Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35695 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35695 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato a Gela il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/03/2024 del Tribunale di Caltanissetta;
letti gli atti, i ricorsi ed il provvedimento impugnato; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; uditi i difensori dei ricorrenti, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Caltanissetta ha respinto l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di NOME COGNOME, raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitti di partecipazione, con ruolo direttivo, all’articolazione dell’associazione mafiosa “RAGIONE_SOCIALE” indicata come “RAGIONE_SOCIALE” e ad una correlata associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, operanti nel territorio di Gela, in Sicilia, nonché per due episodi di detenzione di sostanza stupefacente del tipo marijuana, nella misura,
rispettivamente, di 14,5 e 800 chilogrammi (capi 2, 8, 28 e 29 dell’incolpazione provvisoria.
Avverso tale decisione hanno proposto distinti ricorsi entrambi i difensori dell’indagato, le cui doglianze, per larga parte sovrapponibili, possono complessivamente sintetizzarsi nei termini che seguono.
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione minerebbero l’ordinanza nella parte in cui è stata ritenuta l’utilizzabilità della registrazione di un colloquio co l’indagato, effettuata di nascosto, presso il domicilio dello stesso, dal suo interlocutore, tale COGNOMECOGNOME
Il Tribunale, fraintendendo il motivo di riesame, ne ha ritenuto l’utilizzabilità sul presupposto per cui questi non avesse agito su impulso della polizia giudiziaria. In realtà, la doglianza difensiva, cui il Tribunale non ha risposto, riguardava l’inviolabilità del domicilio, non trattandosi di dialogo tra autore e vittima di u reato, né comunque attestante la commissione di un reato. Si richiama, a sostegno, la giurisprudenza di legittimità in tema di videoriprese di comportamenti non comunicativi all’interno dei luoghi di privata dimora.
2.2. Gli stessi vizi vengono dedotti in relazione all’intercettazione di un dialogo tra il ricorrente e suo cognato, nonché coindagato, NOME, che sarebbe avvenuta nell’abitazione del primo, sulla base, però, di un decreto autorizzativo riguardante le conversazioni che sarebbero intercorse all’interno di un’autovettura.
Alla relativa obiezione difensiva, il Tribunale del riesame ha risposto che la lontananza della sorgente sonora, attestata dagli operatori di polizia giudiziaria, dimostrerebbe che la captazione sia avvenuta attraverso il dispositivo installato sull’autovettura, evidentemente parcheggiata nei pressi dell’abitazione. Ma replica il ricorso – proprio tale dato dimostra che gli interlocutori fossero lontani dall’auto, e quindi in casa, dove non avrebbero potuto essere intercettati.
2.3. Violazioni di legge e vizi della motivazione vengono lamentati anche con riferimento al giudizio di gravità indiziaria per la partecipazione all’associazione mafiosa.
Esso si fonderebbe esclusivamente sulle affermazioni rese dallo stesso COGNOME nel corso di varie conversazioni intercettate tra lui ed alcuni suoi familiari e conoscenti, nelle quali egli rivendica una sua consistente “caratura” criminale.
Ma – obietta la difesa – si tratta di pure millanterie, non trovando alcuna conferma le circostanze ivi narrate e non essendo la sua effettiva militanza mafiosa confermata da nessuno dei collaboratori di giustizia escussi né da precedenti procedimenti giudiziari, così che manca qualsiasi dimostrazione di un suo ruolo dinamico nel sodalizio e di un contributo concreto da lui fornito all’operatività dello stesso, essenziale per la configurabilità di una partecipazione ad esso (si
richiamano, sul punto, i princìpi affermati dalla “sentenza Modaffari” delle Sezioni unite di questa Corte del 2021).
Inoltre, passando in rassegna le risultanze investigative valorizzate dal Tribunale per la condotta in esame, si osserva che:
a) la gestione di una serra, in cui veniva coltivata la marijuana, è circostanza afferente al diverso delitto di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 8 dell’incolpazione), sicché la considerazione di essa anche ai diversi fini dell’associazione mafiosa dà luogo ad un inammissibile bis in idem sostanziale, non potendo limitarsi a sostenere che i due sodalizi siano tra loro connessi, ma dovendosi invece accertare se il singolo abbia prestato il proprio contributo in relazione specificamente a ciascuno di essi;
b) la circostanza per cui – a suo dire – COGNOME sarebbe intervenuto a dirimere una controversia tra privati è del tutto insignificante, così come lo sono gli apprezzamenti da lui mostrati sulle qualità personali di un tale COGNOME, per il solo fatto che questi fosse soggetto che aveva subìto una condanna per un tentato omicidio;
non è vero che il ricorrente contribuisse al mantenimento in carcere degli affiliati alla cosca, avendo ciò fatto solo nei confronti di suo cognato NOME COGNOME, peraltro più volte assolto da imputazioni di partecipazione ad associazione mafiosa;
d) neppure è significativo il fatto che tale COGNOME, dopo aver partecipato ad una riunione con mafiosi catanesi per dirimere una controversia, si sia recato a riferirne a COGNOME, avendovi quegli preso parte non come emissario di quest’ultimo, ma soltanto in ragione del suo rapporto confidenziale con uno degli altri presenti, derivante da una pregressa detenzione comune.
2.4. Analoghi vizi presenterebbe l’ordinanza impugnata, nella parte relativa al giudizio di gravità indiziaria per l’associazione in materia di stupefacenti.
Nella gestione delle serre utilizzate per la coltivazione della marijuana, COGNOME è praticamente assente, né emerge alcun legame tra lui e le persone che sono state sorprese ed arrestate all’interno delle stesse in occasione degli episodi di cui ai capi 28) e 29) dell’incolpazione, mancando, dunque, se non altro, quella stretta e stabile contiguità di rapporti tra i presunti sodali, necessaria per poterne desumere la comune “affectio societatis”.
Il Tribunale dà rilievo solamente alle dichiarazioni del collaborante COGNOME, il quale però menziona, con riferimento alla gestione di esse, soltanto persone riferibili ad una diversa cosca del luogo, e l’estensione di tale accusa anche al ricorrente è giustificata sulla base dell’indimostrato assunto per cui le due consorterie, operanti entrambe sul territorio di Gela, si fossero accordate per l’esercizio in comune di tale attività illecita.
2.5. In tema di esigenze cautelari, infine, l’ordinanza impugnata – si sostiene – meriterebbe di essere annullata per non aver censurato la motivazione dell’ordinanza applicativa della misura, emessa in violazione del principio della domanda cautelare, avendo il Pubblico ministero argomentato la propria richiesta sul punto in modo soltanto cumulativo ed implicito.
Inoltre, sarebbe stato completamente trascurato il fattore cronologico, trattandosi di fatti risalenti a cinque anni addietro; e, comunque, il Tribunale si sarebbe limitato ad un ragionamento astratto ed in termini semplicemente probabilistici, senza alcun riferimento a circostanze obiettive.
Entrambi i difensori hanno depositato motivi nuovi ed aggiunti, riproponendo diverse considerazioni già rassegnate con i ricorsi e deducendo, in particolare:
quanto all’associazione ex art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990: che il Tribunale avrebbe valorizzato solamente i singoli episodi delittuosi; che questi ultimi avrebbero interessato un arco di tempo limitato e breve; che non emergerebbe alcun elemento indicativo della affectio; che manca l’elemento organizzativo, che è quello che distingue essenzialmente l’associazione rispetto al concorso di persone nel reato continuato; che, infine, in punto di presunzione di esistenza di esigenze cautelari, non vale per questo di tipo di associazione l’argomento logico per cui essa possa essere vinta soltanto dimostrando la cessazione del sodalizio od il recesso del singolo da esso;
riguardo, invece, all’associazione mafiosa: che il provvedimento impugnato si è limitato ad un recepinnento acritico delle argomentazioni della richiesta del Pubblico ministero e dell’ordinanza cautelare genetica; che non possono reputarsi sufficienti a sorreggere un giudizio di gravità indiziaria le semplici frequentazioni con soggetti inseriti in consorterie mafiose; che, con sentenza n. 29984 del 6 aprile 2022, la Corte di cassazione ha annullato la condanna di tale COGNOME NOME per un’imputazione praticamente sovrapponibile all’addebito mosso a COGNOME, con motivazioni che si attagliano perfettamente anche alla posizione di quest’ultimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, in tema d’inutilizzabilità del colloquio registrato all’interno del domicilio del ricorrente dal suo interlocutore, è inammissibile, perché manifestamente infondato.
Non è conferente, in particolare, il richiamo effettuato alla “sentenza Prisco” delle Sezioni unite di questa Corte (n. 26795 del 28/03/2006, Rv. 234269), che
riguarda il diverso tema delle riprese audiovisive di comportamenti non comunicativi. Per altro verso, non può trovare applicazione nemmeno la disciplina in materia d’intercettazioni, trattandosi di colloquio registrato da uno dei partecipi (sul punto, è sufficiente rinviare a Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225465).
Eguale è il giudizio sul secondo motivo, riguardante l’inutilizzabilità del colloquio tra COGNOME e suo cognato, captato attraverso il dispositivo tecnico ritualmente installato sull’autovettura di uno di essi, ma che sarebbe avvenuto all’interno del domicilio.
Si tratta, invero, di doglianza manifestamente infondata: tanto in fatto, perché l’asserito svolgimento del colloquio in casa non è dimostrato ma semplicemente ipotizzato, mentre l’onere dimostrativo dei vizi degli atti processuali grava sulla parte che li deduca; quanto in diritto, perché il dato riNOMEnte è quello per cui le conversazioni siano state captate attraverso un dispositivo debitamente autorizzato e legittimamente collocato all’interno di un luogo non di privata dimora, qual è, appunto, un’autovettura.
Merita invece di essere accolta, rendendosi necessario un supplemento di motivazione per tale capo, la doglianza in tema di gravità indiziaria per la partecipazione all’associazione mafiosa.
Vero è – come descrive diffusamente l’ordinanza impugnata – che dalle intercettazioni effettuate dagli investigatori emergono comportamenti che potrebbero risultare ragionevolmente sintomatici dell’inserimento del ricorrente all’interno di uno dei sodalizi operanti in quell’area (pagg. 7 s.).
La debolezza di tale argomentare, però, risiede nel fatto che tutti quegli episodi e circostanze eventualmente qualificanti non soltanto sono stati ascritti a sé stesso esclusivamente dallo stesso COGNOME, ma sono stati altresì da lui esposti nell’ambito di dialoghi con familiari, conoscenti od altri soggetti con i quali quegli aveva – od è logicamente probabile che avesse – interesse ad accreditarsi come soggetto di rango nel contesto criminale del luogo. Invero, non può non considerarsi suggestiva – e, come tale, meritevole di spiegazione razionale, invece assente nel provvedimento impugnato – l’incoerenza tra la figura di mafioso di vaglia che traccia di sé COGNOME nei suoi colloqui e l’assenza di qualsiasi dato di conferma eterogeneo di una siffatta posizione criminale: la partecipazione mafiosa, infatti, non si esaurisce né in una mera manifestazione di volontà unilaterale, né in una affermazione di status, richiedendo, invece, un’attivazione fattiva a favore della consorteria connotata da dinamicità e concretezza ed implicando, pertanto, quanto meno la riconoscibilità, se non addirittura il
riconoscimento, da parte di altri aderenti al RAGIONE_SOCIALE (sul punto, per una ricostruzione della fattispecie in questi termini, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889, in motivazione, con il richiamo dei precedenti arresti delle stesse Sezioni unite nella materia).
Di tutto questo non v’è traccia nell’ordinanza impugnata, se non per quello che racconta di sé lo stesso interessato, ma che non può reputarsi logicamente persuasivo qualora, come nel suo caso, si tratti di soggetto comunque inserito nei locali circuiti criminali del commercio degli stupefacenti e, di conseguenza, abbia interesse ad attribuirsi, presso collaboratori e conoscenti, un eNOMEto credito criminale.
L’ordinanza impugnata dev’essere, quindi, annullata per tale capo, con rinvio al Tribunale del riesame perché colmi, ove possibile, detta carenza argomentativa.
Altrettanto dicasi con riferimento al delitto associativo in materia di stupefacenti.
L’inserimento del ricorrente nel commercio di tali sostanze, con il costante ausilio di suo cognato NOME, emerge in modo eloquente dalla motivazione dell’ordinanza e dai risultati investigativi in essa illustrati.
I dialoghi intercettati tra i due, i movimenti dello NOME e le altre acquisizioni probatorie ampiamente riportate dal Tribunale (pagg. 9-15, ord.), sostanzialmente non contestate dalle difese nella loro consistenza materiale, possono senza forzature ritenersi espressivi, infatti, dell’interessamento di costoro nella gestione delle serre nelle quali veniva coltivata la manjuana.
Tanto, però, non può bastare per collocare la loro condotta all’interno di un contesto organizzato e tendenzialmente stabile di uomini e mezzi, costituito da non meno di tre persone, che la legge richiede per la configurabilità di un’associazione ex art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990.
Non si colgono, infatti, nel compendio probatorio illustrato dal Tribunale, dati di fatto ragionevolmente sintomatici di una cointeressenza del ricorrente e di suo cognato con altri soggetti operanti in quel settore criminale, ulteriore, più ampia e non limitata esclusivamente ai contatti resisi necessari in occasione dei due episodi di detenzione loro addebitati e funzionali al perfezionamento di tali specifici affari criminosi.
Possono intravedersi, al più, degli spunti in quel senso in due conversazioni intercettate: una, nella quale, discorrendo di una piantagione di marijuana, costoro asseriscono di disporre anch’essi di «una squadra»; e l’altra in cui NOME, parlando con la moglie del ricorrente, le dice che egli e suo marito hanno guadagnato così tanto, che agli «sbirri» non basterebbe neppure una vita intera di lavoro per realizzare altrettanto (vds. pagg. 9 e 24). Si tratta, tuttavia, d
riferimenti generici e che, in quanto tali, debbono essere sorretti da altri dati di fatto o da plausibili argomentazioni ulteriori, perché possano acquisire quella concludenza significativa necessaria per un giudizio di gravità indiziaria, intesa come qualificata probabilità di colpevolezza.
Anche per questo capo, dunque, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata ed il procedimento rimesso al Tribunale per la necessaria motivazione supplementare.
La necessità di un giudizio ulteriore in punto di gravità indiziaria rende evidentemente superflue le doglianze difensive in tema di esigenze cautelari, sulle quali non v’è perciò ragione d’intrattenersi in questa sede.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p..
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cue all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..