Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13520 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13520 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nata a Caserta il 13-11-1980, avverso l’ordinanza del 04-09-2024 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità de i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 marzo 2024, il G.I.P. del Tribunale di Napoli Nord rigettava la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere proposta nei confronti di NOME COGNOME indagata dei reati di cui agli art. 73 del d.P.R. 309/1990 e 337 cod. pen., asseritamente commessi in Caivano il 4 marzo 2024.
Con ordinanza del 4 settembre 2024, il Tribunale del Riesame di Napoli, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal P.M., applicava nei confronti d ella COGNOME la misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Caivano.
Avv erso l’ordinanza del Tribunale partenopeo , la COGNOME tramite i suoi difensori di fiducia, ha proposto due distinti ricorsi per cassazione.
3.1. Con il ricorso a firma dell’avvocato NOME COGNOME è stato sollevato un unico motivo, con il quale la difesa deduce la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al giudizio sui gravi indizi di colpevolezza, evidenziando che il Tribunale si sarebbe limitato a richiamare il contenuto e le conclusioni dell ‘appello del P.M., senza alcuna considerazione critica e anzi ponendosi in contrasto con le risultanze investigative correttamente esaminate dal G.I.P., il quale aveva ben sottolineato che l ‘afferma zione degli operanti circa l’esistenza di un’attività di spaccio non fosse riscontrata da concreti elementi investigativi, non essendo stata mai accertata né la consegna di droga a eventuali acquirenti, né tantomeno l’ascrivibilità alla ricorrente di una condotta concorsuale con il soggetto possessore del borsello in cui è stato rinvenuto lo stupefacente. In tal senso, il solo dato del ‘contesto’ non può essere di certo ritenuto idoneo a sovvertire la compiuta analisi operata dal G.I.P., il quale ha anche ragionevolmente escluso che alle frasi dell’indagata riportate dai militari potesse attribuirsi natura minatoria.
3.2. Con il ricorso a firma dell’avvocato NOME COGNOME, è stato sollevato un unico motivo, con il quale è stato parimenti censurato il giudizio sulla gravità indiziaria, rilevandosi come non costituisca elemento idoneo a comprovare il coinvolgimento della COGNOME nelle condotte contestate la circostanza che la stessa sia legata da vincoli di parentela a persone pregiudicate per reati in materia di spaccio. A ciò si aggiunge che dalle parole proferite dalla ricorrente si potrebbe astrattamente de sumere la configurabilità del reato di cui all’art. 378 cod. pen., ma non certo un concorso nel reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, fermo restando che nel caso di specie, rispetto alle espressioni pronunciate al cospetto degli agenti, doveva essere ritenuta ravvisabile la causa di giustificazione prevista dall’ art. 393 bis cod. pen., posto che, come si evince dalle dichiarazioni rese in sede di convalida dell’arresto, la COGNOME riteneva di essere stata vittima di un intervento ingiustificato da parte delle forze dell’ordine.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
1. Premesso che le doglianze risultano suscettibili di trattazione unitaria, perché riferite, in termini tra loro sovrapponibili, al giudizio sulla gravità indiziaria, occorre richiamare, in via preliminare, la consolidata affermazione di questa Corte ( ex multis cfr. Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Rv. 281019 e Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Rv. 253511), secondo cui la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di col pevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è infatti sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare ‘un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato’ in ordine ai reati addebitati. Pertanto, tali indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’a rt. 192 comma 2 cod. proc. pen., ed è per questa ragione che l’art. 273 comma 1 bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi. Quanto ai limiti del sindacato di legittimità, deve essere ribadito (sul punto tra le tante cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 Rv. 255460) che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del Riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità deve rimanere quindi ‘all’interno’ del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, in ciò rientrando anche l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto al solo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due
requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, ovvero: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo dell’atto impugnato.
Alla luce di tali condivise premesse ermeneutiche, occorre ribadire che il giudizio sulla gravità indiziaria formulato dal Tribunale del Riesame rispetto alla sussistenza delle condotte descritte nelle provvisorie imputazioni e alla loro ascrivibilità alla COGNOME non presta il fianco a censure di irragionevolezza.
E invero, nel ripercorrere le risultanze investigative, i giudici dell’impugnazione cautelare hanno richiamato gli accertamenti compiuti dai Carabinieri di Caivano che, il pomeriggio del 4 marzo 2024, effettuavano un servizio di osservazione in INDIRIZZO nota come piazza di spaccio di stupefacenti; dopo aver fatto ingresso nell’edificio del civico INDIRIZZO, gli operanti, certi di non essere visti, stante l’interruzione del servizio di pubblica illuminazione, salivano al primo piano e, sul davanzale della finestra del ballatoio, trovavano panini e bibite, quindi salivano ai piani superiori dell’immobile, da cui potevano osservare quanto avveniva ai piani inferiori attraverso la tromba delle scale. Nel frattempo, riattivatasi l’illuminazione pubblica, giungeva nei pressi del palazzo la ricorrente NOME COGNOME la quale richiamava l’attenzione di due persone, un uomo e una donna, urlando: ‘ NOME NOME…mocc a chitemmuort…ascit ambress…m uviteve, io ca miezz pass nu guaio…viritev e ve mover…managgia a mar onna …’ . Intanto l’uomo si posizionava nell’androne e chiudeva il portone di ferro con un chiavistello, urlando: ‘ a zi’, putimm accumincià ‘. La donna, poi identificata in NOME COGNOME, si posizionava davanti alla finestra del ballatoio del primo piano e urlava a sua volta: ‘ Filumè, accuminciamm? ‘. A questo punto i militari intervenivano e bloccavano la COGNOME, mentre l’uomo apriva il portone e riusciva a dileguarsi, perdendo tuttavia il marsupio che conteneva tre diverse tipologie di sostanze stupefacenti, per un peso complessivo di circa 25 grammi, oltre a un bilancino di precisione, barattoli e materiale per il confezionamento delle dosi. La COGNOME e la COGNOME venivano tratte in arresto e la ricorrente, in sede di identificazione, reagiva proferendo minacce e ingiurie all’indirizzo degli agenti: ‘ t’avvert, se non esco a dint a caserma, faccio correre l’esercito… mo ‘ ve faccio ved’io chi song, sta banda e’ sciem … ‘.
2.1. Orbene, superando le contrarie conclusioni del G.I.P., secondo cui le frasi urlate dapprima dalla COGNOME e poi dal pusher e dalla COGNOME alla ricorrente, fossero finalizzate a sollecitare un ‘ qualcosa che è rimasto oscuro ‘ , il Tribunale ha invece sostenuto, con valutazioni non manifestamente illogiche e dunque non censurabili in questa sede, che, alla luce del l’intero contesto dell’azione e del ritrovamento del marsupio con lo stupefacente e con gli strumenti per la pesatura e il confezionamento dello stesso, le frasi proferite da tutti i protagonisti della
vicenda, in assenza di plausibili spiegazioni alternative, erano evidentemente funzionali ad avviare l’attività di spaccio, peraltro diffusa in quel luogo .
Allo stesso modo, le espressioni rivolte dall’indagata ai militari sono state ritenute ragionevolmente idonee a integrare il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto volte a richiamare il proprio radicamento sul territorio (i familiari sono pr egiudicati) e a evocare l’eventualità di successive azioni ritorsive.
Di qui il giudizio sulla configurabilità di entrambi i delitti ascritti alla COGNOME.
2.2. In definitiva, occorre ribadire che, almeno per quanto riguarda la valutazione indiziaria tipica della fase cautelare e fatti salvi ovviamente gli eventuali sviluppi probatori nel prosieguo del procedimento penale in corso, la valutazione sui gravi indizi di colpevolezza rispetto ai reati oggetto di imputazione provvisoria, in quanto fondata su considerazioni razionali e allo stato coerenti con le acquisizioni investigative, resiste alle censure difensive che sollecitano, invero in termini non adeguatamente specifici, una differente lettura delle fonti dimostrative disponibili, operazione che tuttavia non può trovare ingresso in sede di legittimità, dovendosi ribadire l’affermazione di questa Cort e (cfr. Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Rv. 269884), secondo cui il ricorso per cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero, come nella vicenda in esame, si risolvano in una valutazione alternativa delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
Alla stregua delle argomentazioni svolte, i ricorsi proposti nell’interesse della COGNOME devono essere quindi rigettati, con onere per la ricorrente, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 04.12.2024