Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2540 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2540 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASSINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/07/2023 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME, per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore: l’avvocato NOME COGNOME deposita la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 1/03/2023 n. 564/23 e la sentenza della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione del 17/10/2023 n. 44153/23; si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento degli stessi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18 luglio 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza con la quale, il 20 giugno 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per una serie di delitti ed in particolare associazione dedita al narcotraffico (capo 35) e reati inerenti le sostanze stupefacenti (capi 51, 52, 53, 54).
Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del difensore, articolando cinque motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di cui all’art. 17 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione con riferimento al giudizio di gravità indiziaria relativo al fatto di cui al capo 51: si tratterebbe di un fatto già giudicato in separato processo, per il quale è stata pronunciata sentenza in primo e secondo grado, circostanza della quale il Tribunale avrebbe dato atto a pagina 13 dell’ordinanza impugnata. Viene dunque dedotta violazione degli artt. 125, 273 comma 2 e 649 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione degli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/1990 in relazione al capo 52.
La gravità indiziaria sarebbe stata affermata in ragione della documentata uscita dell’NOME dall’abitazione di colui che custodiva la sostanza, ma ciò non basterebbe a radicare il contributo concorsuale, che non potrebbe comunque essere ravvisato nemmeno nella frequentazione che NOME aveva con quel soggetto per eventuali altre ipotesi di reato.
2.3. Il terzo motivo è analogo al secondo e riguarda il reato di cui al capo 54. Il ricorrente deduce che il proprio contributo concorsuale sia stato ravvisato in una conversazione nella quale egli cercava di far desistere gli interlocutori dalla loro volontà di recupero coattivo, mediante minaccia con arma, del saldo di una fornitura di stupefacenti da parte del debitore. Afferma il ricorrente che: il reato era già stato consumato; la condotta dell’COGNOME era in termini di contrasto rispetto alla volontà criminale altrui; tutt’al più si potrebbe ipotizzare la fattispec di favoreggiamento personale, reato per il quale la misura in atto non è consentita.
2.4. Il quarto motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge, e segnatamente degli artt. 43 cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309/1990, con riferimento al reato di cui al capo 35.
Secondo la ricostruzione del Tribunale del riesame, i singoli episodi illeciti contestati sarebbero avvenuti nella sola città di Cosenza, pur a fronte di un’organizzazione di matrice provinciale e con approvvigionamento anche extraregionale; non vi sarebbe prova di contatti dell’COGNOME se non con al massimo due soggetti, e comunque senza ripartizione tra loro di proventi diversi e più ampi rispetto all’attività da essi materialmente svolta. Il rapporto di fornitur all’ingrosso che il ricorrente avrebbe stipulato con l’organizzazione di Cassano allo ionio non consentirebbe di arguire un suo inserimento stabile nell’associazione, né a tale conclusione possono portare le dichiarazioni dei collaboratori e tantomeno le intercettazioni, dal contenuto generico, mentre l’attività di recupero dei crediti per le illecite forniture sarebbe spiegabile nel medesimo contesto di attività di acquisto e spaccio, senza ulteriori connotazioni.
2.5. Il quinto motivo attiene al vizio di motivazione ed alla violazione degli artt. 125, 192 e 274 cod. proc. pen., con riferimento alle esigenze cautelari.
La motivazione sarebbe generica e non personalizzata e si limiterebbe a negare rilevanza al c.d. “tempo silente” in ragione della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che però ha carattere relativo. Non vale per l’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 la presunzione che opera per il sodalizio di tipo mafioso, secondo la quale in difetto di elementi specifici attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo, si presume la stabilità del vincolo.
Del resto, la ravvisabilità dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, rispetto alla quale la presunzione opera, non sarebbe stata motivata.
2.6. Il ricorrente ha depositato motivi nuovi, con i quali sono stati ribaditi gli argomenti dedotti con i motivi principali, si è comunque dedotta l’illogicità della motivazione della gravità indiziaria per tutti i reati, in quanto non sostenuti da elementi di prova sufficienti, si è dedotto analogo vizio con riguardo alla consapevolezza dell’agevolazione rilevante ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen.; si è sollecitata la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla valutazione del c.d. tempo silente, in presenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti.
3. Si è proceduto a discussione orale.
La difesa si è riportata alla memoria depositata in vista dell’udienza, riepilogativa dei motivi di ricorso.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto generico, versato in fatto e manifestamente infondato, oltre che per diversi aspetti inedito.
1. E’ manifestamente infondato, anzitutto, il primo motivo.
Occorre ricordare che «l’eccezione di “bis in idem” è deducibile in qualsiasi stato e grado del procedimento dinanzi al giudice cui è rivolto l’esercizio dell’azione penale, con esclusione, pertanto, del giudice dell’impugnazione cautelare, stante la competenza funzionale di questi, circoscritta alla verifica incidentale della gravità indiziaria, nei limiti e per le finalità di cui all’art. 273 cod. proc. pen. (C Sez. 5, n. 1907 del 1995, Rv. 202630 – 01)» (Sez. 2, n. 29209 del 04/09/2020, COGNOME, Rv. P_IVA).
Ciò premesso, il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame si sia espresso circa la gravità indiziaria di un reato già giudicato, ma non considera che l’ordinanza si è riferita, in realtà, ad una pluralità di episodi contesta provvisoriamente nel capo 51, uno solo dei quali – e precisamente la detenzione illecita di 450 grammi di marijuana accertata il 4 febbraio 2020 – è oggetto del separato processo.
2. La risposta agli altri motivi inerenti la gravità indiziaria (il secondo, il terz e il quarto) passa anzitutto attraverso la preliminare considerazione per la quale la Corte di cassazione non può rivalutare la ricostruzione del quadro indiziario alla base del provvedimento cautelare (genetico e del riesame), poiché in tale ambito il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canori della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178), spettando, al più, al giudice di legittimità la verifica dell’adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di cassazione (per tutte Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828).
Il ricorrente deduce sostanzialmente l’insufficienza del quadro indiziario e censura la lettura degli elementi di prova operata dal Tribunale del riesame, inducendo inammissibilmente la Corte di cassazione ad una valutazione diversa.
La lettura degli indizi che il ricorrente propone è, in ogni caso, parcellizzata, mentre la motivazione resa dal Tribunale del riesame non appare viziata da manifesta illogicità.
Lungi dal ravvisare il concorso in uno o più dei reati-fine nella presenza occasionale presso l’abitazione del custode della sostanza o in conversazioni nelle quali il ricorrente avrebbe cercato di far desistere l’interlocutore dal prendere iniziative forti nei confronti dei debitori morosi, il Tribunale ha messo in evidenza che la presenza del ricorrente presso la citata abitazione fosse tutt’altro che occasionale, che egli ed il gruppo di riferimento siano stati coinvolti in una pluralità di illeciti relativi al commercio di stupefacenti, puntualmente ricostruiti nelle pagine da 13 a 16 dell’ordinanza impugnata, che le direttive o i consigli impartiti ai sodali in ordine alle modalità di recupero dei crediti fossero funzionali alla realizzazione più proficua degli stessi (come laddove il ricorrente suggerisce motivatamente di attendere il Natale per il presumibile incremento dei guadagni degli spacciatori e, dunque, della possibilità per questi ultimi di far fronte ai propri debiti con i fornitori: pag. 11 dell’ordinanza impugnata).
Quanto al reato associativo, la motivazione resa dal Tribunale del riesame si appalesa logicamente attendibile nel momento in cui trae il giudizio di gravità indiziaria dalla realizzazione dei reati-fine e dalla messa a disposizione dell’COGNOME rispetto alla figura centrale del sodalizio, COGNOME, tratta da conversazioni telefoniche ed ambientali (in carcere) che ne menzionano il ruolo fondamentale (pagg. 10-12 dell’ordinanza impugnata; pagg. 271-272 dell’ordinanza genetica) e che dimostrano, a giudizio del Tribunale, come questi fosse tenuto a consegnare ai vertici del sodalizio i proventi dello spaccio (pag. 9 dell’ordinanza).
Del resto, come pure correttamente il Tribunale del riesame ha ricordato a pagina 13 dell’ordinanza impugnata, «Ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti è sufficiente l’esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituito dall’interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, non essendo di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversità degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi, fornitori ed acquirenti propongono di ottenere dallo svolgimento della complessiva attività criminale» (Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265945).
3. Inammissibile è anche la doglianza relativa alle esigenze cautelari.
Il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. riguarda l’erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza) ovvero l’erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto la
fattispecie astratta). Non si versa nella denuncia di tale vizio in presenza dell’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, ipotesi, questa, mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa denunciabile sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoè, Rv. 268404).
Laddove il ricorrente denuncia apoditticamente la violazione degli artt. 125, 192 e 274 cod. proc pen., in realtà censura genericamente la motivazione sulle esigenze cautelari e, prima ancora, quella sulla sussistenza della gravità indiziaria rispetto all’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
Le doglianze sono palesemente fuori fuoco rispetto alla motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame, il quale non si è affatto limitato a ritenere operanti presunzioni né a considerare irrilevante il c.d. tempo silente.
Quanto all’aggravante, basti considerare che si tratta di un profilo nemmeno ammissibilmente dedotto dinanzi al Tribunale del riesame (il motivo di riesame sul punto si limitava a censurare il fatto che l’aggravante fosse stata «esclusivamente presunta», ed era dunque affetto da genericità intrinseca: cfr. paragrafo 1.4.4. dell’istanza di riesame), sicché il motivo di ricorso sul punto è inammissibile (cfr. Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, Gabbianelli, Rv. 282460).
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame ha correttamente motivato, in positivo e senza avvalersi di presunzioni (al contrario, espressamente escluse dall’orizzonte motivazionale: cfr. pag. 18 dell’ordinanza, laddove si evidenzia la sussistenza di esigenze cautelari «anche a prescindere dalle presunzioni di legge»), in ordine alla sussistenza di un pericolo attuale e concreto di reiterazione di reati della stessa indole, tratto dall’allarmante modus operandi dell’attività di approvvigionamento e confezionamento della sostanza stupefacente mediante la predisposizione di un vero e proprio laboratorio; dal contributo operativo offerto dal ricorrente; dalla pluralità di canali stabili di riforniment Elementi che sono stati valutati dal Tribunale come sintomatici di una capacità ancora attuale del ricorrente di riprendere l’attività illecita, se chiamato “all messa a disposizione” sul territorio, e dunque dell’insufficienza di misure meno gravose rispetto alle esigenze di cautela da soddisfare (pag. 17-18).
Non vi è dunque alcuna questione interpretativa da dirimere in ordine al c.d. “tempo silente”, trattandosi di un elemento che non ha avuto alcuna efficacia decisiva nella decisione del Tribunale, motivata in punto esigenze cautelari attraverso la valutazione in positivo degli elementi ritenuti significativi della lo attualità.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila al cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-te disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 30/11/2023