Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22494 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22494 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME
NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/01/2024 del TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento qui impugnato il Tribunale di Reggio Calabria confermava l’ordinanza con la quale il G.i.p. dello stesso Tribunale aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per
il reato di partecipazione all’associazione di tipo mafioso ‘ndrangheta, quale intraneo, in particolare, all’articolazione operante nel territorio di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso l’ordinanza ha proposto il difensore di NOME COGNOME, chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizio della motivazione.
2.1. Con il primo motivo, richiamati alcuni principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di gravità indiziaria e valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il ricorrente ha sostenuto, innanzitutto che il Tribunale ha illogicamente riconosciuto credibile e intrinsecamente attendibile il collaboratore COGNOME, non intraneo al gruppo che l’accusa vorrebbe riconducibile a NOME COGNOME, nonostante la genericità delle sue dichiarazioni e il riscontro negativo di una intercettazione telefonica pure richiamata nell’ordinanza impugnata.
Anche i riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori NOME e NOME COGNOME “lasciano a desiderare”.
L’ordinanza evoca la vicinanza del ricorrente a NOME COGNOME e ad altri componenti del suo gruppo sulla base delle intercettazioni disposte nell’ambito dell’inchiesta “Malefix”, confluita nella più ampia inchiesta “Epicentro”, non ancora approdata a una sentenza definitiva. L’affermazione secondo la quale esisterebbe un’associazione a delinquere di tipo mafioso capeggiata dal gruppo dei RAGIONE_SOCIALE è rimasta allo stadio di mera congettura, in mancanza di qualsiasi riscontro probatorio.
A NOME è stato attribuito il ruolo di autista di COGNOME sulla base di intercettazioni illogicamente valutate e si è ritenuto che egli avesse svolto lo stesso ruolo per NOME COGNOME senza alcuna prova.
Alla luce di altre intercettazioni risulta evidente la natura calunniosa delle accuse rivolte a NOME (definito “pollo” da NOME COGNOME) in un post del giornalista NOME COGNOME.
Anche l’episodio della festa di compleanno della figlia, richiamato nell’ordinanza, dimostra che il ricorrente non era a disposizione della RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Con il secondo motivo, inerente anch’esso alla gravità indiziaria, si è dedotto che l’ordinanza, in modo contraddittorio, da un lato ritiene che NOME COGNOME abbia un ruolo apicale in seno alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dall’altro lo si inquadra quale promotore di una nuova RAGIONE_SOCIALE, circostanza smentita dalla “sentenza n. 719/19” nel processo a carico di NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha lamentato che il Tribunale ha ignorato gli elementi offerti dalla difesa a dimostrazione della insussistenza di un concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato.
3.3. Con motivi nuovi, tempestivamente depositati, la difesa ha ripreso e ampliato le argomentazioni svolte con il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici, non consentiti o manifestamente infondati.
La motivazione dell’ordinanza impugnata è puntuale e specifica anche avuto riguardo alla posizione del ricorrente e con essa la difesa, in larga parte, non si è confrontata, incorrendo così nel vizio di genericità del ricorso, sotto il profilo del difetto di specificità estrinseca, rilevante anche in sede cautelare, con riferimento al ricorso avverso provvedimenti del tribunale del riesame, attesa la comune ratio fondata sul necessario rispetto dei requisiti di specificità di cui all’art. 581 lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 11008 del 11/02/2020, Bocciero, Rv. 278716; Sez. 3, n. 13744 del 24/02/2016, COGNOME, Rv. 266782; Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Uda, Rv. 266295; Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 259704; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037).
Nel corpo del ricorso, inoltre, il richiamo astratto a numerosi principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità si alterna con una serie di deduzioni palesemente in fatto, come tali inammissibili.
In tema di gravità indiziaria, va ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per cassazione è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628-01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884-01; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, COGNOME, Rv. 266939-01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Il controllo di logicità, dunque, «deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate» (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Il ricorso non ha tenuto conto dei limiti del sindacato di legittimità e ha nella sostanza proposto una diversa ricostruzione dei fatti.
Come osservato dal Procuratore generale, l’ordinanza impugnata ha indicato una serie di elementi indiziari indicativi della partecipazione di NOME COGNOME all’articolazione della ‘ndrangheta facente capo a NOME COGNOME, integrante un sottogruppo della più ampia RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, a sua volta facente capo alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (mafia storica sul territorio, accertata da più sentenze irrevocabili), della quale NOME COGNOME era promotore.
Svolgendo un ruolo di collegamento tra i boss NOME COGNOME e NOME COGNOME, dei quali era autista, organizzando incontri presso locali di propria pertinenza e portando messaggi, presenziando a riunioni in cui si discutevano questioni di ‘ndrangheta per dirimere contrasti interni, l’indagato si è messo a disposizione del sodalizio, risultandone partecipe nel senso da ultimo precisato nella sentenza Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889).
É incensurabile la valutazione del Tribunale, conforme a quella del G.i.p., sulla credibilità dei collaboratori NOME COGNOME, cognato di NOME COGNOME, e dei due fratelli COGNOME, intranei ai gruppi criminali del territorio e profond conoscitori delle dinamiche ‘ndranghetiste.
Non rileva la circostanza dell’assenza, allo stato, di un accertamento giudiziale definitivo sulla esistenza della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quale sottogruppo con spinte autonomiste e scissioniste (affermata con sentenza non definitiva nel processo “Epicentro”), considerato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, i gravi indizi di colpevolezza per l’applicazione e il mantenimento di misure cautelari personali possono essere validamente desunti anche da sentenze non ancora irrevocabili, senza che ciò comporti violazione dell’art. 238bis, cod. proc. pen. che, nel prevedere che possano essere acquisite e valutate come prova le sentenze divenute irrevocabili, si riferisce al giudizio di colpevolezza e non alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari, né dell’art. 238, comma 2 -bis, cod. proc. pen. che, nel subordinare l’acquisizione di dichiarazioni rese in altri procedimenti alla condizione che il difensore abbia partecipato alla loro assunzione, si riferisce anch’esso al solo giudizio sulla responsabilità (Sez. 5, n. 57105 del 15/10/2018, COGNOME, Rv. 274404; Sez. 6, n. 88 del 06/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242376; Sez. 1, n. 40997 del 14/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241431; Sez. 1, n. 17269 del 02/03/2001, COGNOME, Rv. 218819; da ultimo v. Sez. 5, n. 17329 del 26/03/2024, COGNOME, non mass.)
A COGNOME e a NOME COGNOME (il cui fratello è deceduto) in altri processi è stata anche riconosciuta l’attenuante della collaborazione prevista dall’art. 416-
bis, terzo comma, cod. pen.; l’attendibilità delle loro dichiarazioni è stata contestata dal ricorrenti riproponendo argomentazioni già disattese dal Tribunale con specifica motivazione.
Le chiamate dei collaboratori sono state ritenute convergenti, indipendenti e autonome, cosicché esse si riscontrano reciprocamente (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134), ma soprattutto sono state riscontrate dall’esito di servizi di osservazione e controllo della polizia giudiziaria e dal contenuto di numerosissime conversazioni intercettate.
Sotto questo ultimo profilo, va ribadito che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.
In questa sede, dunque, è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164).
È consolidato anche il principio secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato costituiscono fonte di prova diretta, soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno, con l’avvertenza che, ove tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno essere gravi, precisi e concordanti, come disposto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265747; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260842).
Il medesimo principio è stato affermato anche in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Aiello, Rv. 276831, non mass. sul punto; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, Modica, Rv. 268042; Sez. 1, n. 40006 del 11/04/2013, Vetro, Rv. 257398).
Avuto specifico riguardo al reato ex art. 416-bis cod. pen., la Corte di cassazione ha affermato che «i contenuti informativi provenienti da soggetti intranei all’associazione mafiosa, frutto di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all’interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati sono utilizzabili in mod diretto, e non come mere dichiarazioni de relato soggette a verifica di attendibilità della fonte primaria» (così Sez. 2, n. 10366 del 06/03/2020, COGNOME, Rv. 278590; da ultimo, in senso esattamente conforme, v. Sez. 2, n. 48448 del 31/10/2023, COGNOME, Rv. 285587), con la precisazione che, qualora gli associati abbiano evocato dati appresi da altre persone, il giudice, pur non essendo tenuto ad applicare la disciplina di cui all’art. 195 cod. proc. pen., deve valutare rigorosamente la genuinità delle affermazioni captate e, laddove persistano dubbi, deve individuare elementi di riscontro (Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Aguì, Rv. 284980).
Nel caso di specie, a fronte della chiarezza delle espressioni utilizzate nelle conversazioni intercettate, il ricorrente ha proposto una lettura del significato di alcune conversazioni alternativa a quella dei giudici della cautela, inammissibile in assenza di una interpretazione manifestamente illogica o irragionevole, e ha cercato – come con fondamento osservato dal Procuratore generale – “di parcellizzarne la comprensione ed offrirne interpretazioni minimizzanti”.
3. In ordine alle esigenze cautelari, la presunzione della loro sussistenza e quella di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, del codice di rito, detta presunzione, salvo prova contraria, fa ritenere sussistenti i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004; Sez. 5, n. 4321 del 18/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280452; Sez. 5, n. 33139 del 28/09/2020, COGNOME, Rv. 280450; Sez. 1, n. 24135 del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 276193).
La difesa non ha allegato fatti idonei a superare la doppia presunzione, specie in presenza di un’ampia motivazione dell’ordinanza impugnata a sostegno della ritenuta concretezza e attualità del pericolo, vista anche la contestazione “aperta” del reato (pagg. 21-22), ragione per la quale l’astratto richiamo al “tempo silente” non risulta pertinente.
Il motivo sul punto delle esigenze cautelari è del tutto generico.
La inammissibilità della impugnazione si estende ai motivi nuovi, ai sensi dell’art. 585, comma 4, del codice di rito.
In sede di discussione la difesa ha dedotto che il Tribunale non avrebbe debitamente valutato la memoria presentata il 4 gennaio 2024 all’udienza fissata ex art. 309 cod. proc. pen., del cui deposito, però, l’ordinanza impugnata ha dato espressamente atto (a pag. 3).
Detta memoria non è stata richiamata né in ricorso né nei motivi nuovi e tantomeno la difesa ha specificato quali argomentazioni decisive ivi svolte sarebbero state ignorate dal Tribunale.
Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle sp-ese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto, per provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15/05/2024.