Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34835 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34835 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Genova il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 19/11/2024 del Tribunale della Libertà di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni rassegnate dal difensore del ricorrente che, riportandosi ai motivi, anche quelli aggiunti, ne chiede l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19 novembre 2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro, pronunciando sul riesame proposto da COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro il 14 ottobre 2024, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai delitti di cui ai capi 129), di partecipazione alla associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, e 171), 195) e 247), reati fine in materia d traffico di sostanze stupefacenti, ha rigettato l’istanza di riesame e per l’effett confermato l’ordinanza impugnata.
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso, per l’annullamento dell’ordinanza di che trattasi, affidata a tre motivi.
2.1. Lamenta la difesa, con l’unico motivo di cui al ricorso, ex art. 606, comma 1, lett b) ed e), cod.proc.,pen., errata applicazione di legge in relazione agli artt. 7 dPR 309/90 e 273 cod.proc.pen., e correlato vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta partecipazione al sodalizio di cui al capo 129) di provvisoria imputazione.
2.1.1. Secondo prospettazione difensiva COGNOME sarebbe un mero assuntore di stupefacenti che si rivolgeva a COGNOME, ritenuto promotore del contestato sodalizio, per l’approvvigionamento di modiche quantità di stupefacente per uso personale.
Illogica sarebbe la valorizzazione del dato intercettivo, relativo a soli due mesi peraltro, e la tesi del successivo spaccio, da parte del ricorrente, dello stupefacente da tale fonte acquistato, in difetto di prove dirette al riguardo, laddove la ‘presunta continuità del rapporto con COGNOME non potrebbe integrare prova dell’adesione consapevole a un’associazione criminale, sulla scorta della valorizzazione dell’acquisto a credito’.
Richiama la difesa la consistenza degli atti di indagine in quanto asseritamente atti a dimostrare il proprio assunto.
2.1.2. Generica e contraddittoria sarebbe poi l’ordinanza impugnata in tema di affermazione della sussistenza di esigenze cautelari. Sarebbe affermata l’attualità del pericolo sulla scorta delle specifiche modalità e circostanze del fatto, e della personalità dell’indagato, desunta dai comportamenti concreti e dai molteplici precedenti da cui sarebbe gravato; contraddittoriamente ne sarebbe poi attestata la giovane età e l’incensuratezza.
2.1.3. Infine non sarebbe stata resa adeguata motivazione, come imposto dall’art. 292 cod.proc.pen., in merito alla ritenuta sussistenza delle esigenze di cautela nonostante la lunga distanza temporale tra i fatti e la richiesta di coercizione.
2.2. Coi motivi aggiunti la difesa torna a denunciare, ex art. 606, comma 1, lett e). cod.proc.pen., mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod.proc.pen. .
Il Tribunale avrebbe ritenuto di confermare la misura della custodia cautelare in carcere disposta a carico di COGNOME sulla scorta della considerazione dell’avere il ricorrente, già sotto l’egida di COGNOME, dopo l’arresto di costui, immediatamente allacciato contatti con COGNOME NOME, asserto secondo la difesa non provato, e dunque non giustificativo della applicazione della misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Giova premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte, allorquando si impugnano provvedimenti relativi a misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4 n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; conformi, Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178).
Questo perché il controllo di legittimità che la Corte è chiamata ad effettuare consiste nella verifica della sussistenza delle ragioni giustificative della scelta cautelare nonché dell’assenza nella motivazione di evidenti illogicità ed incongruenze, secondo un consolidato orientamento espresso dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828), e successivamente ribadito dalle Sezioni semplici (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698).
Il vizio di motivazione di un’ordinanza, per poter essere rilevato, deve quindi assumere i connotati indicati nell’art. 606 lett. e), e cioè riferirsi alla mancanz della motivazione o alla sua manifesta illogicità, risultante dal testo del provvedimento impugnato, così dovendosi delimitare l’ambito di applicazione dell’art. 606, lett. c, cod. proc. pen. ai soli vizi diversi (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391).
Di conseguenza, quando la motivazione è adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, il controllo di legittimità non può spingersi oltre, coinvolgendo
giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito sull’attendibilità e la capacità dimostrativa delle fonti di prova.
Il controllo della Corte, quindi, non può estendersi a quelle censure che,pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976).
Nello scrutinio dei motivi di ricorso non si può prescindere, inoltre, dalla distinzione tra l’accertamento della responsabilità e quello, rilevante in questa sede, della gravità indiziaria.
Invero, la valutazione affidata al giudice in tema di misure cautelari personali, vincolata al rispetto dei requisiti di gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod. p pen., non coincide con quella finalizzata all’accertamento della responsabilità sulla base delle emergenze probatorie in sede dibattimentale, essendo la prima caratterizzata da esigenze interinali (cautelari, appunto) che postulano la seria probabilità, ma non necessariamente la certezza della commissione del reato da parte della persona sottoposta ad indagini; e la seconda, invece, legata alla necessità che la colpevolezza dell’imputato venga affermata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Con un consolidato orientamento giurisprudenziale, cui questo collegio, intende dare continuità, si è da tempo sostenuto come il termine “indizi”, adoperato dall’art. 273, comma 1, cod. proc. tem, abbia una valenza completamente diversa da quella che il medesimo termine assume nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.. Infatti, mentre in tale ultima norma la scelta lessicale operata dal legislatore trova la sua evidente ragion d’essere nell’esigenza di distinguere tra prove ed indizi (e soprattutto onde stabilire le condizioni in cui questi ultimi possono, considerati nel loro complesso, assurgere a dignità di “prove” e giustificare, quindi, le affermazioni di colpevolezza), l’uso del termine indizi, nell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. non è in alcun modo riconducibile ad un’analoga distinzione, ma unicamente alla diversa natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) che è richiesto ai fini dell’applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale deve, quindi, parlarsi non di “prove”, ma sempre comunque di “indizi”, non essendovi altrimenti congruenza fra detta natura probabilistica del giudizio stesso ed i fondamenti ai quali quest’ultimo deve essere ancorato (Sez. 6, n. 4825 del 12/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203600; in senso conforme, ex multis Sez. 3, n. 742 del 23/02/1998, Dersziova, Rv .. . 210514, e Sez. 6, n. 2547 del 05/07/1999, COGNOME, Rv. 214930).
Va quindi ribadito che la pronuncia cautelare è fondata su indizi di reità, e tende all’accertamento di una qualificata probabilità di colpevolezza, non della responsabilità (Sez. U., n. 11 del 21/04/1995, COGNOME, Rv. 202002).
2. Ciò premesso i motivi, svolti in fatto, risultano inammissibili, in quanto dietro l ‘schermo’ del denunciato vizio di motivazione e della violazione di legge consistono, invero, in un tentativo di rileggere le prove indicate dal Tribunale a sostegno della decisione e delle quali, neppure, hanno dedotto il travisamento.
2.1. L’ordinanza impugnata risulta avere adeguatamente analizzato tutti gli elementi indiziari, riconducendoli ad unità in considerazione della loro concordanza e, con motivazione assolutamente logica, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in quanto, affermata l’esistenza di un’associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti capeggiata da COGNOME NOME, assunto neppure contestato dal ricorrente, ha indicato in modo analitico le evidenze probatorie, riportando anche per stralcio le conversazioni captate dimostrative dell’attività del sodalizio e della partecipazione dei correi.
Partecipazione che, per quanto riguarda la persona del ricorrente, è stata ritenuta sulla base della stabile operatività nella struttura associativa, mantenendo un rapporto fiduciario con il COGNOME come risultante dalle plurime conversazioni captate attestanti il costante recarsi dell’indagato presso la base operativa del sodalizio per acquistare stupefacente da smerciare, discutere della qualità della sostanza e dei canali di approvvigionamento, collaborando anche al confezionamento dello stupefacente, sì da superare la prospettazione difensiva volta a sostenere l’acquisto per solo uso personale della sostanza.
2.2. Del pari, quanto alle esigenze cautelari, ritenute dal Tribunale e contestate dalla difesa sia nel ricorso, sia coi motivi aggiunti, ancora una volta, a fronte delle argomentazioni dei giudici di merito che, senza aporie o vizi logico-giuridici hanno non solo richiamato la presunzione di cui all’articolo 275, comma 3, cod. proc.pen., ma, anche, in concreto argomentato sul pericolo di recidiva e sulla necessità della custodia cautelare in carcere sì da render ragione della inesistenza di elementi dedotti dalla difesa idonei a superare la presunzione normativa, e hanno rilevato che l’odierno ricorrente, con la sua attività, ha consentito all’associazione di perseverare nelle attività illecite, così superando i dati asseritamente dissonanti- costituiti dallo stato di incensuratezza e dalla giovane età del COGNOME mercè la valorizzazione delle modalità del fatto, indicative della capacità del prevenuto -nonostante quanto sottolineato dalla difesa- di occupare l’imputata posizione di rilievo nella filiera dello spaccio e di porsi a tot disposizione dell’associazione.
Valutazione negativa del dato di personalità confermata dall’immediato allaccio dei rapporti con COGNOME dopo l’arresto del COGNOME, a dimostrazione -in senso contrario
rispetto alle allegazioni difensive- di una consapevole volontaria e determinata vocazione al crimine.
2.3. Inammissibile, al cospetto di tanto, la proposta diversa interpretazione delle risultanze investigative, svolta attraverso motivi, tutti fattuali, e che dunque non possono trovare ingresso in questa sede, comunque generici, sia intrinsecamente che estrinsecamente.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod.proc.pen..
Così deciso in Roma il 7 aprile 2025
La Consi ;era est.
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Il Presidente