Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29391 Anno 2025
RITENUTO IN FATTO Penale Sent. Sez. 4 Num. 29391 Anno 2025 Presidente: DI NOME
Relatore: NOME
1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Bari, previa esclusione dell’aggravante contestata ex art. 416bis 1 cod. pen. in relazione al capo 48), Data Udienza: 20/05/2025
ha rigettato l’istanza di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza cautelare emessa il 25 settembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, confermando per l’effetto i l gravato titolo cautelare in relazione ai reati di cui ai capi di incolpazione 10), 12), 15) e 48).
Nella ricostruzione operata dai Giudici della cautela, l’attività investigativa svolta avrebbe permesso di accertare l’appartenenza del COGNOME all’articolazione del clan mafioso COGNOME, operante in Monte Sant’Angelo e capeggiata da NOME COGNOME, nonché di delinearne il ruolo di partecipe. L’indagato sarebbe risultato essere un diligente esecutore delle azioni criminali (in particolare, con il ruolo di autista), perpetrate nell’interesse del sodalizio criminale di appartenenza, aderendo alle disposizioni impartitegli dal sovraordinato NOME COGNOME Il suo ruolo sarebbe consistito nel supportare il sodalizio criminale nella fase esecutiva dei perpetrati reati scopo.
Avverso la prefata ordinanza di rigetto ha proposto ricorso il difensore dell’indagato sollevando tre motivi:
1.1. Con il primo, deduce violazione ed erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen., 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in relazione al capo 12) della rubrica, nonché travisamento dei fatti e vizio di motivazione. Sostiene la difesa che, nell’episodio in questione, non vi fosse alcuna consapevolezza in capo al prevenuto in ordine al motivo che portava La Torre NOME ad incontrare il fornitore COGNOME NOME per ritirare 12 grammi di marijuana, atteso che la direttiva del Palena (di recarsi ad effettuare l’appro vvigionamento di marijuana) era stata impartita unicamente al La Torre e non anche al COGNOME, considerato con diffidenza perché ritenuto uno ‘che parla troppo’. Egli, infatti, non aveva mai partecipato alle riunioni organizzative svoltesi presso la abitazione del Palena, rispetto alle quali non vi sarebbero captazioni che lo riguardano. La motivazione travisa i fatti ed è illogica laddove sostiene che l’esistenza di progressi scambi illeciti tra il fornitore COGNOME e il gruppo Palena costituirebbe prova logica della consapevolezza in capo all’indagato di ciò che il La Torre, il 3 ottobre 2020, su ordine del Palena, avrebbe dovuto compiere in San Marco in Lamis. Non vi sarebbe infatti alcun dato dal quale possa desumersi
che l’indagato avesse partecipato, e quindi fosse a conoscenza delle precedenti forniture;
1.2. Con il secondo motivo, il difensore deduce violazione ed erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. 309/90 in relazione al capo 10) della rubrica, nonché travisamento dei fatti e vizio di motivazione. La motivazione non si confronterebbe con le risultanze dell’attività di i ndagine laddove si legge che l’indagato sarebbe l’autista stabilmente a disposizione del gruppo, quando invece risulterebbe che egli si sia limitato ad accompagnare degli amici soltanto in due occasioni, a distanza di sei mesi l’una dall’altra, senza mai essere coinvolto in alcun altro episodio di approvvigionamento di sostanza stupefacente, come dimostrato dal fatto che sia i precedenti che i successivi trasporti di droga venivano effettuati da altri soggetti. Il contributo dell’indagato non avrebbe mai assunto i caratteri della costanza e della stabilità tali da inferirne la consapevole partecipazione alla contestata associazione. Né egli avrebbe percepito da questa alcun utile, essendo i contributi da lui forniti episodici, irrilevanti ed inconsapevoli;
1.3. Con il terzo motivo, si deduce violazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 416bis 1 cod. pen., rispetto ai capi 10), 12) e 15), nonché travisamento dei fatti e vizio di motivazione. La motivazione sarebbe manifestamente illogica per avere escluso l’aggravante della finalità mafiosa con riguardo al capo 48) e non anche rispetto agli altri reati ascritti al COGNOME, nonostante l’assenza di elementi che consentano di inferire che egli fosse consapevole di fornire un contributo all’associazione ma fiosa dei fratelli NOME COGNOME. Il fatto che il prevenuto abbia occasionalmente partecipato, una sola volta, ad una conversazione avente ad oggetto richieste estorsive perpetrate dal Palena, giammai dal gruppo dei COGNOME, non implica che egli fosse consapevole di agevolare con la sua condotta ( consistita nell’ avere accompagnato La Torre e Ciociola in sole due occasioni a ritirare una modesta quantità di stupefacente) gli interessi del sodalizio mafioso storico facente capo ai predetti Li COGNOME. Diversamente dagli altri soggetti, presunti appartenenti al sodalizio di cui al capo 10), il COGNOME non è ritenuto partecipe anche della consorteria mafiosa di cui al capo 1).
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
Il 7 maggio 2025 sono pervenute conclusioni scritte, di replica all’anzidetta requisitoria, da parte del difensore del COGNOME, avv. NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Esso si appalesa, invero, manifestamente infondato, ripropositivo di motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex multis , Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME Sami, Rv. 277710) -, nonché esplicitamente volto ad investire profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a d ar conto dell’iter logico -giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum . Giova ricordare che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203428).
Giova preliminarmente ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno già avuto modo di chiarire che «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828. In motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai
presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza). Questa Corte, inoltre, ha più volte chiarito che, in tema di misure cautelari, la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 17247 del 14/03/2019, COGNOME, Rv. 276364; Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683;
Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576). Invero, al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (per questa ragione l’art. 273, comma 1bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192, commi 3 e 4, medesimo codice, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi). Deve, peraltro, ricordarsi che la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e che, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato,
ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana , Rv. 255460).
Deve poi ribadirsi che, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
Deve, infine, richiamarsi il principio per cui, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337). In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, invero, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar , Rv. 263715).
Tanto premesso, il Tribunale di Bari osserva come, durante le indagini, sia risultato che il prevenuto, anche preventivamente convocato telefonicamente, si recava ad incontrare il Palena presso la sua abitazione, venendo quindi immortalato dal servizio di video monitoraggio attivato nei pressi dell’immobile, oltre che essere stato riconosciuto dal timbro vocale nel corso delle conversazioni ambientali, captate all’interno della citata abitazione in occasione di quegli incontri; come i dialoghi intercettati, contenenti chiari riferimenti alle attività
illecit e consumate dall’indagato, confermino la sua stabile collocazione all’interno del sodalizio, con il ruolo già delineato nell’ordinanza cautelare o riginaria consistente nel compito di recarsi a prelevare la sostanza dai fornitori del gruppo e di trasportarla a Monte Sant’Angelo , mettendo stabilmente a disposizione il proprio veicolo per dette trasferte; come il COGNOME, al pari degli altri sodali, versasse i proventi dello spaccio nelle mani del COGNOME o del COGNOME (coindagato).
Quanto al capo 12), in ordine alla piena consapevolezza in capo al ricorrente della ragione della trasferta, l’ordinanza impugnata (p p. 22-23), afferma che, dalle conversazioni intercettate, il COGNOME è in compagnia del La Torre che, non appena ricevuto l’ordine del Palena , si appresta ad eseguirlo; che il COGNOME accompagna il compagno senza chiedere che cosa andassero a fare; che il fornitore è a conoscenza dei due corrieri (indicati solo per nome nel corso della conversazione con il Palena) e ciò a di mostrazione, continua l’ordinanza, di un consolidato modus operandi da parte del gruppo e dell’esistenza di precedenti analoghe forniture. Il ricorrente è poi presente all’interno dell’abitazione del Palena quando quest’ultimo richiama il COGNOME per lamentarsi della qualità della sostanza stupefacente appena ricevuta: circostanza dalla quale logicamente il Tribunale ha evinto la sussistenza della chiara consapevolezza in capo all’indagato di quanto ritirato in San Marco in Lamis dal fornitore COGNOME. Quanto alla asserita diffidenza dimostrata dal COGNOME nei confronti del COGNOME, il Tribunale ne fornisce una spiegazione non manifestamente illogica e cioè che sussisteva, in capo al COGNOME, il forte sospetto che l’autovettura del prevenuto fosse c ontrollata dalle Forze dell’ordine. Parimenti il Tribunale illustra la vicenda di cui al capo 15), relativo ad un ulteriore prelievo di stupefacente da parte dell’odierno ricorrente e di COGNOME NOME COGNOME nell’interesse del gruppo (p. 24), il quale si era attivato allorché i due sodali avevano forzato un posto di blocco e si erano liberati dello stupefacente trasportato.
Quanto, infine, al capo 10) -afferente alla partecipazione al reato associativo -, il Tribunale osserva come il dato intercettativo attesti la dedizione del prevenuto allo spaccio di stupefacenti, la sua messa a disposizione del gruppo, la conoscenza e frequentazione di numerosi sodali, la sua partecipazione alle riunioni del gruppo che si tenevano costantemente nell’abitazione del Palena , nonché l’attivazione del sodalizio per venire in suo soccorso ogniqualvolta veniva controllato dalle Forze dell’ordine , come risultato emblematico nella vicenda di cui al capo 15) di cui si è detto. Osserva altresì come l’attività investigativa abbia permesso di accertare l’appar tenenza del COGNOME all’articolazione de l clan COGNOME, capeggiata dal COGNOME, risultando egli essere un diligente esecutore delle azioni criminali, perpetrate nell’interesse del sodalizio criminale di appartenenza.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. La cancelleria è investita degli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20 maggio 2025
Il Consigliere estensore NOME
Il Presidente NOME COGNOME