Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20147 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20147 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nata il 04/04/1974 a ZHEJANG (CINA) NOME COGNOME nato il 26/09/1978 a ZHEJANG (CINA) NOME COGNOME nato il 03/10/1982 in CINA avverso l’ordinanza in data 05/11/2024 del TRIBUNALE DI BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
sentita l’Avvocata NOME COGNOME che, nell’interesse di HU YONGCUI, ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di ZHENG AIYAN, ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali e con separati ricorsi, impugnano l’ordinanza in data 05/11/2024 del Tribunale di Brescia che, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal pubblico
ministero avverso l’ordinanza in data 28/08/2024 del G.i.p. del Tribunale di Brescia, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME (capi 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92 e 93) e di NOME COGNOME (capi 85 e 88) e la misura degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME (capi 85 e 89), in relazione ai reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari e di riciclaggio (contestato al capo 85) e di riciclaggio loro rispettivamente contestati.
Deducono:
COGNOME NOME
Prima dell’esposizione dei motivi, va premesso che nei confronti della ricorrente il G.i.p. aveva escluso la gravità indiziaria in relazione al capo 85 e anche la sussistenza del pericolo di recidiva, così che rigettava la richiesta di misura cautelare.
1.1. Inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità.
La nullità viene rinvenuta nella mancata traduzione dell’ordinanza cautelare in una lingua comprensibile all’indagata alloglotta, che sin dall’inizio del procedimento, in sede d’identificazione e di notificazione del decreto di fissazione dell’udienza, per il tramite di un’ausiliaria di lingua cinese, ha dichiarato di non comprendere l’italiano.
Vengono richiamati gli arresti giurisprudenziali sul punto.
1.2. Vizio di motivazione in relazione all’associazione contestata al capo 85.
Si assume la mancanza di elementi utili a far ritenere la sussistenza di un’adesione dell’indagata all’associazione contestata al capo 85.
A tale proposito si premette che a suo carico vengono valorizzati quattro episodi di cessione da cui si ricava un ruolo di spicco dell’indagata sulla base di un’intercettazione di un’unica conversazione svoltasi in data 25/05/2021 (progressivo 286) e intercorsa tra COGNOME e un soggetto non identificato, dalla quale si attribuisce a COGNOME un ruolo fondamentale nel sodalizio oltre che l’appellativo di “Signora”.
Si assume, dunque, che tale appellativo non può dirsi certamente riconducibile all’indagata, atteso che in una precedente intercettazione lo stesso NOME COGNOME sostiene che si sta recando a Torino “a prendere roba dalla Signora”; senonché si precisa- l’indagata in quel giorno si trovava in Cina, dove si era recata sin dal 30/01/2021 fino al 26/07/2021, quando ritornava in Italia, per come attestato nel suo passaporto, di cui si allega un estratto.
Si rappresenta, inoltre, l’esiguità del numero delle dazioni asseritamente perfezionate, il ridottissimo arco temporale d’interesse, visto che l’indagata aveva trascorso in Cina gran parte del periodo d’interesse, l’assenza di contatti con gli altri sodali pur attribuendosi un ruolo gestorio, oltre che l’assenza di contatti diretti
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con lo stesso NOME COGNOME ossia tutta una serie di elementi che escludono l’esistenza di un’adesione permanente al sodalizio.
Si assume, ancora, la natura congetturale dell’ipotesi secondo cui l’indagata farebbe parte, con ruolo direttivo, di altra e distinta consorteria oltre che la contraddittorietà della motivazione ove comparata con le motivazioni che hanno condotto all’esclusione della gravità indiziaria nei confronti di altri indagati, proprio in ragione dell’unicità delle condotte.
Si conclude osservando che l’indagata era all’oscuro delle condotte di riciclaggio, rispetto alle quali le viene attribuito soltanto un segmento.
1.3. Travisamento e malgoverno della prova, illogicità della motivazione in relazione agli episodi di cessione di denaro in contestazione al capo 88.
Il motivo muove dalla data delle cessioni, che secondo la contestazione sarebbero avvenute a Nichelino (To) il 25.05.2021, a Frosinone il 10/08/2021, a Roma il 28/08/2021, a Noventa di Piave – Brescia il 10/09/2021.
1.3.1. Con riguardo al primo episodio si ribadisce che il contenuto delle conversazioni intercettate è smentito dalle risultanze del passaporto, che collocano la donna in Cina tra gennaio e luglio 2021.
Si rimarca che le evidenziate annotazioni sono sicuramente riferibili al passaporto dell’indagata, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale.
Si osserva, dunque, come non vi siano elementi concreti per ritenere che la consegna sia avvenuta presso un delegato di Zheng, atteso che questa conclusione è puramente congetturale.
1.3.2. Con riguardo ai restanti episodi si assume che gli elementi valorizzati dal tribunale non sono adeguati a raggiungere la soglia dei gravi indizi di colpevolezza e, a sostegno dell’assunto, vengono illustrate e compendiate le risultanze investigative per evidenziarne le lacune, soprattutto in punto di identificazione dell’indagata come “la Signora” e alla sua effettiva partecipazione agli scambi di denaro, in assenza -tra l’altro- di contatti diretti con NOME COGNOME
1.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla scelta della misura cautelare della custodia in carcere.
A tale proposito si osserva che il tribunale ha ritenuto di applicare la misura carceraria osservando che la donna era in grado di dialogare con i vertici di altro sodalizio in condizioni paritarie, pur in assenza di prova sia dei contatti, sia dell’esistenza di altra associazione.
Ulteriori censure sono mosse in relazione al connotato di spregiudicatezza attribuito dal tribunale, oltre che alla mancata giustificazione dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, avendo riguardo ai tre anni decorsi tra l’ultima cessione e l’applicazione della misura cautelare.
Si denuncia anche l’insussistenza del pericolo di fuga, apoditticamente ritenuto dal tribunale.
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Prima di esporre i motivi, va premesso che il g.i.p. aveva ritenuto sussistente la gravità indiziaria in ordine al delitto associativo di cui al capo 85, ma aveva escluso l’attualità delle esigenze cautelari, così rigettando la richiesta di applicazione della misura carceraria.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione omessa o manifestamente illogica in relazione alla gravità indiziaria con riguardo ai capi da 85 a 93).
2.1.1. Con riguardo alla fattispecie associativa osserva che il tribunale, nell’accogliere l’appello del pubblico ministero, pur non investito delle questioni relative alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma solo in relazione alle esigenze cautelari, avrebbe dovuto comunque motivare circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Sottolinea come la motivazione sia affetta da un ragionamento sillogistico presuntivo, in quanto acriticamente recettivo del teorema accusatorio e in mancanza di dato oggettivo circa la provenienza da delitto delle somme asseritamente raccolte da NOME COGNOME e dai soggetti indicati come suoi sodali.
Aggiunge che la motivazione è contraddittoria nella parte in cui afferma che il denaro riciclato proviene dall’attività di narcotraffico commessa da soggetti albanesi, epperò nei delitti contestati di riciclaggio nessuno dei raccoglitori di denaro è accusato di narcotraffico, fatta eccezione per il capo 86, mentre per il capo 93, neanche sono stati identificati.
Si deduce, quindi, l’assenza di prova quanto alla provenienza illecita del denaro che si assume riciclato.
2.1.2. Con riguardo alle ipotesi di riciclaggio, si premette che, secondo l’accusa, il riciclaggio avveniva trasferendo il denaro a imprenditori compiacenti, che annotavano fatture per operazioni inesistenti. Si osserva che, però, mancano sia le fatture, sia l’indicazione delle imprese che emettevano tali fatture, tanto che il G.i.p. escludeva vi fosse il requisito dell’attualità delle esigenze cautelari.
Si rimarca come nel sistema di riciclaggio ipotizzato dal pubblico ministero (trasferimento di denaro dietro emissione di fatture per operazioni inesistenti a opera delle società cartiere; bonifico effettuato dalla società non cartiere a quelle cartiere, per poi arrivare alla retrocessione monetaria utilizzando il denaro di provenienza delittuosa, da narcotraffico o altro) l’individuazione delle fatture emesse dalle società cartiere diventa elemento centrale e imprescindibile per dimostrare la fondatezza dell’accusa. Si aggiunge che non è stato neanche dimostrato che il denaro raccolto fosse quello usato per la retrocessione.
Si osserva ulteriormente come la fattispecie associativa indichi come reati fine i reati fiscali e il riciclaggio del provento di tali reati, eppure non si rinviene l contestazione neanche di un reato fiscale.
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2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’attualità delle esigenze cautelari e sull’inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
A tale proposito si assume che la prova dell’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari proviene dal fatto che l’indagato si trovava già ristretto agli arresti domiciliari quando veniva emessa l’ulteriore ordinanza e, sebbene si fosse reso precedentemente latitante, si era poi costituito, tanto che il g.i.p. aveva ritenuto adeguata la misura domiciliare, di cui rispettava le prescrizioni.
A fronte di ciò si deduce l’omessa valutazione del tribunale circa l’assoluta necessità del ripristino della misura carceraria.
3. HU COGNOME (capi 85 e 89).
Prima di esporre i motivi, va premesso che il g.i.p. aveva escluso la gravità indiziaria in relazione al capo 85 e anche la sussistenza del pericolo di recidiva, così che rigettava la richiesta di misura cautelare.
3.1. Vizio di motivazione in relazione alla gravità indiziaria.
Il ricorrente premette che la gravità indiziaria in punto di consapevolezza e partecipazione alla struttura associativa sulla base della conoscenza della società cartiera RAGIONE_SOCIALE e in ragione dell’utilizzo della piattaforma zhifubao.
Si assume, dunque, che tali elementi potrebbero costituire i gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo 89, ossia al riciclaggio, ma non anche in relazione al capo 85, ossia per la fattispecie associativa, non essendo a tal fine sufficiente una semplice operazione di riciclaggio, in assenza di contatti con gli altri soggetti ritenuti appartenenti al sodalizio criminoso.
Peraltro -si aggiunge- l’indagata non poteva sapere che la RAGIONE_SOCIALE fosse una società cartiera.
Si conclude, dunque, osservando che il quadro indiziario è equivoco e che, nel dubbio, occorre preferire quello più favorevole all’indagata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME é fondato, nel senso di seguito specificato.
1.1. Con il primo motivo viene dedotta la nullità dell’ordinanza applicativa della misura cautelare in quanto non tradotta nella lingua conosciuta dall’indagato alloglotta.
1.1.1. In via di inquadramento sistematico, bisogna premettere che, in relazione a tutti gli indagati, il provvedimento impugnato si presenta alla stregua di un’ordinanza genetica della misura cautelare, in quanto il G.i.p., sia pure con motivazioni diverse, aveva respinto la richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti degli odierni ricorrenti.
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In particolare, il G.i.p. aveva confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione all’associazione per delinquere dedita al traffico illegale di stupefacenti e ai correlati reati fine contestati dal capo 1 al capo 84, costituenti il reato presupposto rispetto ai reati di riciclaggio contestati agli odierni indagati.
Secondo l’ipotesi accusatoria, infatti, COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sarebbero partecipi dell’associazione per delinquere dedita al riciclaggio contestata al capo 85, oltre che responsabili dei fatti di riciclaggio loro rispettivamente contestati ai capi 88 (COGNOME), 89 (NOME COGNOME) e 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92 e 93 (NOME COGNOME).
Il G.i.p. ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti di NOME COGNOME sia per l’associazione, sia per i fatti di riciclaggio, ma ha escluso la sussistenza di esigenze cautelari; ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i fatti di riciclaggio contestati a COGNOME e NOME COGNOME, ma ha escluso sia che le due donne fossero partecipi dell’associazione contestata al capo 85, sia che vi fossero esigenze cautelari.
Il tribunale, sull’appello del pubblico ministero, ha sovvertito il giudizio del g.i.p., ritenendo che tutti e tre gli indagati fossero partecipi dell’associazione e ha ritenuto la sussistenza di esigenze cautelari nei confronti di tutti loro, così applicando le misure cautelari indicate in epigrafe.
Nel fare ciò, il tribunale si è occupato anche del requisito dei gravi indizi di colpevolezza sia in relazione alla fattispecie associativa, sia in relazione ai singoli fatti di riciclaggio, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso di Hu COGNOME
1.1.2. Così specificato che il provvedimento impugnato deve considerarsi un’ordinanza genetica della misura cautelare, va rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte si sono già occupate del tema del vizio configurabile in ipotesi di ordinanza non tradotta in una lingua conosciuta all’indagato alloglotta, quando tale sconoscenza sia già nota al giudice, come nel caso in esame.
Con la sentenza n. 15069 del 26/10/2023 (Sez. U., dep. 2024, COGNOME, 286356 – 01), è stato precisato che la necessità di una traduzione dell’ordinanza cautelare chiara, completa e celere trae il suo fondamento sistematico dal combinato disposto dell’art. 24, secondo comma, Cost. e dell’art. 6, par. 3, lett. a), CEDU, in quanto il provvedimento che dispone una misura cautelare personale produce i suoi effetti tipici sin da subito, incidendo direttamente sulla libertà personale dello straniero che non conosce la lingua italiana.
Le Sezioni Unite hanno osservato che «nel caso in cui il destinatario della misura restrittiva sia un cittadino straniero che non conosce la lingua italiana, l’art. 292 cod. proc. pen. deve essere letto in correlazione sistematica con l’art. 143 cod. proc. pen., che disciplina le modalità con cui deve essere eseguita la traduzione degli atti fondamentali. Dal combinato disposto delle due norme deriva un obbligo di traduzione del provvedimento restrittivo della libertà personale emesso nei confronti dei soggetti che ignorano la lingua italiana, la cui violazione determina una
nullità a regime intermedio, in linea con l’opzione ermeneutica risalente, che ritiene tale inquadramento corroborato dal fatto che il citato art. 143 non prevede alcuna sanzione processuale per le ipotesi in esame (tra le altre, Sez. 4, n. 27347 del 13/06/2001, Sharp, Rv. 220040 – 01; Sez. 3, n. 882 del 12/12/1998, COGNOME, Rv. 213068 – 01; Sez. 1, n. 2228 del 10/04/1995, COGNOME, Rv. 201461 – 01; Sez. 1, n. 4179 del 02/10/1994, COGNOME, Rv. 199465 – 01). . Occorre, pertanto, ribadire la necessità di ricondurre le ipotesi in cui la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato o dell’imputato alloglotta emerga prima dell’emissione del provvedimento cautelare alla categoria processuale delle nullità a regime intermedio, derivante, nel caso di specie, dal combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen.».
1.1.3. Così ricondotta l’ipotesi di omessa traduzione alle nullità a regime intermedio, le Sezioni Unite così dette COGNOME si sono anche espresse circa l’individuazione dell’interesse che deve sorreggere l’impugnazione del soggetto alloglotta.
In tal senso ha chiarito che «il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell’omissione, ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l’onere di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, Modellar°, Rv. 285186 – 01; Sez. 4, n. 4789 del 19/02/1992, Sità, Rv. 189947 – 01). L’interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste soltanto se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza dell’ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo. Sul punto, è opportuno richiamare Sez. 1, n. 13291 del 19/11/1998, Senneca, Rv. 211870 – 01, secondo cui non si può prefigurare alcuna nullità dell’atto, laddove «sia solo l’imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto». Si tratta, a ben vedere, di una conclusione imposta dalla giurisprudenza consolidata in tema di interesse a impugnare, risalente a Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693 – 01, secondo cui tale nozione deve essere ricostruita «in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo”».
1.1.4. Nel caso in esame, dunque, può rilevarsi come -in effetti- il tribunale non abbia provveduto alla traduzione dell’ordinanza applicativa della misura
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cautelare in una lingua conosciuta all’indagata alloglotta, di cui già era formalmente nota la sconoscenza della lingua italiana.
In tal senso si sarebbe configurata la nullità dedotta.
Nel ricorso, però, è stata dedotta tale nullità, ma non è stato allegato l’interesse concreto e attuale dell’indagata, né il pregiudizio in concreto subito da NOME COGNOME dalla mancata traduzione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare.
La difesa, invero, soltanto in sede di discussione, dopo la requisitoria del pubblico ministero, ha dichiarato che la mancata traduzione non ha consentito una corretta e completa interlocuzione con la propria assistita, con conseguente pregiudizio del diritto di difesa.
A tale riguardo, pur lasciandosi in disparte la genericità e astrattezza dell’interesse così espresso, va comunque rimarcata la tardività della dichiarazione, in quanto resa quando il termine indicato dall’art. 311 cod. proc. pen. era oramai spirato.
Tale norma, infatti, prevede che, in materia cautelare personale, il ricorrente ha facoltà di enunciare motivi nuovi davanti alla Corte di cassazione prima dell’inizio della discussione, che si avvia con la requisitoria del procuratore generale. La ratio della disposizione è insita nel fatto che i motivi possono essere valutati dal pubblico ministero nella sua requisitoria solo se esposti prima della discussione, considerato che nel giudizio di cassazione non sono ammesse repliche.
In tal senso è stato enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di libertà personale, è inammissibile il motivo nuovo presentato dopo l’inizio della discussione» (Sez. 2, n. 2797 del 11/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265778 – 01).
Il principio di diritto trova applicazione anche nel caso in esame.
Va considerato, invero, «il principio generale delle impugnazioni, concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi, non è derogato nell’ambito del ricorso per cassazione contro i provvedimenti “de libertate”, l’unica diversità attenendo al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non è quello di quindici giorni prima dell’udienza, ma è spostato all’inizio della discussione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibili motivi nuovi in tema di esigenze cautelari e di scelta della misura in un caso in cui il ricorso originario aveva riguardato esclusivamente i gravi indizi di colpevolezza)» (Sez. 3, n. 2873 del 30/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284036 – 01).
L’esplicitazione dell’interesse all’impugnazione, rientra senz’altro in tale nozione di motivo nuovo, in quanto esplicitazione dell’interesse correlato ai motivi già esibiti, ma, in quanto tale, andava espresso prima dell’inizio della discussione, ossia prima dell’inizio della requisitoria del pubblico ministero.
Il motivo d’impugnazione è, dunque, inammissibile, atteso che il ricorrente non ha tempestivamente dedotto l’interesse attuale e concreto sotteso al motivo
né il reale pregiudizio subito in ragione della mancata traduzione del provvedimento in una lingua conosciuta dall’indagata.
1.2. Il ricorso è, tuttavia fondato sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza.
1.2.1. I primi rilievi riguardano l’attribuibilità a NOME COGNOME dell’appellativo “signora”, per come ritenuto dal tribunale.
1.2.2. Il tribunale, invero, ritiene che COGNOME sia la “signora” cui si riferisce NOME COGNOME nelle sue interlocuzioni con COGNOME Raffaele e con altri ignoti interlocutori sulla base del contenuto di una conversazione intercettata il 25/05/2021 (n. 283 progr.) quando NOME COGNOME parlando con un soggetto non identificato, riferisce di trovarsi a Torino per prendere “roba” dalla “signora”.
A tale riguardo il tribunale osserva che in quella data NOME COGNOME aveva impostato il navigatore per recarsi in INDIRIZZO, in Nichelino, dove effettivamente giungeva intorno alle ore 11,24; che qui si fermava e restava in auto per effettuare una serie di conversazioni, tra le quali quella d’interesse, intercorsa con un soggetto non identificato, nel corso della quale diceva: «ora sono a Torino a prendere roba dalla Signora»; che, grazie al sistema GPS era stato possibile riscontrare che NOME COGNOME, una volta giunto in INDIRIZZO effettuava vari giri dell’isolato, per poi riposizionarsi alle ore 13,03 nella vicina INDIRIZZO (sita in prossimità di INDIRIZZO, dopodiché alle 13,09 ripartiva.
Sulla base del contenuto della conversazione intercettata e di tali elementi fattuali, il tribunale così argomenta: «in questa occasione deve ritenersi avvenuta una consegna di denaro, a favore di NOME COGNOME, da parte della “signora” ovvero di una incaricata della stessa».
1.2.3. Non può che riconoscersi come la conclusione così raggiunta dal tribunale sia apodittica e congetturale, in quanto priva di consequenzialità logica rispetto ai fatti storici.
I giudici, invero, non spiegano quale sia stato il percorso logico che li ha condotti a ritenere che Hu COGNOME, il 25/05/2021, abbia incontrato la “signora” intesa come COGNOME, in Nichelino, alla INDIRIZZO visto che, nel fatto così come descritto in motivazione, non risulta che quello abbia incontrato alcuno e non si fa riferimento ad alcuna consegna a qualcuno e/o di consegne da parte di qualcuno.
Nella motivazione del provvedimento impugnato, infatti: a) non viene indicato alcun elemento che confermi che NOME COGNOME abitasse, dimorasse o, comunque, avesse una base operativa all’indirizzo di INDIRIZZO a Nichelino, dove NOME COGNOME si sarebbe recato a prendere “la roba”; b) non si fa alcun riferimento a uno scambio di denaro (o uno scambio di qualsiasi genere) effettuato nell’ora e mezza in cui NOME COGNOME è stato a Nichelino, visto che la narrazione dei giudici lo fa vedere sempre in automobile, con la quale circola intorno a INDIRIZZO o staziona in INDIRIZZO;c) non si ha alcun elemento concreto che confermi che NOME abbia effettivamente incontrato la “signora” intesa quale NOME COGNOME o
chiunque altro, atteso che non risulta sia stato visto entrare in un fabbricato e non è stato visto e/o sentito incontrarsi con alcuno (va evidenziato che nell’autovettura di COGNOME era attiva un’intercettazione ambientale, che nulla ha registrato a tale riguardo).
Va ulteriormente rimarcato che non sono stati indicati in motivazione elementi concreti da cui trarre che NOME COGNOME in quella occasione, abbia incontrato “un’incaricata” della “signora” e, ancor prima, che la “signora” avesse incaricato qualcuno a consegnare “la roba” in sua vece.
A fronte di una motivazione che -per quanto esposto- risulta apodittica e congetturale, va ulteriormente segnalato come, a proposito di tale incontro, l’assunto difensivo secondo cui la donna si trovava in Cina dal 30 gennaio 2021 al 26 luglio 2021, sembra trovare un’eco nella stessa motivazione del provvedimento impugnato, là dove, alla pagina 53, i giudici evidenziano che COGNOME era stata controllata il 28/01/2021, in uscita dal territorio dello Stato Italiano, così confermandosi la possibilità che la donna effettivamente, fosse all’estero all’epoca del fatto in questione.
1.2.4. Occorre, dunque, ricordare che «in tema di misure cautelari personali, sebbene per la loro applicazione sia necessaria un probatio minor di quella richiesta per la condanna, essendo sufficiente una qualificata probabilità di colpevolezza, occorre tuttavia che l’identificazione del soggetto nei confronti del quale si procede sia certa» (Sez. 3, n. 30056 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 282232 01; Sez. 5, n. 9192 del 07/02/2007, COGNOME, Rv. 236258 – 01).
Tale connotato di certezza non può ritenersi raggiunto nelle argomentazioni del tribunale, mancando l’indicazione di elementi concreti idonei a dimostrare che l’indagata possa identificarsi nella “signora”.
1.2.5. Analoghi rilievi vanno esposti anche con specifico riferimento alla ritenuta partecipazione di COGNOME al sodalizio di cui al capo 85), al cui riguardo il tribunale evidenzia: «la relativa intraneità, in un ruolo, peraltro, affatto gregario, all’associazione capeggiata da quest’ultimo e da COGNOME NOME: ella non solo è emersa come in contatto diretto con NOME COGNOME, ma all’evidenza è soggetto ben noto anche a COGNOME NOME, e viene considerata, in termini espliciti, come la principale referente di una distinta ed ulteriore consorteria, verosimilmente legata al narcotraffico, con operatività transnazionale, da cui l’associazione di Hu dipende in termini non improvvisati, né occasionali ed episodici, bensì risalenti e costanti, per l’approvvigionamento di ingenti somme di denaro, da porre a fondamento dell’attività riciclatoria cui è dedita »; e ancora: «il relativo ruolo nell’associazione si connota in termini pregnanti, essendo in grado di dialogare su posizioni paritarie con i vertici della stessa; la donna è peraltro emersa essere a sua volta a capo di una collaterale ed autonoma consorteria, verosimilmente legata al narcotraffico di stupefacenti ».
1.2.6. Il tribunale, quindi, fonda il proprio giudizio di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sulla base di due assunti: a) COGNOME interloquisce in condizione di parità con i vertici dell’associazione contestata al capo 85 (COGNOME e COGNOME Raffaele); b) COGNOME risulta la referente di altra autonoma associazione, “verosimilmente legata al narcotraffico”, con portata transnazionale.
Entrambi gli assunti, tuttavia, non sono supportati da alcuna emergenza investigativa e non sono accompagnati dall’indicazione degli elementi concreti su cui essi si fondano, così che anch’essi risultano congetturali.
Tanto risulta in maniera piuttosto evidente in relazione all’affermazione secondo cui NOME COGNOME sarebbe partecipe e referente di altra associazione (diversa da quella di cui al capo 85), al cui riguardo non si ha la benchè minima indicazione di elementi concreti da cui ricavare, sia pure in via indiziaria, l’esistenza di tale ulteriore sodalizio criminoso “verosimilmente dedito al narcotraffico” e con portata transnazionale.
Tanto più che non viene neanche spiegato secondo quale dinamica la donna sarebbe al contempo partecipe di entrambe le associazioni.
Su tale circostanza si registra, quindi, un totale silenzio circa gli elementi su cui si fonda il convincimento dei giudici.
Analoghi rilievi valgono anche per l’ulteriore asserzione, secondo cui NOME COGNOME interloquisce in condizioni di parità con i vertici dell’associazione di cui al capo 85), ossia NOME COGNOME e COGNOME NOME.
Anche in questo caso, i giudici non indicano le emergenze investigative ovvero gli elementi concreti su cui fondano l’assunto, visto che nel corpo della motivazione non viene mai segnalata una conversazione e/o un contatto diretto con taluno dei soggetti nominati.
Tanto vale in particolar modo con riguardo alla figura di COGNOME NOME, visto che dalla lettura del provvedimento impugnato non emerge che i due si siano mai incontrati o che si siano mai parlati o che abbiano avuto qualche tipo di contatto.
Analogamente, nessuna conversazione è stata segnalata siccome intercorsa tra l’indagata e NOME COGNOME anche lui considerato al vertice dell’associazione insieme a COGNOME
I giudici, dunque, fondano il proprio giudizio di gravità indiziaria quanto alla partecipazione di COGNOME alla consorteria di cui al capo 85) su osservazioni che -allo stato- sembrano non avere alcun ancoraggio ai dati fattuali emersi dalle investigazioni, così come evidenziati nel provvedimento impugnato, dove manca alcuna indicazione circa l’esistenza di dati oggettivi da cui trarre che COGNOME sia la “signora” cui fa riferimento NOME COGNOME nelle sue conversazioni (via WhatsApp o al Telefono), che sia un’interlocutrice privilegiata di COGNOME e di NOME COGNOME nella dinamica associativa e che sia referente di altra associazione dedita al narcotraffico.
1.2.1. Tali rilievi evidenziano come il tribunale abbia ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sulla base di elementi che non sono dotati della gravità, ossia di un requisito che suppone che la circostanza posta a fondamento del ragionamento logico inferenziale sia certa nella sua esistenza oltre che convincente (cfr. in motivazione, Sez. 6, Sentenza n. 26115 del 11/06/2020, Pesce, Rv. 279610 – 01).
In un arresto certamente risalente, ma pur sempre valido, è stato spiegato che «ai fini dell’applicazione delle misure cautelari personali si richiede che gli indizi abbiano i requisiti della certezza e della gravità. Il primo, non esplicitamente menzionato dalla disposizione dell’art. 273 comma primo, cod. proc. pen. postula la verifica processuale circa la reale sussistenza della circostanza stessa, posto che non potrebbe essere consentito fondare la prova critica su un fatto verosimilmente accaduto, valorizzando inammissibilmente il mero sospetto o la personale congettura. Il requisito della gravità puntualizza, invece, la capacità dimostrativa, la pertinenza cioè del dato rispetto al thema probandum, in quanto non sarebbe utilizzabile l’indizio cui si possa attribuire un significato ben diverso da quello di inferenza (nel rapporto logico fatto noto – fatto da dedurre)» (Sez. 2, n. 2935 del 17/09/1992, Palermo, Rv. 191072 – 01; più di recente, non massimata, Sez. 1, n. 49359 del 17/11/2009).
Il ragionamento sulla gravità degli indizi a carico dell’indagata appare suppositivo e presuntivo, giacchè quanto ritenuto dai giudici risulta incoerente -se non del tutto disconnesso- rispetto alle premesse fattuali e alle emergenze investigative messe in rilievo, non evidenziandosi alcun dato storico dotato della certezza, da cui sia possibile giungere -in via di consequenzialità logica- alle conclusioni tratte con la motivazione in esame.
1.2.2. Tale labilità indiziaria si riverbera e si registra anche in relazione ai singoli fatti di riciclaggio contestati al capo 88).
1.2.2.1. Quanto alla consegna del 25/05/2021 in Nichelino si è già detto.
1.2.2.2. I medesimi salti logici e fattuali evidenziati per la consegna del 25/05/2021 con riguardo alla consegna in Nichelino si registrano anche in relazione alla consegna del 10/08/2021 a Frosinone.
I giudici pongono a fondamento dei gravi indizi di colpevolezza la circostanza che il 10 agosto 2021, NOME COGNOME e NOME COGNOME (oltre che tale NOME COGNOME) alloggiavano nello stesso Hotel, ossia “RAGIONE_SOCIALE” in Frosinone. Il fatto che in quella occasione si sia avuta una consegna a opera di NOME COGNOME viene tratta dal contenuto di una conversazione via WhatsApp intercorsa tra NOME COGNOME e COGNOME NOME (alias COGNOME), da dove -secondo i giudici- emerge il primo riferimento a NOME COGNOME con l’appellativo di “signora” e l’importo che sarebbe stato consegnato, pari a 500.000 euro.
Anche in questo caso, però, nella motivazione non viene spiegato il procedimento logico che ha condotto alle conclusioni tratte dai giudici, ove si consideri
che nella conversazione: si fa riferimento a quattro persone (e non a due, quante presenti nell’Hotel la Trattoria); non si parla di 500.000 euro, ma di 500 Km che vengono menzionati per rispondere alla domanda “a che ora, quanti Km sono?”; la “signora” che NOME COGNOME deve incontrare è in partenza da Roma e non viene offerto alcun elemento per ritenere che fosse proprio NOME COGNOME in partenza da Roma; si descrive una dinamica di persone che vanno avanti, seguite da altre, senza alcun riferimento all’odierna ricorrente; si concorda un appuntamento per le 11,00 del giorno dopo, apparentemente presso l’Hotel in INDIRIZZO in Frosinone, senza che sia specificato con chi; non si parla mai di scambio di denaro.
Lasciando in disparte che questa chat -riportata inserendo i relativi screenshot nel corpo del provvedimento- è priva di data e che nessuna data viene indicata dal tribunale, non può che rilevarsi come anche in essa non venga indicata quale sia la connessione logica tra il dato fattuale e le conclusioni raggiunte dai giudici, visto che non vengono esposti elementi dotati di concretezza che colleghino la conversazione così come riportata al fatto che COGNOME e che nell’albergo in cui dimorava vi sia stato un eventuale scambio del denaro, che si assume detenuta, fino a quel momento, dall’odierna indagata.
1.2.2.3. Egualmente priva di consequenzialità logica risulta anche la motivazione sui gravi indizi di colpevolezza in relazione allo scambio di denaro avvenuto presso il centro Commerciale RAGIONE_SOCIALE di Noventa di Pieve il 10/09/2021.
A tale proposito i giudici osservano che in quella data COGNOME veniva controllato nella sua autovettura e gli operanti rinvenivano e sequestravano 950.000,00 euro. Gli investigatori, dunque, al fine di ricostruire le modalità dello scambio di denaro, acquisivano le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza del menzionato centro commerciale, così verificando che la “corriera” era una donna, che giungeva sul posto dello scambio con un’autovettura Mercedes con targa Slovena TARGA_VEICOLO, di proprietà del cittadino cinese NOME COGNOME e che “dalle informazioni assunte dalla autorità slovene, poteva essere utilizzata dal cittadino cinese NOME COGNOME
Non può che osservarsi come il tribunale non dia nessuna indicazione circa le modalità di identificazione di NOME nella donna che viene indicata quale “corriera”.
Nel prosieguo della motivazione, si passa a trattare della vicenda dello scambio che si assume avvenuto in Frosinone il 10/08/2021, e in tale ambito si osserva che NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano alloggiato entrambi nell’albergo “La Trattoria”, dal 9 al 10 agosto e che il 28 gennaio l’odierna indagata veniva controllata insieme a NOME COGNOME, in uscita dal territorio italiano, sull’autovettura con targa slovena TARGA_VEICOLO.
I giudici, però, non spiegano quale connessione vi sia tra la consegna fatta in Noventa di Pieve da una non ben identificata corriera il 10/09/2021 e il fatto che COGNOME alloggiasse un mese prima nello stesso albergo “RAGIONE_SOCIALE” in
cui alloggiava NOME COGNOME; né, tantomeno, viene indicato il collegamento tra quella consegna in Noventa di Pieve e il fatto che venisse controllata il 28/01/2021, in uscita dal territorio italiano, su un’autovettura con targa slovena (diversa da quella utilizzata dalla corriera di cui sopra), in compagnia di altro cittadino cinese NOME COGNOME che -fin qui- non viene indicato come coinvolto nello scambio di Noventa di Pieve, visto che in relazione allo scambio i giudici riferiscono di una donna vista arrivare conducendo un’autovettura di proprietà di NOME COGNOME e che (in base alle informazioni delle autorità slovene) poteva essere usata da NOME COGNOME.
Soltanto a pagina 55, i giudici osservano che NOME COGNOME “era solita viaggiare insieme a Lu Yungqing, anche a bordo della medesima autovettura con cui è stata vista giungere ed allontanarsi dal centro commerciale il successivo 10/09/2021”.
Queste conclusioni, però, non trovano coerenza con gli elementi di fatto indicati alla pagina 53 dell’ordinanza, rispetto all’episodio di Noventa di Piave, dove viene annotato che la “corriera” arrivava da sola e su di un’autovettura riferibile a Liu Yaje e a Liu Yungfeng, ma non a Liu Junqing. Tanto che lo stesso tribunale annota che COGNOME e NOME COGNOME sono stati visti viaggiare su un’auto diversa da quella utilizzata dalla corriera (quando il 28/01/2021 uscivano dal territorio italiano), ma non vengono mai osservati (o comunque non viene indicato in motivazione), che i due fossero stati avvistati a viaggiare insieme nell’autovettura Mercedes, con targa Slovena TARGA_VEICOLO, di proprietà del cittadino cinese NOME COGNOME e che “dalle informazioni assunte dalla autorità slovene, poteva essere utilizzata dal cittadino cinese NOME COGNOME
La motivazione, dunque, risulta perplessa, intrinsecamente contraddittoria e -ancora una volta- priva di consequenzialità logica tra le premesse in fatto e le conclusioni raggiunte.
1.2.2.4. Risulta nuovamente incerta, infine, l’identificazione di NOME COGNOME quale autrice della consegna che viene contestata come avvenuta in Roma il il 28/08/2021.
In questo caso, il tribunale evidenzia che COGNOME il 28/08/2021 si recava a Roma e alloggiava presso l’Hotel Hilton Garden Inn Roma Claridge; che il giorno dopo, il 29/08/2021, “grazie alle informazioni acquisite dal monitoraggio del sistema d’intercettazione ambientale installato a bordo del veicolo” in uso a Hu Lie, era possibile appurare che alle 9,45 circa si recava in INDIRIZZO ove attendeva in auto; che alle ore 10,20 sopraggiungevano due persone che, dopo una breve conversazione, trasferivano del denaro nell’autovettura di COGNOME il quale ripartiva per fare ritorno a Travagliato.
Quindi, i giudici, affermano che le due persone che hanno consegnato il denaro sono stati identificati in Zheng Ayan e Liu Junqing.
Anche in questo caso, però, non può che rilevarsi come nella motivazione non venga spiegato come si sia giunti a tale identificazione. A tale proposito viene
illustrato un unico elemento fattuale, ossia che era stato appurato che “nel medesimo periodo” (non meglio precisato), anche NOME COGNOME e NOME COGNOME alloggiavano a Roma presso l’Hotel “INDIRIZZO“.
A parte l’indeterminatezza temporale, deve rimarcarsi come il fatto di alloggiare “nel medesimo periodo” in Roma, in un albergo diverso rispetto a quello di NOME COGNOME, risulta una circostanza del tutto equivoca rispetto alla identificazione dell’odierna indagata (e di NOME COGNOME) quali consegnatari del denaro il 29/08/2021.
Va rimarcato, invero, che la consegna non è stata osservata direttamente dagli investigatori, ma è emersa dall’intercettazione ambientale, così che risulta essenziale spiegare come sia avvenuta l’identificazione attraverso tale attività investigativa di mero ascolto.
1.3. Quanto esposto conduce all’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale, che avrà il compito di rinnovare il giudizio in punto di gravità indiziaria superando i vizi di manifesta illogicità (intesa quale palese mancanza di connessione tra le premesse fattuali e le conclusioni raggiunte), di intrinseca contraddittorietà e di apoditticità fin qui evidenziate.
I motivi relativi alle esigenze cautelari restano assorbiti.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché si risolve in valutazioni di merito e perché è aspecifico.
2.1. Giova premettere un inquadramento generale, riferibile anche alla posizione di NOME COGNOME
Il tribunale, dopo avere trattato l’associazione dedita agli stupefacenti e i correlati reati fine, si è occupata dei gravi indizi di colpevolezza in relazione all’associazione dedita al riciclaggio, già ritenuta sussistente anche dal G.i.p. e contestata al capo 85).
In tal senso ha esposto una molteplicità di elementi concreti da cui ha tratto l’esistenza di un sodalizio criminoso paragonato a un vero e proprio sistema bancario sommerso, in ragione della capillarità della sua estensione e alla stabilità e affidabilità della metodologia, consolidata nel suo funzionamento.
Tanto ha ritenuto sulla base dei contenuti di chat, intercettazioni, servizi di appostamento, sequestri di denaro, acquisizione di documenti, indagini bancarie sulle società c.d. cartiere (alla nota 2 di pagina 33 ne vengono indicate circa 35) che hanno fatto emergere le movimentazioni di denaro (per un importo complessivo pari a circa quindici milioni di euro nel periodo osservato) attuate con il sistema di fatturazione per operazioni inesistenti, in quanto mancanti di alcun riscontro circa l’effettiva realizzazione di operazioni commerciali.
La provvista realizzata -secondo la ricostruzione dei giudici- veniva poi trasferita in conti esteri -prevalentemente in Cina e in Ungheria- a beneficio dei conferenti.
In tale ambito venivano osservate dagli investigatori numerose e reiterate consegne di denaro (c.d. pick up), riscontrate dai sequestri, dai servizi di OCP, dalle videoregistrazioni e dai contenuti delle conversazioni intercettate; consegne di denaro realizzate da diversi soggetti (tra i quali anche l’odierna ricorrente NOME COGNOME, ma coordinate -per quello che qui interessa- da NOME COGNOME e da COGNOME NOME (collocati al vertice dell’organizzazione).
Gli elementi comprovanti la sussistenza del sodalizio, la stabilità, l’indeterminatezza del programma criminoso, la disponibilità e l’organizzazione di mezzi e persone, la distribuzione dei ruoli e i compiti assegnati ai vari compartecipi sono stati diffusamente descritti dalla pagina 10 alla pagina 44 dell’ordinanza impugnata, alla cui lettura si rimanda, potendosi qui evidenziare come nel corso dell’indagine siano stati registrati conferimenti per un importo complessivo pari a euro 39.525.600,00 di denaro contante che, attraverso la trasformazione in valuta equivalente mediante bonifici bancari, veniva trasferita all’estero, al fine di occultarne la provenienza illecita.
Va rilevato come l’ingente quantitativo di denaro e l’effettuazione della sua raccolta da più persone, in molteplici occasioni, in tutto il territorio del centro-nord Italia, risulta fortemente significativo dell’esistenza di una stabile organizzazione dedita al riciclaggio di denaro.
Tale notazione serve a rilevare come la motivazione resa dal tribunale risulti del tutto coerente alle emergenze investigative là dove i giudici osservano che «l’impressionante mole e sistematicità dei conferimenti registrati dagli inquirenti nel periodo di osservazione (…) al fine di ostacolare l’identificazione della relativa provenienza illecita (…) bastano a ravvisare un programma criminale indeterminato, destinato a sopravvivere alla realizzazione dei singoli delitti, pensato e realizzato in forma organizzata e in vista di un generico obiettivo delinquenziale, ossia offrire un servizio professionale di riciclaggio di denaro contante, sempre disponibile, rapido e affidabile».
2.2. Fatto questo inquadramento generale, passando più specificamente all’esame della posizione di NOME COGNOME va osservato che nel capo 89 a lei contestato sono descritti 29 fatti di riciclaggio, commessi nella provincia di Milano e Brescia, tra il 9 aprile e il 31 agosto 2021.
In particolare, si contesta a NOME COGNOME di avere concorso al trasferimento di somme complessivamente superiore a euro 1.452.000, provvedendo alla raccolta del denaro e alla loro successiva consegna a NOME COGNOME il quale provvedeva a trasferirla tramite brokers a imprenditori compiacenti (specificamente indicati) attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
La posizione di NOME COGNOME è stata trattata alle pagine 60 e seguenti dell’ordinanza impugnata.
In tali pagine vengono illustrati gli elementi che identificano la donna, sulla base di argomentazioni che non vengono contestate sul punto dalla difesa.
Il tribunale osserva che ella veniva identificata dalla polizia giudiziaria in un servizio di OCP dopo un incontro (per una consegna di denaro) con NOME COGNOME; che le consegne di denaro avvenivano sempre nei pressi di INDIRIZZO; che, in questa via, la polizia giudiziaria la osservava nel mentre entrava in un edificio utilizzando un proprio mazzo di chiavi; che, con successivi accertamenti si verificava che INDIRIZZO era effettivamente l’indirizzo di residenza della donna.
L’odierna ricorrente -poi- veniva osservata fare 29 consegne, sempre vestita alla stessa maniera (con una maglia verde) il che facilitava ulteriormente la sua identificazione.
Va rilevato come non vi siano contestazioni circa il fatto che la donna avesse consegnato del denaro nei 29 episodi contestati.
Il tribunale ha osservato che il coinvolgimento della donna nell’attività di riciclaggio e la sua adesione al sodalizio emergeva -oltre che dal numero e dalla stabilità delle consegne- anche dalle intercettazioni delle telefonate intercorse con NOME COGNOME, nel corso delle quali ella si mostrava a conoscenza del meccanismo riciclatorio, facendo riferimento -tra l’altro- alla società RAGIONE_SOCIALE, ossia a una della società cartiere, formalmente intestate a COGNOME Giuliano, ma controllata da NOME COGNOME.
I giudici osservavano, inoltre, che la donna mostrava di conoscere anche le modalità di trasferimento di denaro, attraverso la piattaforma digitale di pagamento zhiufubao (denominazione cinese di Alipay).
Il suo ripetuto e reiterato coinvolgimento nella raccolta di denaro (in ben 29 occasioni), la sua conoscenza delle modalità attuative dell’attività delittuosa, con il coinvolgimento di società compiacenti e con trasferimento di denaro per mezzo della piattaforma di pagamento digitale zhifubao, hanno condotto il tribunale a ritenere che NOME COGNOME fosse partecipe del sodalizio criminoso dedito al riciclaggio, in quanto consapevole sia della provenienza delittuosa delle somme da lei raccolte e consegnate a Lu COGNOME sia della finalità della raccolta.
2.3. La ricorrente non contesta la gravità indiziaria quanto alle singole ipotesi di riciclaggio, limitandosi a contrastare il provvedimento impugnato solo in relazione alla fattispecie associativa.
Si legge, infatti, nel ricorso: «Ad avviso dello scrivente, gli elementi richiamati ben potrebbero costituire gravità indiziaria per il capo 89) concorso nel riciclaggio, ma non per il capo 85)».
Secondo la ricorrente, dunque, le (non contestate) consegne di denaro a Hu Lihe, la conoscenza della società RAGIONE_SOCIALE e la fittizietà della sua intestazione e la conoscenza dell’utilizzo della piattaforma digitale di pagamenti zhifubao per il trasferimento di denaro sono elementi utili a dimostrare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai 29 fatti di riciclaggio attribuiti
alla donna al capo 88), ma non anche a dimostrare la sua consapevole partecipazione al sodalizio criminoso dedito all’attività di riciclaggio contestato al capo 85).
La deduzione difensiva, però, si presenta come una mera valutazione delle emergenze procedimentali alternativa a quella dei giudici di merito, senza che sia denunciato alcuno dei vizi scrutinabili in sede di legittimità, in ciò risultando inammissibile, ove si consideri che il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione -per quanto qui d’interesse- non è quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione. Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà.
Nessuno di tali vizi viene denunciato, dal che discende l’inammissibilità del motivo esposto in punto di gravi indizi di colpevolezza, con conseguente inammissibilità del ricorso.
Nessun motivo viene dedotto in punto di esigenze cautelari.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché si risolve in valutazioni di merito e perché aspecifico.
3.1. Con una prima argomentazione, il ricorrente sostiene che il tribunale avrebbe dovuto occuparsi dei gravi indizi di colpevolezza, nonostante l’appello del pubblico ministero fosse esclusivamente rivolto alle esigenze cautelari.
Con un’ulteriore argomentazione, il ricorrente deduce la contraddittorietà dell’assunto accusatorio, atteso che viene ipotizzato che il denaro riciclato provenga dai delitti in materia di stupefacenti contestati dal capo 1 al capo 84, mentre nelle singole ipotesi di riciclaggio non viene mai indicato come reato presupposto alcun delitto in materia di stupefacenti, visto che -fatta eccezione per il capo 86il denaro che si assume riciclato proviene da cittadini cinesi o, addirittura, da soggetti ignoti. Aggiunge che non risultano contestate singole ipotesi di reati fiscali.
Entrambe le argomentazioni sono aspecifiche e manifestamente infondate.
3.1.1. La prima argomentazione risulta aspecifica, in quanto non correlata alla motivazione del provvedimento impugnato, dove il requisito dei gravi indizi di colpevolezza è stato ampiamente e puntualmente trattato (da pag. 10 a pag. 44), sia con riguardo alla fattispecie associativa, sia con riguardo al ruolo apicale in essa rivestita da NOME COGNOME per come sinteticamente riportato al paragrafo 2.1..
Tutte le argomentazioni sviluppate dal tribunale sono pretermesse nel motivo (e, più in generale, nel ricorso), così che l’impugnazione risulta aspecifica.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, delle Fazio, Rv. 286468 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425-01.
3.1.2. Anche la seconda argomentazione, per le medesime ragioni, risulta aspecifica, atteso che il tribunale ha affrontato puntualmente la questione dell’individuazione del reato presupposto e delle modalità di attuazione dell’attività di riciclaggio, spiegando -altresì- le ragioni per cui risultava ininfluente la specifica contestazione di singoli reati fiscali. Inoltre, per come sinteticamente indicato al paragrafo 2.1. (e diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente), il tribunale ha anche indicato specificamente sia le società coinvolte nelle false fatturazioni, sia gli intestatari fittizi, sia gli importi complessivi dei conferimenti, per un importo complessivo pari a euro 39.525.600,00 di denaro contante che, attraverso la trasformazione in valuta equivalente mediante bonifici bancari -tramite la piattaforma digitale zhifubao/alipayveniva trasferita all’estero, al fine di occultarne la provenienza illecita.
Vale la pena ribadire che la raccolta di denaro di provenienza illecita e il suo successivo versamento in conti correnti, è un’attività mirata a dare una parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita, così rendendone più difficile l’identificazione e il successivo eventuale recupero, tanto più quando -come nel caso in esame- le operazioni siano dirette a restituire le somme agli originari conferenti che, in tal modo, possono reinvestirli nell’economia legale.
In tale ambito, il tribunale ha spiegato che -nella fattispecie- il denaro riciclato proveniva sia dal traffico illecito di stupefacenti, sia -e soprattutto- dai reati fiscali, la cui sussistenza era evincibile dal complesso sistema di fatturazioni per operazioni inesistenti emerso dalle investigazioni, senza che fosse necessaria la specifica contestazione dei delitti presupposti.
La motivazione è conforme all’orientamento di legittimità più restrittivo, a mente del quale, ai fini della configurabilità del delitto di riciclaggio si reputa necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, sia individuato quantomeno nella sua tipologia, pur non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali (in tal senso, Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629 – 01; Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021, COGNOME, Rv. 282433 – 02; Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277020 – 01).
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, dunque, non era necessaria la specifica contestazione dei delitti presupposto, essendo sufficiente l’individuazione -sulla base di elementi oggettivi- della loro tipologia, per come correttamente fatto dal tribunale.
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A ciò si aggiunga che l’orientamento richiamato è riferito a singole ipotesi di riciclaggio, mentre, in tema d’individuazione del reato presupposto in relazione a un’associazione per delinquere dedita al riciclaggio, bisogna tener conto delle caratteristiche proprie del delitto associativo, con particolare riguardo all’indeterminatezza del programma criminoso.
Lo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti costituente, quale elemento costitutivo del delitto di associazione per delinquere, importa che, ai fini della configurabilità di un sodalizio criminoso che strutturalmente si propone in maniera stabile, generica e indeterminata l’attività di riciclaggio, non è necessaria la previa individuazione analitica dei reati presupposto, essendo sufficiente accertare che l’organizzazione di uomini e mezzi sia finalizzata al riciclaggio dei proventi illeciti di qualsiasi attività delittuosa, non necessariamente predeterminata.
A ciò si aggiunga che la commissione dei singoli reati-fine da parte dei consociati costituisce attuazione di quell’accordo criminoso, dalla cui adesione discende la consapevolezza della provenienza illecita dei beni e/o del denaro oggetto di movimentazione, a prescindere dall’esatta individuazione del reato dai cui essi provengono.
Da ciò discende la manifesta infondatezza dell’assunto difensivo, sia nella parte in cui sostiene la necessità della specifica contestazione del reato presupposto ai fini della configurazione del delitto di riciclaggio, sia nella parte in cui denuncia il vizio di omessa motivazione sul punto.
3.1.3. Il ricorso è, dunque, inammissibile in punto di gravi indizi di colpevolezza, in quanto le argomentazioni a tal proposito esibite sono aspecifiche e manifestamente infondate.
3.2. A eguale conclusione d’inammissibilità si perviene anche con riguardo al motivo relativo alle esigenze cautelari.
A tale proposito il ricorrente sostiene che il tribunale avrebbe dovuto considerare che COGNOME era già stato agli arresti domiciliari e che in quell’occasione non aveva mai violato le prescrizioni imposte, così dimostrandosi l’adeguatezza della restrizione domiciliare, non essendo necessario ricorrere alla misura carceraria.
Aggiunge che il NOME COGNOME si era spontaneamente costituito dopo un breve periodo di latitanza, così dimostrando segni di resipiscenza.
Sostiene, dunque, che non sussiste il pericolo di recidivanza e che il tribunale non spiega perché la custodia in carcere sarebbe l’unica adeguata a contenere le ritenute esigenze cautelari.
3.2.1. Anche in questo caso il motivo è manifestamente infondato e aspecifico, perché elude un reale confronto con le motivazioni del provvedimento impugnato.
Il tribunale, infatti, ha preliminarmente descritto “l’inusitata professionalità criminale e la allarmante pericolosità” che si ricava dall’allestimento di un imponente e capillare sistema “prebancario” messo a disposizione di qualsivoglia
attività illecita, così fornendo un supporto essenziale a organizzazioni criminali a livello transnazionale, tale da rendere di immediata evidenza la sussistenza del pericolo di reiterazione dei delitti della stessa specie, avendo riguardo anche alla natura permanente del delitto contestato e alla mancanza di elementi da cui sia possibile ricavare l’attuale scioglimento dell’organizzazione e/o il recesso da essa di NOME COGNOME
In tale contesto, i giudici hanno anche illustrato le ragioni per cui non si poteva più ritenere adeguata la misura degli arresti domiciliari, così come disposta nel diverso procedimento denominato “Atto finale”, per il quale NOME COGNOME ha pure riportato condanna, osservando che gli elementi emersi nell’odierno procedimento gli assegnavano un profilo di più alto spessore criminale, rispetto a quanto emerso in quel diverso procedimento.
A ciò si soggiungeva che la misura carceraria si rendeva necessaria perché NOME COGNOME aveva continuato a delinquere nonostante i sequestri, così dimostrando la sua pervicacia delinquenziale; che la precedente misura cautelare non aveva sortito alcun effetto deterrente, visto che aveva continuato a delinquere; che, in precedenza, si era reso latitante per un anno; che non vi era stato alcun recesso dal sodalizio criminoso.
I giudici del tribunale, quindi, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, hanno puntualmente motivato sulle esigenze cautelari e sulla loro attualità, mentre i temi esposti dalla difesa si risolvono in valutazioni di merito alternative rispetto a quelle ritenute nel provvedimento impugnato.
Va a tal proposito ricordato che in tema di misure cautelari personali «il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME Rv. 269884 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME Rv. 252178).
Quanto esposto comporta la declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
In relazione alle posizioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME va dato mandato alla Cancelleria per provvedere agli incombenti previsti dall’art. 28 del regolamento
per l’esecuzione del codice di procedura penale, in quanto alla presente decisione consegue l’esecuzione del provvedimento impugnato.
P.Q.M.
Annulla nei confronti di NOME COGNOME l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p..
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec.
cod. proc. pen. con riguardo a NOME COGNOME e NOME COGNOME
Così deciso il 19/03/2025.