Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23906 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23906 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nel procedimento penale nei confronti di:
NOME NOME, nato a Napoli il giorno DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO di fiducia
NOME NOME, nato a Napoli il giorno DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO di fiducia
avverso l’ordinanza NRG 527-528/2024 in data 22/2/2024 del Tribunale di Napoli in funzione di giudice del riesame, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecíes del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del dl. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023,
n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto; udita la relazione svolta dal consigliere NOME; letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 22 febbraio 2024, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Napoli ha annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale in data 23 gennaio 2024 con la quale era stata disposta nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME la misura cautelare personale della custodia in carcere in relazione al delitto di cui agli artt. 61 n.7, 110, 629 commi 1 e 2, in relazione all’art. 628, comma 3, nn. 1 e 3, e 416-bis.1 cod. pen.
In sintesi, si contesta agli indagati di avere, in concorso tra loro e con altre persone tra le quali NOME COGNOME, con minacce ripetute, dopo aver tentato di indurre COGNOME NOME, nella sua qualità di titolare del bar Macao ubicato sulla cosiddetta rotonda di Arzano a cedere all’attività ovvero a corrispondere loro la somma di 70.000 C, costretto il COGNOME, dapprima nella predetta qualità e successivamente nel 2023 in quella di titolare del bar Bellagio, ubicato in Arzano, a corrispondere loro la somma di 1.000 C al mese quale condizione per poter continuare a svolgere l’attività imprenditoriale, sottoscrivendo altresì, a garanzia del pagamento, numerose cambiali con scadenze mensili.
Agli imputati viene anche contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 sia sotto il profilo dell’essersi avvalsi della loro appartenenza all’associazione RAGIONE_SOCIALE nota come RAGIONE_SOCIALE, sia dell’aver commesso i fatti avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo di cui all’articolo 416-bis cod. pen. e della condizione di assoggettamento e di omertà da esso derivanti.
I fatti contestati ali indagati coprono un arco temporale che parte dall’ottobre/novembre 2020 e giunge fino al 21 ottobre 2023.
Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, deducendo, con un unico articolato motivo, la carenza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione anche sotto forma di travisamento della prova.
Rileva il ricorrente che l’ordinanza impugnata era stata emessa a seguito delle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME che hanno trovato
riscontro in oggettivi elementi di prova, tra i quali un lungo messaggio vocale, dal non equivoco contenuto estorsivo, del tutto ignorato nella motivazione del provvedimento impugnato, inviatogli dall’indagato NOME COGNOME, oltre che da documenti (cambiali) e da immagini del sistema di videosorveglianza.
Osserva, poi, il ricorrente che la decisione del Tribunale del riesame sarebbe manifestamente illogica nella parte in cui ha ritenuto che il rilascio di cambiali da parte del COGNOME a garanzia dei pagamenti sia stata interpretata come elemento per escludere la sussistenza dell’attività estorsiva così trasformando una prova documentale che riscontrankle dichiarazioni della persona offesa in un elemento contro chi aveva operato detta produzione.
Anche il fatto che le cambiali rilasciate dal COGNOME siano state di volta in volta restituite e/o distrutte in occasione dei versamenti dei corrispettivi per contanti sarebbe, secondo parte ricorrente,dinnostrativo della circostanza che gli autori dell’azione delittuosa volevano cancellare la prova dell’azione stessa e, comunque, contavano sulla circostanza che la persona offesa non li denunciasse.
Sarebbe, poi, irrilevante, la circostanza che le cambiali rilasciate dalla persona offesa portino come beneficiario la RAGIONE_SOCIALE essendo le stesse state destinate non all’incasso ma solo a rivestire una funzione di garanzia ed avendo comunque ignorato il Tribunale che dette cambiali prima della consegna erano prive dell’indicazione del beneficiario che potrebbe essere stato inserito in un secondo momento dal coimputato.
Sostiene, infine, il ricorrente che la decisione del Tribunale del riesame sarebbe stata in qualche modo condizionata da una precedente decisione di annullamento di ordinanza cautelare emessa dallo stesso Tribunale e nel medesimo procedimento, sempre relativa ad una vicenda di estorsione pluriaggravata che vedeva indagati NOME COGNOME, personaggio di vertice dell’omonimo RAGIONE_SOCIALE, e tale NOME COGNOME. Quest’ultima vicenda ha trovato origine dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME NOME che però non ha reso dichiarazioni sui fatti oggetto del ricorso qui in esame.
Il Pubblico Ministero, nel ricorso che in questa sede occupa la Corte, ha quindi testualmente riportato le motivazioni proposte in occasione dei ricorsi per cassazione presentati avverso le ordinanze del Tribunale del riesame negli incidenti cautelari relativi alle posizioni del COGNOME e del COGNOME e che evidenziavano i seguenti asseriti vizi:
vi era totale mancanza di motivazione sull’attendibilità soggettiva ed oggettiva della persona offesa COGNOME peraltro già ritenuto attendibile dal G.i.p. e in altra decisione del Tribunale del riesame;
le dichiarazioni del COGNOME avevano trovato riscontro in quelle del COGNOME ancorché il Tribunale avesse ritenuto non credibile che la persona offesa si
fosse determinata a chiedere aiuto per risolvere una estorsiva proprio ad una persona che era in posizione di contrasto con lo stesso;
la decisione del Tribunale era manifestamente illogica in quanto completamente avulsa dalla “logica RAGIONE_SOCIALE” che permeava i fatti oggetto dell’imputazione e non teneva conto della circostanza che in certi contesti non è necessario ricorrere a minacce esplicite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Giova immediatamente evidenziare che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno già avuto modo di chiarire che «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare (o ad escludere – ndr.) la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (In motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza) (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tale orientamento, dal quale l’odierno Collegio non intende discostarsi, ha trovato conforto anche in pronunce più recenti di questa Corte Suprema (ex ceteris: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).
Ne consegue che «l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. … è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della
motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato» (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito) (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698).
Così delineati i confini entro i quali si deve muovere la presente decisione occorre rilevare che il Tribunale del riesame ha debitamente indicato nella motivazione dell’ordinanza impugnata i propri elementi di valutazione e non ci si trova di certo in presenza di una motivazione “manifestamente” illogica.
Gli elementi sui quali si è incentrata la valutazione del Tribunale hanno riguardato l'”opacità” (così testualmente definita) dei rapporti tra la persona offesa e gli indagati.
Il Tribunale nella propria decisione è partito dalla premessa che da una visione complessiva delle vicende (ivi compresa quella relativa ad altra contestata estorsione in questa sede non in esame) risultano emerse delle possibili cointeressenze tra il COGNOME e gli esponenti del RAGIONE_SOCIALE COGNOME in quanto non è dato comprendere «se effettivamente il COGNOME sia stato vittima di una richiesta estorsiva o se piuttosto si sia trovato in difficoltà nella gestione dei propri affari» e, tenendo conto del fatto che NOME COGNOME (indicato come concorrente dei COGNOME nella contestata vicenda estorsiva qui in esame) è un esponente del RAGIONE_SOCIALE COGNOME, ha osservato quanto segue:
risulta priva di una spiegazione logica la vicenda relativa alla consegna degli effetti cambiari da parte del COGNOME al COGNOME;
b) non si comprende per quale ragione al momento dell’instaurazione di un rapporto estorsivo il soggetto estorsore avrebbe dovuto pretendere il rilascio di cambiali a garanzia dei pagamenti, generando in tal modo la prova documentale dell’estorsione da lui commessa e mettendosi a rischio, tanto più che nel caso di specie gli autori della condotta delittuosa non possono essere considerati inesperti essendo pluripregiudicati del RAGIONE_SOCIALE COGNOME;
non trova spiegazione il fatto che circa venti delle numerose cambiali consegnate dal COGNOME al COGNOME siano state intestate proprio all’atto della consegna avvenuta il 18 novembre 2020 alla RAGIONE_SOCIALE, società riconducibile al COGNOME ed a NOME COGNOME invece costituita solo il 27 gennaio 2022 quindi circa un anno e tre mesi dopo;
non è dato comprendere quali COGNOME i rapporti economici tra il COGNOME e NOME COGNOME cui ha fatto riferimento il COGNOME stesso nella prima denuncia per i fatti qui di interesse;
non si comprende per quale ragione alcuni effetti cambiari sarebbero stati restituiti dagli estorsori alla persona offesa ed altri strappati, né è stat possibile accertare se i titoli non pagati dal COGNOME COGNOME ancora nella disponibilità di NOME COGNOME COGNOME di NOME COGNOMECOGNOME
Quelli evidenziati sono tutti elementi che illustrano in maniera adeguata e logica il filo conduttore del ragionamento che ha portato il Tribunale ad affermare che non è possibile ricostruire i fatti con quella chiarezza necessaria ad integrare la gravità indiziaria richiesta per l’emissione di una misura cautelare nei confronti dei NOME.
Il Pubblico Ministero nel ricorso in esame propone di fatto una diversa lettura delle emergenze procedimentali ma ciò di per sé, in assenza di evidenti travisamenti o di omissioni nell’esame del materiale raccolto, non rende di per sé “manifestamente” illogica la motivazione adottata dal Tribunale.
Infatti, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argonnentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998Rv. 212054) dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non ad elementi meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260409).
Del resto in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955), ciò perché la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
Per dovere di completezza deve solo aggiungersi che il Tribunale risulta avere esaminato la registrazione del messaggio WhatsApp inviato da NOME COGNOME al punto che ne ha addirittura riportato il testo alla pagg. 3 e 4
dell’ordinanza impugnata, messaggio che, dalla testuale lettura operata dall’odierno Collegio, contiene una pretesa economica legata alle rate fatte a “NOME” (all’evidenza NOME COGNOME), una lamentela relativa ai ritardi nei pagamenti ed alle prese di tempo da parte del COGNOME e che si conclude con una frase ragionevolmente interpretabile come minaccia.
Tuttavia, detto elemento non appare di certo risolutivo per considerare manifestamente illogico il contenuto della motivazione del Tribunale in quanto il ragionamento dei giudici del riesame si è fermato ad un passaggio precedente che è – come detto – quello della “opacità” dei rapporti tra le parti, con la conseguenza che la minaccia finalizzata a pretendere l’adempimento di un debito (di origine incerta) di per sé non consente di affermare con certezza che ci si trovi in presenza di una estorsione.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 6 giugno 2024.