolando tre motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di cui all’art. comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge segnatamente dell’art. 309, comma 9-bis cod. proc. pen. – e vizio di motivazione con riferimento all’ordinanza che, in data 17 luglio 2023, ha rigettato la richiesta di rinvio dell’udienza fissata dinanzi al Tribunale del riesame il giorno seguente. I Tribunale avrebbe illogicamente respinto l’istanza di rinvio, giudicandola generica e non rappresentativa di giustificati motivi, mentre avrebbe dovuto accoglierla, non potendo spingersi ad apprezzare la consistenza dei motivi, attinenti alla necessità di esercitare compiutamente il diritto di difesa, addotti a sostegno, come affermato dalla Sesta Sezione della Corte di cassazione nelle sentenze nn. 12556 e 13049/2016.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento all’affermata sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con riguardo al delitto di partecipazione all’associazione per delinquere di stampo mafioso di cui al capo 1 ed ai delitti-scopo descritti nei capi 2-8-9-10.
Anzitutto il ricorrente denuncia omessa motivazione da parte del Tribunale del riesame circa la sussistenza della richiesta gravità indiziaria con riguardo al delitto di associazione mafiosa, profilo sul quale la motivazione sarebbe stata omessa sulla base del rilievo che la partecipazione all’associazione sarebbe stata ammessa dal ricorrente. In ogni caso il Tribunale non avrebbe considerato che il compenso di 1000 euro a favore del ricorrente poteva essere collegato alla sua attività di agricoltore; né avrebbe adeguatamente motivato circa l’affectio societatis, non desumibile di per sé dalle condotte ascritte al COGNOME.
Quanto ai reati-scopo, la motivazione sarebbe inadeguata: la natura estorsiva del reato di cui al capo 2 sarebbe fondata su una assai risalente segnalazione del
COGNOME all’ing. COGNOME circa l’opportunità di fare un regalo ad alcuni brutti soggett per non farseli nemici, senza considerare che nei cinque anni seguiti a tale segnalazione l’ing. COGNOME non patì alcuna significativa pressione, tanto da non denunciare il COGNOME, che aveva in corso con lui un contenzioso lavoristico.
Il Tribunale non avrebbe considerato tesi alternative pur prospettate: la derivazione causale dell’incendio non da un atto doloso a scopo estorsivo, ma da un condizioNOMEre lasciato acceso; la possibilità, pur prospettata dal COGNOME, di atti intimidatori provenienti dagli imprenditori nel settore ortrofrutticolo che il COGNOME proprietario di un villaggio turistico e dunque importante cliente, aveva deciso di abbandonare quali fornitori.
Il ricorrente contesta poi la ricostruzione del Tribunale che non avrebbe considerato la distanza tra il luogo dell’incendio presso il resort Minerva e l’abitazione del COGNOME, che doveva suggerire la sua estraneità all’azione.
Ancora, denuncia vizio di motivazione laddove il Tribunale non avrebbe convincentemente motivato circa il coinvolgimento dell’indagato nell’incendio dell’8 gennaio e, in particolare, non avrebbe considerato che l’autovettura del suo collaboratore NOME è stata vista transitare nella direzione del luogo ove era stato appiccato l’incendio e non, come sarebbe stato logico, in quella contraria.
I reati ipotizzati nei capi 8 e 9 sarebbero in realtà vicende collegate alle rivendicazioni di un dipendente del COGNOME, volte ad ottenere da alcuni imprenditori locali il pagamento per il lavoro nei fondi agricoli degli stessi. I contenuti de intercettazioni sarebbero stati arbitrariamente interpretati dal Tribunale del riesame a sostegno della natura estorsiva dell’intermediazione svolta dal COGNOME.
Il reato di cui al capo 10 non integrerebbe estorsione bensì una lecita intermediazione su incarico della vittima del furto dell’autovettura che si mirava a riottenere (Sez. 6, n. 41359/2010); in ogni caso la motivazione sul punto sarebbe insoddisfacente.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione con riguardo al giudizio di gravità indiziaria relativamente ai restanti reati ascritti (capi 35 e 50). L’ordinanza impugnata è carente sotto il profilo dell’individuazione della stabilità del sodalizio contestato.
Quanto al reato di cui al capo 42, mancherebbe l’indicazione degli elementi dai quali trarre il giudizio di elevata probabilità che COGNOME abbia incontrato NOME COGNOME e da questi abbia ricevuto, come contestato, un kg di cocaina: non sarebbe sufficiente, in particolare, l’esito del servizio di localizzazione, anche i ragione dell’ampiezza delle celle telefoniche attivate, mentre i “rumori” ascoltati dagli investigatori non sarebbero univoci nel loro significato.
L’intercettazione prog. 187, pur indicativa dell’invito del COGNOME alla propri madre a spostare qualcosa all’interno del loro terreno agricolo, non sarebbe
univoca nell’individuazione dell’oggetto della conversazione, arbitrariamente considerata riferirsi a sostanza stupefacente.
Analogamente per quanto riguarda la sostanza stupefacente di cui al capo 42.c, a tanto non potendo condurre la mera lettura della conversazione n. 1691, tanto più in considerazione del fatto che al momento del presunto incontro con COGNOME l’utenza di quest’ultimo era spenta.
Per quanto riguarda l’episodio del 23 marzo 2019 (capo 42.d), la telefonata n. 47 non evidenzierebbe che gli interlocutori parlassero di stupefacenti né che intendessero indicare nel COGNOME l’incaricato della consegna.
La consegna di cui al capo 42.e avrebbe impiegato solo 8 secondi e, ancora una volta, sarebbe stata ricostruita arbitrariamente, sulla base dell’ascolto di rumori interpretati come apertura di uno sportello e maneggiamento di una busta di carta. Al più potrebbe parlarsi di una resistenza a pubblico ufficiale, laddove il COGNOME si è sottratto all’inseguimento di un’autovettura a bordo della quale vi era personale non in uniforme.
Infine il reato di cui al capo 50.b sarebbe stato ricostruito sulla base di una telefonata dal significato non univoco, sfornita di riscontri.
Si è proceduto a discussione orale.
Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
I Difensori si sono riportati al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
L’art. 309, comma 9 – bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 47/2015, stabilisce che «su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da u minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito della ordinanza sono prorogati nella stessa misura».
La disposizione non prevede una valutazione del Tribunale per la eventuale «concessione» della dilazione: secondo il testo, «il tribunale differisce», e non «può differire»; tuttavia, non risulta un diritto pieno al rinvio, essendovi previsione «se vi siano giustificati motivi». In sostanza, il Tribunale deve differir l’udienza se la parte lo chieda laddove vi siano (e siano indicati) giustificati motiv senza alcun apprezzamento degli stessi che vada oltre la verifica della loro sussistenza. A fronte, però, di un diniego del rinvio dell’udienza fondato su una erronea valutazione di non sussistenza di giustificati motivi, non risulta esservi
alcuna sanzione processuale. Così, è stato detto che «la decisione con la quale il Tribunale del riesame rigetta l’istanza di rinvio della data dell’udienza, presentata ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen., non è impugnabile perché rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito e il difetto di specifica motivazione non può essere fatto valere come causa di nullità non rientrando il decreto di diniego tra i provvedimenti richiamati dall’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 35659 del 27/06/2018, COGNOME, Rv. 273601); tuttavia, si è venuto consolidando un orientamento giurisprudenziale che ha chiarito come l’ordinanza in questione sia invece impugnabile nel caso di carenza assoluta della motivazione o di motivazione apparente, trattandosi di ipotesi di distinta violazione di legge (cfr. Sez. 1, n. 6360 del 12/10/2022, dep. 2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284355; Sez. 2, n. 22961 del 31/05/2022, COGNOME, Rv. 283408).
I precedenti citati dal ricorrente sono esattamente dello stesso segno, e si riferiscono a casi di carenza assoluta della motivazione.
Nel caso di specie, il provvedimento di rigetto dell’istanza difensiva ha espressamente dato conto della genericità dell’istanza medesima, dell’insussistenza di giustificati motivi per il rinvio e del tempo comunque trascorso dall’esecuzione della misura (tempo rilevante ai fini dell’esercizio dei dirit difensivi). Si tratta, dunque, di un provvedimento provvisto di una motivazione non manifestamente illogica e non invece affetto da carenza assoluta di motivazione (cfr., per un caso analogo, Sez. 2, n. 40835 del 27/09/2023, NOME, non massimata).
2. Sono inammissibili i residui motivi.
La Corte di cassazione non può rivalutare la ricostruzione del quadro indiziario alla base del provvedimento cautelare (genetico e del riesame), poiché in tale ambito il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canori della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178), spettando, al più, al giudice di legittimità la verifica dell’adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di cassazione (per tutte Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Ebbene, il secondo e il terzo motivo di ricorso cercano di disarticolare il giudizio di gravità indiziaria ritenuto sussistente dal Tribunale del riesame proponendo, per ciascuno dei reati provvisoriamente ascritti, una valutazione parcellizzata di singoli elementi di prova, peraltro genericamente citati, proponendo un risultato diverso da quello accreditato dal Tribunale del riesame, come se si trattasse, ancora una volta, di un giudizio di merito e non invece di un controllo sulla mera illogicità (manifesta) della motivazione.
Illogicità manifesta che non sussiste, avendo il Tribunale tratto logiche conseguenze rispetto agli elementi di prova esposti nell’ordinanza, in merito a ciascuno dei reati contestati.
La partecipazione all’associazione mafiosa non è stata certo data per ammessa, come sostenuto dal ricorrente, ma è stata motivata sulla base dell’attivismo dimostrato dal ricorrente nella realizzazione dei reati-scopo, della percezione di una retribuzione e di assistenza legale, dalla partecipazione assidua agli incontri del sodalizio e dagli altri elementi indicati nelle pagine 13 e dell’ordinanza.
Analogamente il Tribunale ha giustificato compiutamente il giudizio di gravità indiziaria per ciascuna delle estorsioni contestate, escludendo espressamente tale giudizio con riguardo all’imputazione in materia di armi: ha dato conto, in particolare, del significato chiaro di alcune intercettazioni che vedevano il COGNOME impegNOME a parlare di benzina e di attrezzi che sarebbero serviti a realizzare incendi, al cui esito egli stesso si interessava telefonicamente, talora ordinandoli (“manda il fuoco”), alludendo anche al fatto che l’imprenditore COGNOME non cedeva alle estorsioni (“non ha capito che lo bruciano … ogni settimana prende più di un milione di euro … un milione e due… che tu regali diecimila euro… cinquemila euro”). Anche rispetto alla vicenda dell’azienda ortofrutticola, il Tribunale ha dato conto che uno dei gestori dell’impresa era un pregiudicato vicino al clan di Lauropoli e che la vicenda delittuosa contestata è collegata all’allontanamento dell’impiegato che si occupava, nell’impresa del COGNOME, di gestire l’approvvigionamento dell’ortofrutta (affare economicamente importante), con la conseguente perdita di importantissime provviste da parte dell’impresa improvvisamente abbandonata quale fornitore.
Quanto ai capi 8 e 9, lungi dall’inerpicarsi in arbitrarie interpretazioni, Tribunale del riesame ha valutato le dichiarazioni del medesimo COGNOME, che chiaramente ha detto al telefono “mille euro me li hanno dati a me…”, nonché le telefonate nelle quali COGNOME esprimeva la speranza di ottenere un compenso di 5000-6000 euro (pagine 10-11).
Quanto al capo 10, il Tribunale ha chiaramente evidenziato come il COGNOME, discutendo al telefono della somma pretesa per la restituzione da chi aveva rubato
la Fiat Punto e giudicandola eccessiva, ha preteso una somma per sé (pagg. 1112).
A fronte di tutte le considerazioni logicamente esposte alle pagine 4-12, il ricorrente si limita a suggerire ipotesi alternative, senza dedurre o dimostrare l’illogicità manifesta della ricostruzione, invero del tutto logica, argomentata da Tribunale.
Analogamente deve concludersi per i reati in materia di stupefacenti: alle pagine 12-28 il Tribunale ha ripercorso le dichiarazioni e le intercettazioni che sostengono l’accusa della partecipazione del COGNOME all’associazione dedita al narcotraffico nonché quella relativa ai singoli reati in materia di stupefacenti; ricorrente si limita a contestare il significato di alcune singole telefonate, in mod non certo idoneo ad inficiare la logicità complessiva della motivazione. A fronte, per esempio, dell’azione del COGNOME di scavare delle buche per nascondere quanto ricevuto e della descrizione da lui fatta alla madre, circa il contenuto di quanto occultato come di due pacchi che costano 35.000 euro, non è certo logicamente sostenibile – e comunque non è stato prospettato con adeguata forza logica, tale da rendere manifestamente illogica la spiegazione ritenuta attendibile dal Tribunale – che le preoccupazioni di COGNOME si riferissero a qualcosa di diverso da quella sostanza che in altre telefonate è stata definita “bianca” o “nera” o “coca”, cioè inequivocabilmente sostanza stupefacente.
Quando il COGNOME è accusato di aver trasportato la sostanza, come nel capo 42 d, il Tribunale ha giustificato la propria decisione non solo con il riferimento al natura della sostanza, ma al ruolo preciso che il COGNOME aveva nell’affare (risultante da telefonate e dal monitoraggio dei suoi movimenti: pag. 23).
Con riferimento al capo 42.e, il Tribunale ha logicamente desunto dalla conversazione tra i protagonisti (nella quale uno diceva all’altro di dover prendere dello scotch, mentre contava) la circostanza che essi fossero intenti a confezionare pacchi di eroina (pag. 23): conclusione logica rispetto alle premesse esposte anche nelle pagine precedenti, rispetto alla quale il ricorrente oppone il dato della breve durata dell’azione, all’evidenza non sufficiente a connotare in termini di illogicit manifesta la conclusione stessa.
Anche laddove il ricorrente deduce che la gravità indiziaria è stata riconosciuta sulla base di telefonate dal significato equivoco (capo 50), non fornisce una spiegazione plausibile e non riesce a scalfire la forza logica della motivazione che ha fatto leva comunque, nel contesto già evidenziato e dunque non certo nell’ambito del giudizio cautelare su un unico episodio, su un linguaggio criptico non spiegabile se non nell’ottica accusatoria (pag. 24 dell’ordinanza).
Il ricorso, in parte inammissibile e in parte infondato, va dunque rigettato, con condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 30/11/2023