Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44770 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44770 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 20/10/1987
avverso l’ordinanza del 27/05/2024 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
udito il difensore, l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento del motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Roma, in funzione di Tribunale del riesame, ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 2 maggio 2024, con la quale è stata applicata la misura degli arresti domiciliari per il reato di concorso nel tentato omicidio di NOME COGNOME commesso in Roma il 10/01/2024.
In particolare, COGNOME è stato ritenuto gravemente indiziato di avere fatto parte di un gruppo di circa sei o sette persone travisate che, intorno alla mezzanotte del 10/01/2024, in occasione del derby capitolino, provenendo dal pub RAGIONE_SOCIALE (sito in INDIRIZZO e frequentato dalla tifoseria laziale) avevano fatto irruzione nel vicino locale RAGIONE_SOCIALE (sito in INDIRIZZO ove aggredivano, anche con utilizzo di armi da taglio ed altri oggetti atti ad offendere, ferendoli in modo grave, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente cliente e titolare del locale. La compiuta ricostruzione del fatto e l’identificazione degli autori dello stesso era stata possibile grazie alla visione delle immagini video registrate rispettivamente nei pressi del Down Under (ove i soggetti, tra cui il De Castro, si mostravano a volto scoperto), dagli impianti di videosorveglianza di una tabaccherie e di una caserma poste nei pressi del Clover, nonchè dal video realizzato da una teste oculare abitante nello stabile ove si trova il Clover, che sentite le urla, si era affacciata ed aveva realizzato un video.
Le immagini complessivamente realizzate, compendiate in un unico video, che raccoglie i diversi spunti e momenti di osservazione, consentiva di individuare le quattro fasi in cui l’aggressione era maturata: l’esterno del Down Under, l’avvicinamento al Clover Pub, l’irruzione in quest’ultimo locale, l’allontanamento successivamente all’aggressione.
Con specifico riferimento alla posizione di COGNOME, questi era stato ripreso a volto scoperto davanti al Down Under sia nelle prime ore della serata del 10/01/2024 (alle ore 21:38), che in orario prossimo all’aggressione (intorno a mezzanotte); egli veniva anche individuato, tramite riconoscimento dell’abbigliamento, della corporatura e dell’andatura, in uno dei soggetti ritratti, subito dopo l’aggressione, dai video della tabaccheria sita in INDIRIZZO nei pressi del Clover.
In punto esigenze cautelari, il Tribunale rilevava come COGNOME, gravato da un precedente per lesioni commesso nel 2017, sottoposto nel 2019 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, ed attualmente sottoposto a DASPO – misura in relazione alla quale era stato più volte indagato per non avere ottemperato alle prescrizioni-, risultava connotato da personalità violenta, aggressiva e refrattaria alle prescrizioni dell’autorità: la misura degli arresti
domiciliari applicata dal GIP appariva quindi come l’unica idonea a scongiurare il pericolo concreto ed attuale di recidiva.
2. Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo del difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo p l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento all’art. 203 comma 1-bis cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione.
Si duole il difensore dell’illecito utilizzo, da parte prima degli investigatori, poi del pubblico ministero, in sede di richiesta di misura cautelare, ed infine dal Giudice per le indagini preliminari in seno all’ordinanza genetica, di informazioni anonime provenienti da informatori di polizia, in spregio al divieto di cui all’art. 203 comma 1-bis cod. proc. pen.; il Tribunale, nell’impugnata ordinanza, dopo aver fatto riferimento (pag. 3) ad «informazioni riservate», ha tentato di depotenziare l’elemento indiziario costituito da tali informazioni confidenziali, su cui, in realtà poggia l’intera impalcatura accusatoria, omettendo peraltro di fornire motivazione alcuna sul punto.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa la dedotta inconferenza indiziaria in ordine alle intercettazioni telefoniche, captazioni ambientali ed inoculamento del c.d. virus trojan, disposte nei riguardi dell’indagato, nonché in ordine al riconoscimento dello stesso attraverso mezzi di ricerca della prova diversi dalle informazioni ricevute dalla c.d. fonte confidenziale.
A fronte delle doglianze difensive che, in sede di riesame, avevano evidenziato la totale assenza di elementi indizianti a carico dell’indagato (ulteriori rispetto all’inutilizzabile fonte confidenziale di cui al primo motivo di ricorso), con specifico riferimento al risultato dell’attività intercettiva disposta nei confronti del COGNOME, ed all’analisi delle celle telefoniche agganciate dall’apparecchio dell’indagato, il Tribunale romano ha illogicamente valorizzato elementi indiziari riferibili ad altro coindagato, NOMECOGNOME sminuendo, nel contempo, i risultati delle attività investigative (quali la perquisizione negativa alla ricerca degli abiti indossati la sera dell’aggressione) che minavano la ricostruzione accusatoria.
2.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione circa la circostanza del malfunzionamento di una videocamera di sorveglianza dalla quale sono state estratte le immagini ai fini del riconoscimento dell’indagato.
Il Tribunale ha omesso di fornire motivazione alcuna in ordine alla specifica censura mossa dalla difesa in relazione all’incongruenza dell’orario indicato presuntivamente dalla polizia giudiziaria come quello dell’aggressione, rispetto a quello impresso sul video della tabaccheria posta nei pressi del Clover, non coincidente con l’ora riportata negli altri video acquisiti nel corso delle indagini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Deve innanzitutto osservarsi come la specifica eccezione di violazione, da parte del G.I.P. in seno all’ordinanza genetica, del divieto di cui all’art. 203 comma 1-bis cod. proc. pen. non risulta sollevata in sede di riesame, risultando solo del tutto genericamente evocato un utilizzo, in seno alle richieste cautelari formulate dal P.M., di «fonti riservate» a supporto delle «personali supposizioni» degli inquirenti.
Se già tale preliminare considerazione determina ex se l’inammissibilità del relativo motivo di ricorso, proposto per la prima volta in sede di legittimità, in spregio al divieto di “novum” nel giudizio di legittimità, che trova applicazione anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del tribunale del riesame in tema di misura cautelare (Sez. 3, Sentenza n. 35889 del 01/07/2008 Rv. 241271), cionondimeno la doglianza, si appalesa anche del tutto aspecifica, non autosufficiente e de-assiale: il Tribunale romano, nell’impugnata ordinanza, nel ripercorrere lo sviluppo investigativo fondante il quadro indiziario emerso a carico dell’odierno ricorrente, non è mai ricorso a fonti di prova – certamente inutilizzabili – costituite da informazioni anonime; d’altronde il medesimo ricorrente, lungi dall’aggredire specifiche parti dell’impugnata ordinanza, a sostegno della propria eccezione, richiama in ricorso contenuti dell’informativa conclusiva della Questura di Roma – DIGOS- del 10/04/2024, non citati neppure dal Tribunale, né da questi in altro modo richiamati a supporto della piattaforma probatoria.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile e sconta la sua natura fattuale e confutativa delle argomentazioni espresse nell’impugnata ordinanza, con la quale peraltro non si confronta compiutamente.
2.1. La disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così brevemente riassumibili.
In tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve
riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME Rv. 255460 – 01).
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, quindi, è possibile richiamare il díctum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito».
In termini generali, deve ribadirsi che ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – giacché il comma 1-bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 27498 del 23/5/2019, Puca, Rv. 276704; Sez. 1, n. 43258 del 22/05/2018, Tantone, Rv. 275805; Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270172).
In materia di provvedimenti de líbertate la Corte di Cassazione non ha quindi alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza delle misure,
poiché sia nell’uno che nell’altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito.
Il controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazioni rispetto fine giustificativo del provvedimento (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Rv 269885).
2.2. Applicando i principi generali al caso in esame, va rilevato che, nel caso in esame, non si riscontra alcuna violazione di legge né vizio motivazionale rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.: l’ordinanza esaminata risulta avere adeguatamente sviscerato tutti gli elementi indiziari gravanti sul De Castro, averli ricondotti ad unità concettuale in coerenza con la loro concordanza e adottando una motivazione del tutto logica – avere ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, senza mai fare riferimento a fonti confidenziali; il ricorrente reitera i medesimi motivi di doglianza sollevati in sede di riesame cautelare, e decisi con il provvedimento impugnato con motivazione congrua, scevra da aporie logiche, in relazione alla quale, nella sua interezza, COGNOME omette di confrontarsi.
Il Tribunale in particolare evidenziava come la visione delle immagini estrapolate dall’impianto di videosorveglianza posto all’esterno del pub Down Under, avessero consentito di riconoscere il COGNOME tra gli avventori (ripreso alle ore 23:18 del 10/01/2024, a volto scoperto), unitamente ad altri soggetti, del pari identificati; la successiva analisi delle immagini estrapolate dagli altri punti di osservazione, confluite poi in un unico file video, aveva consentito agli inquirenti di seguire lo sviluppo dell’azione: intorno a mezzanotte il gruppo degli avventori del Down Under non veniva più ripreso dalle telecamere installate all’esterno del pub; erano quindi le telecamere installate preso la caserma RUD che riprendevano (tra le ore 00:03 e le ore 00:06) in INDIRIZZO il gruppo che si dirigeva dal Down Under verso il Clover Pub; il filmato effettuato dal privato abitante sopra il Clover Pub, consentiva di riprendere da vicino il momento dell’aggressione; infine ad aggressione conclusa, le telecamere della tabaccheria sita in INDIRIZZO consentivano di riprendere il gruppo degli aggressori che si allontanava; tra essi, gli inquirenti riconoscevano il COGNOME, individuato grazie non solo al giubbotto ed alle scarpe, ma anche in considerazione della corporatura robusta e dell’andatura.
Con argomentare non illogico, il Tribunale osservava come irrilevante si appalesasse la circostanza che la perquisizione, eseguita a tre mesi di distanza dai fatti, non avesse portato al rinvenimento nella disponibilità dell’indagato degli indumenti visibili nei video effettuati la notte dell’aggressione. Peraltro, che il De
Castro la sera del 10/01/2024 indossasse «un giubbotto scuro lungo sino all’altezza delle ginocchia e delle scarpe da ginnastica di colore bianco», è circostanza incontestata, dal momento che essa è acclarata dal video effettuato presso il Down Under, ove il COGNOME si mostrava, così abbigliato, a volto scoperto. Il thema probandum non era quindi tanto il possesso in capo al COGNOME degli indumenti da lui certamente indossati (immortalati dalle telecamere dell’Under Down), quanto il fatto che il soggetto successivamente ripreso fosse identificabile nell’indagato anche grazie al fatto che indossava i medesimi indumenti.
Del pari, ad ulteriore conforto della fondatezza dell’ipotesi accusatoria, il Tribunale richiamava l’esito delle disposte intercettazioni, con riferimento alla posizione di un coindagato (NOME COGNOME, che nel corso di un colloquio con la madre rendeva affermazioni gravemente indizianti: contrariamente a quanto opinato in ricorso, la sottolineatura dei Giudici della cautela si appalesa rilevante anche con riferimento alla posizione dell’odierno indagato, dal momento che il COGNOME era tra gli avventori del Under Down immortalati, insieme al COGNOME Castro, la sera del 10/01/2024, nei minuti immediatamente precedenti l’aggressione.
ebbene, a fronte di una tale esaustiva motivazione, il ricorrente, si limita a sollecitare una diversa valutazione degli elementi indiziari già valutati dai Giudici della cautela con motivazione, ampia e coerente e immune da manifesta illogicità: le censure opposte alla ricostruzione della vicenda non risultano perspicue, non denunciando alcun effettivo vizio di legittimità, ma soltanto contrapponendo al costrutto indiziario dell’impugnata ordinanza letture alternative parziali che prescindono dalla valutazione complessiva degli elementi di indagine.
Inammissibile è infine il terzo motivo di ricorso, in quanto devolve censure non avanzate in sede di riesame.
Richiamati i principi già evidenziati trattando il primo motivo di ricorso in ordine al divieto di novum in sede di legittimità, appare utile osservare, come detta regola trovi la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione del provvedimento di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo del giudice dell’impugnazione, perché non segnalato con i motivi di gravame (sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, Rv. 256631).
Va comunque, per completezza, osservato come la censura si appalesi in ogni caso manifestamente infondata, dal momento che la discrasia temporale (di 10 minuti) relativamente al video tratto dalla telecamera installata sulla tabaccheria di INDIRIZZO ha trovato compiuta spiegazione in quanto dichiarato dal proprietario del locale alla P.G., dal momento che lo stesso Tribunale (pag. 3) esplicitava che «la
p.g. da atto che l’orario impresso sul video, come riferito dal proprietario, risulta indietro di circa 10 minuti rispetto a quello reale».
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 17 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente