Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33742 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33742 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 30/01/2002
avverso l’ordinanza del 01/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG COGNOME
Il Procuratore Generale conclude per l’inammissibilità del ricorso per il primo motivo; rigetto nel resto.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME espone i motivi d’impugnazione e insiste per l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 1 marzo 2024, il Tribunale di Roma, sezione per il riesame, decidendo in sede di rinvio a seguito dell’annullamento del precedente provvedimento del medesimo Tribunale disposto con sentenza del 19 dicembre 2023 dalla Prima sezione di questa Corte di cassazione, confermava la misura cautelare della custodia in carcere emessa nei confronti di NOME COGNOME dal Gip del Tribunale di Frosinone il 14 luglio 2023, per il delitto di omicidio aggravato (consumato in concorso con il padre, NOME Toson).
In dettaglio, NOME e NOME COGNOME erano stati accusati di essere stati gli esecutori materiali dell’agguato consumato in Alatri ai danni di NOME COGNOME, nel corso del quale però era rimasto ucciso, attinto da colpi d’arma da fuoco, Thonnas COGNOME che, in quel momento, era in compagnia di COGNOME. I due imputati si erano recati sul posto a bordo di un motoveicolo TMax, il padre NOME conducendolo, l’indagato NOME COGNOME come passeggero e materiale sparatore.
L’omicidio era stato consumato come risposta alle risse scoppiate nei giorni precedenti, il 28 ed il 29, sempre in Alatri fra i Toson e alcune persone vicine allo COGNOME, nel corso delle quali era rimasto ferito prima lo stesso COGNOME, il 28, e poi NOME COGNOME (fratello di NOME COGNOME e quindi zio di NOME COGNOME, il 29.
L’omicidio del COGNOME è stato contestato come aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.
Si erano inoltre aggiunte le contestazioni relative alla detenzione ed al porto della pistola utilizzata nell’occasione, aggravate dalle circostanze dell’avere agito in più persone riunite e travisate (entrambi gli esecutori materiali dell’azione omicidiaria portavano dei caschi).
Il procedimento di merito pende ora davanti alla Corte di assise di Frosinone, in sede di giudizio immediato essendo stata rigettata l’istanza di giudizio abbreviato condizionata all’espletamento di una perizia antropometrica, volta a stabilire la compatibilità fra le persone ritratte a bordo del TMax e gli odierni indagati.
1.1. La Prima sezione di questa Corte, nella sentenza di annullamento, aveva così argomentato.
Aveva, innanzitutto, ritenuto privi di fondamento i motivi di ricorso concernenti:
la mancata ricerca di elementi valutativi ulteriori rispetto a quelli gi contenuti nell’incarto processuale (tesi ad individuare alternativi moventi e ricostruzioni del fatto);
la veste processuale di alcuni dichiaranti, con i conseguenti vizi di inutilizzabilità delle loro propalazioni e di necessaria individuazione di riscontri esterni al loro narrato;
l’assenza dei previsti avvisi, di possibile astensione dal dovere di deporre, prima di procedere all’audizione dei dichiaranti congiunti degli indagati.
La Prima sezione aveva, altresì, preso atto che lo stesso Tribunale del riesame, nell’ordinanza annullata, aveva ritenuto inutilizzabili le seguenti dichiarazioni: quelle rese da NOME COGNOME in epoca successiva alla denuncia sporta da NOME COGNOME il 30 gennaio 2023 (con riferimento quindi all’audizione del 15 marzo 2023); quelle rese dai soggetti ritenuti partecipi delle risse dei giorni precedenti al fatto omicidiario a far data dalla comunicazione della conseguente notizia di reato a firma del responsabile della locale Stazione dei carabinieri redatta il 7 febbraio 2023.
1.2. La Prima sezione aveva, invece, ritenuto parzialmente fondato il terzo motivo di ricorso, speso in ordine alla inadeguata valutazione da parte del Tribunale di alcuni degli elementi di fatto, fra quelli evidenziati dalla difesa, ch avrebbero potuto smentire, in punti decisivi, il compendio indiziario raccolto nei confronti del prevenuto.
Elementi che così la Prima sezione indicava (si mantiene l’elencazione in lettere riportata nella sentenza di annullamento):
a – i testi oculari NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano riferito che il passeggero del TMax che aveva sparato, l’aveva fatto utilizzando la mano sinistra, laddove, invece, era emerso che NOME COGNOME fosse solito usare la mano destra;
b – dalle dichiarazioni dello stesso COGNOME e di un’altra teste oculare, NOME COGNOME (che avevano trovato conferma nelle immagini che ritraevano gli occupanti della motocicletta), era emerso che il passeggero del TMax era di statura significativamente più piccola del conducente, mentre NOME COGNOME (indicato come il passeggero) era alto m. 1,90 (e si trovava anche su un sedile rialzato rispetto a quello del conducente) mentre il conducente, NOME COGNOME era più piccolo, m. 1,80;
f – le videoriprese degli occupanti il TMax avevano consentito di appurare che gli stessi indossavano scarpe da ginnastica basse e di colore chiaro mentre, quella stessa sera, NOME era stato ripreso recarsi a casa della sua fidanzata, NOME COGNOME portando scarpe alte e scure;
g – dalle immagini degli occupanti il TMax, era emerso che il casco indossato dal passeggero fosse interamente bianco e, pertanto, di colore e foggia diversi dal casco che NOME COGNOME, fidanzata di NOME, aveva scorto nel bagagliaio della
propria autovettura, il giorno dell’omicidio, dopo che lo stesso NOME gliela aveva restituita;
i – non era affatto emerso che i COGNOME, padre e figlio, disponessero di un motoveicolo come quello utilizzato nell’occorso;
I – il teste NOME COGNOME ritenuto fondamentale ai fini della ricostruzione del fatto, risultava invece inattendibile per avere riferito ch quel giorno i Toson avevano utilizzato una Citroen Cl rossa, mentre i due erano, invece, a bordo di una C3 di colore nero.
n – a carico di NOME COGNOME nulla era emerso, solo il possibile movente individuato nella sua partecipazione alle risse dei giorni precedenti, non potendosi alcunchè dedurre dall’alibi fallito in relazione al collocamento della sua Toyota Yaris.
1.2. Il Tribunale per il riesame, quale giudice del rinvio, nel confermare l’ordinanza custodiale, aveva osservato quanto segue.
1.2.1. Aveva, innanzitutto, ricordato gli elementi che componevano il quadro indiziario a carico del prevenuto e del coindagato.
1.2.2. Iniziando dagli incontestati elementi di prova riguardanti le risse delle sere precedenti, da cui era emerso che:
il 28 gennaio NOME COGNOME aveva ingaggiato una lite con tale NOME COGNOME (nel corso della quale era stato minacciato con un coltello); aveva sollecitato, per telefono, ed ottenuto l’intervento in suo appoggio dei figli NOME e NOME (nonché dei sodali NOME COGNOME e NOME COGNOME); nell’occasione era anche intervenuto, in appoggio a Bakrash, NOME COGNOME che aveva riportato lesioni personali giudicate guaribili in giorni 4;
il 29 gennaio, era scoppiata una nuova rissa fra Haoudi, ed alcuni suoi concittadini egiziani, da una parte, e, dall’altra, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME nel corso della quale era rimasto ferito NOME COGNOME (fratello di NOME COGNOME e zio di NOME).
1.2.3. La sera stessa di tale secondo episodio, secondo il teste NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME aveva manifestato chiari intenti di vendetta nei confronti di coloro che li avevano affrontati.
Intenti confermati da NOME COGNOME, fidanzata di NOME, e profferiti durante tutta la serata, prima a casa della madre dello stesso NOME e poi a casa dell’amico COGNOME (ove lo stesso zio COGNOME lo aveva incitato alla risposta, pur chiedendo di attendere la sua guarigione, attesa che NOME non voleva, considerando che
intendeva punire al più presto i “marocchini” che li avevano “menati”, affinchè non si potesse dire che loro, i COGNOME, non “comandavano più” in zona).
La mattina seguente (il 30 gennaio, il giorno dell’omicidio), sempre a dire della COGNOME (che aveva passato la notte a casa del fidanzato), NOME era venuto a trovare NOME e gli aveva detto “dobbiamo andare a risolvere quella cosa”, al che questi aveva ribattuto “tu hai fatto il danno e tu lo risolvi”.
NOME aveva poi accompagnato la COGNOME nella sua abitazione (erano le 12.54) ed aveva preso in prestito la sua autovettura, una Citroen C3 nera.
1.2.4. Sempre quel 30 gennaio, alle 13.44, NOME e NOME COGNOME dopo un breve contatto telefonico alle 13.44, si erano incontrati presso l’autolavaggio di Elgamal (come era stato confermato anche dalle videoriprese dell’impianto di videosorveglianza), giungendovi con diverse autovetture.
Entrambi, secondo COGNOME, avevano espresso propositi di vendetta nei confronti di coloro che avevano ferito COGNOME, indicandoli, sempre NOME, come dei “marocchini”.
Alle 15.17, NOME era tornato improvvisamente a casa di NOME COGNOME come la stessa aveva riferito, ed aveva prelevato una borsa lasciata in custodia alla ragazza contenente 8.000 euro in contanti.
NOME aveva poi risposto ai messaggi della fidanzata in modo vago, lasciandola sorpresa visto che quella sera avrebbero dovuto andare a cena per festeggiare il compleanno del figlio di un amico ma anche dello stesso NOME (nato, appunto, il 30 gennaio 2002).
L’ultimo messaggio della COGNOME a cui NOME aveva brevemente e vagamente risposto era quello inviatogli dalla ragazza alle 19.45.
Il successivo, inviato e ricevuto alle 19.48, veniva letto da NOME solo alle 20.49, un’ora dopo. Sempre alle 20.49 veniva letto (ma anche consegnato) un altro messaggio che la COGNOME aveva inviato alle 20.09.
Nessuno di questi due messaggi aveva ricevuto risposta.
1.2.5. L’azione omicidiaria si era consumata proprio nell’intervallo di tempo fra le 19.48 e le 20.49, e precisamente alle 19.55/19.56 (come dimostrano sia i passaggi, ripresi, del motociclo in avvicinamento ed allontanamento dal luogo dell’agguato, sia la chiamata al 118 del teste oculare COGNOME).
Due minuti più tardi, alle 20.51, NOME aveva ripreso i contatti telefonici, chiamando per primo NOME; poi alle 20.53 NOME COGNOME, alle 20.59 il fratello NOME; nel frattempo alle 20.55 era giunto nei pressi dell’abitazione della coccia.
1.2.6. Nel contempo, il telefono cellulare di NOME COGNOME aveva avuto contatti fino alle 18.01, per riprenderli, in quasi contemporanea con quello del figlio NOME, alle 20.50 (impegnando una cella compatibile con la sua abitazione, ove, alle 21.00, doveva rientrare essendogli stato prescritto con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza)
1.2.7. Quanto alla chiamata di NOME ad Elgamal, questi aveva riferito che si era tratto di una videochiamata in cui NOME, in risposta alla sua domanda se erano stati loro a sparare un’ora prima (la notizia dell’agguato si era già diffusa), gli aveva fatto cenno che tutto era “a posto”, mostrando il pollice in su, e di non parlare oltre, ponendo l’indice davanti alla bocca.
Una conversazione, dei gesti, che COGNOME aveva riferito anche a NOME COGNOME la cui testimonianza era stata parimenti acquisita.
Peraltro, ad ulteriore conferma di ciò, in una conversazione intercettata mesi dopo, il 18 luglio 2023, intercorsa con la propria moglie, lo stesso COGNOME le aveva confidato che NOME, subito dopo il fatto, l’aveva contattato per telefono dicendogli che era “tutto ok”; COGNOME aveva poi aggiunto, rivolgendosi sempre alla moglie, “lo sapevo che erano stati loro”.
1.2.8. NOME COGNOME e NOME COGNOME, dopo le 20.55, si erano poi recati presso l’agriturismo ove si sarebbero festeggiati i ricordati compleanni e, durante il percorso, la COGNOME aveva sentito un strano rumore, di un qualche oggetto che sbatteva libero nel bagagliaio.
Giunti sul posto, aveva controllato il bagagliaio e vi aveva scorto un casco bianco con delle strisce colorate. Chieste spiegazioni a NOME (anche riferendosi alla sparatoria da poco avvenuta), questi aveva dapprima negato che il casco fosse suo per poi affermare che era del fratello NOME.
1.3. Il Tribunale, poi, ricordava come gli alibi opposti dai due indagati si fossero rivelati falsi.
NOMECOGNOME contrariamente a quanto affermato, non era stato dai nonni quel pomeriggio e, nonostante il suo diniego, era emerso come si fosse incontrato con il padre NOME
Soprattutto non era affatto emerso che fosse rimasto a casa dei nonni (NOME COGNOME e NOME COGNOME) dalle 19.00 alle 20.15 (e quindi quando si era consumato l’omicidio) telefonando subito dopo alla COGNOME e recandosi da lei intorno alle 20.30.
Un alibi che era stato sostenuto anche dagli stessi nonni di NOME e dalla zio NOME COGNOME
La falsità di tale alibi discendeva dagli accordi che i nonni, COGNOME e COGNOME, avevano preso nell’anticamera della caserma ove dovevano essere sentiti sul punto, circa le dichiarazioni da rilasciare a favore del congiunto. E dalla affermazione della nonna, NOME COGNOME circa il fatto che era stato invece proprio NOME a sparare.
Il contenuto delle loro deposizioni veniva poi riferito, dai nonni allo stesso NOME in autovettura quando stavano tronando a casa.
Ad ulteriore dimostrazione della falsità di tale alibi, NOME COGNOME riferiva che NOME le aveva detto che nel momento in cui era avvenuto l’omicidio si trovava, invece, in casa di NOME COGNOME, il padre dell’altro festeggiato. Circostanza che lo stesso COGNOME aveva smentito.
Quanto all’alibi di NOME COGNOME false erano le dichiarazioni, ancora di NOME COGNOME e di NOME COGNOME circa il fatto che NOME stesso fosse rimasto quel giorno nella sua abitazione perché indisposto; circostanza smentita dall’incontro del primo pomeriggio con NOME presso l’esercizio di COGNOME e dai movimenti mostrati dai tabulati del suo telefono cellulare.
1.4. Il Tribunale riportava poi una serie di conversazioni intercettate che consentivano di dedurre come i familiari degli indagati fossero ben consapevoli della responsabilità dei medesimi nel fatto omicidiario e come intendessero aiutarli con le loro false dichiarazioni, e non solo: avevano distrutto un disco di registrazione delle immagini del loro impianto di videosorveglianza (mostrando la loro preoccupazione che potesse emergere qualche immagine indiziante); avevano fatto sparire una pistola giocattolo priva del tappo rosso; avevano, in più occasioni, ricercato i congegni captativi installati nelle loro vetture.
1.5. In conclusione, tutto ciò premesso, il Tribunale riteneva che il quadro indiziario fosse composto validamente da:
la più volte riferita volontà dei COGNOME di vendicarsi degli affronti subiti con l risse dei giorni prima, in particolare quella del 29 gennaio;
volontà che, come dimostravano le fasi concitate di quel 30 gennaio, era stata attuata da NOME e NOME, considerando l’interruzione della funzionalità dei loro telefoni cellulari proprio nel periodo di tempo in cui si era collocata l’azion omicidiaria, gli alibi falsi forniti dagli stessi indagati e dai loro familia convinzione più volte espressa dagli stessi familiari che fossero stati costoro a consumare l’omicidio.
1.5. Tutto ciò premesso, il Tribunale affrontava i punti in ordine ai quali questa Corte di legittimità aveva ritenuto i vizi motivazionali che avevano condotto all’annullamento della precedente ordinanza.
1.5.1. Vero è che, quanto all’individuazione della mano che aveva impugnato l’arma nell’agguato, le dichiarazioni dei due testi oculari convergevano sul fatto che i colpi di pistola fossero stati esplosi dal passeggero utilizzando la mano sinistra a braccio disteso.
Andava tuttavia considerato che:
non vi erano prove certe che NOME COGNOME fosse esclusivamente destrorso posto che le immagini in cui impugnava una pistola al poligono lo avevano visto utilizzare entrambe le mani (la sinistra in appoggio della destra);
NOME COGNOME aveva riferito che NOME disponeva di una pistola del tipo a tamburo, come quella utilizzata nell’agguato, ancorchè non l’avesse vista quel giorno (un’arma che, dalla descrizione, non appariva essere una pistola giocattolo);
la dinamica del fatto aveva imposto allo sparatore di utilizzare la mano sinistra e NOME era esperto nell’utilizzo delle armi e quindi era perfettamente in grado di sparare anche con la sinistra (che costituiva, come si è visto, la sua mano di appoggio);
la teste COGNOME aveva riferito che lo sparatore aveva riposto qualcosa nella cintura dei pantaloni, con ogni probabilità l’arma utilizzata, usando la mano destra.
1.5.2. Quanto alle diverse altezze degli occupanti la moto TMax (mai rinvenuta), il Tribunale rilevava come nei modelli del motociclo prodotti prima del 2015 il sellino del passeggero era alla stessa altezza di quello del conducente, e che, comunque, in alcune delle immagini agli atti, il casco bianco del passeggero superava in altezza quello del conducente e che, inoltre, dalle stesse era ben difficile trarre affidabili conclusioni circa la reale altezza di conducente passeggero.
Così da non potersi utilmente effettuare una perizia antropometrica, mancando immagini che li ritraessero in posizione eretta (come indicato nella relazione del RIS dei carabinieri). Confutando pertanto i giudizi espressi dal ct della difesa COGNOME e gli accertamenti del ct COGNOME.
Né mutavano il quadro le impressioni, sulle diverse altezze degli sparatori, ad opera del teste COGNOME che li aveva scorti per pochi istanti.
1.5.3. Quanto alle scarpe indossate dagli autori del fatto, il Tribunale osservava come nulla di certo poteva dedursi, dalle immagini agli atti, circa la loro
altezza ed il loro colore (che non era interamente bianco riportando anche quantomeno delle strisce di colore più scuro).
Del resto, le scarpe indossate da NOME COGNOME quella sera quando si era recato a casa della COGNOME apparivano anch’esse in parte scure, sul davanti, ed in altra parte chiare, nella parte posteriore (impressioni tratte tutte da immagini in bianco, sfocate). Né poteva escludersi che NOME si fosse cambiato le scarpe.
1.5.4. Quanto alla foggia del casco utilizzato dallo sparatore, continuava il Tribunale, dalle immagini degli occupanti il TMax era emerso che quello indossato dal passeggero era di colore bianco (con delle strisce) e che, pertanto, i testi oculari si erano sbaglianti indicandone il colore scuro.
NOME COGNOME poi, quando le erano state mostrate le medesime immagini, aveva affermato come il casco ritratto fosse quantomeno compatibile con quello scorto all’interno del bagagliaio della propria autovettura.
Proprio il casco poi era stato oggetto di uno dei tentativi di sviamento delle indagini da parte dell’indagato.
1.5.5. Quanto alla disponibilità da parte dei COGNOME di un motociclo TMax era del tutto plausibile che gli stessi, dovendolo utilizzare per l’azione omicidiaria, se ne fossero procurati uno non a loro riconducibile.
Del resto, NOME aveva appena prelavato da casa della COGNOME la somma di 8.000 euro in contanti, compatibile con l’acquisto della disponibilità di un tale mezzo.
Propone ricorso NOME COGNOME a mezzo dei propri difensori Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando le proprie censure in due motivi.
2.1. Con il primo, complesso, motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di reità, anche in considerazione delle regole di giudizio indicate dalla Corte di cassazione nella pronuncia rescindente.
2.1.1. Il punto a) del primo motivo di ricorso riguarda la discrasia fra la mano utilizzata dallo sparatore, la sinistra (a braccio teso senza il supporto dell’altra mano), e quella di cui l’indagato era solito servirsi, la destra.
Alla discrasia rilevata si era data semplicistica risposta affermando che le foto in atti che provavano l’utilizzo da parte di NOME, quando si esercitava al poligono, della mano destra, mostrassero, invece, come questi sparasse a due mani e che pertanto nulla escludeva che fosse in grado di sparare con la mano sinistra,
considerando che quella era, nell’occasione, la mano più agevole in relazione alla posizione, rispetto al motociclo, della vittima designata.
Doveva inoltre ricordarsi come il teste COGNOME avesse escluso l’utilizzo anche della mano destra posto che questa era avvinta al conducente in modo che il passeggero che stava sparando potesse reggersi in sella.
Si era anche erroneamente superato, affermando che non ve ne era prova certa, il dato, già acquisito, che NOME COGNOME fosse destrorso (sempre deducendolo dai tiri al poligono in cui era stato ritratto utilizzando la mano sinistra, seppure supporto di quella destra). Peraltro, nonostante le rilevate capacità balistiche, avrebbe errato nel cogliere il bersaglio.
La concitazione del momento avrebbe certamente imposto l’utilizzo della mano più abile.
Quando la nonna del prevenuto, NOME COGNOME aveva affermato, in una conversazione intercettata, che era stato il nipote a sparare, ella stava riferendo quanto dettole dai carabinieri e non quanto confidatole da NOME.
Né valeva citare la deposizione della COGNOME secondo la quale lo sparatore avrebbe riposto la pistola nei pantaloni con la mano destra non dimostrandosi la medesima pienamente attendibile e non mutando sostanzialmente tale circostanza la ricordata discrasia.
Non si era, allora, raggiunta la prova del fatto oltre ogni ragionevole dubbio.
2.1.2. Al punto b) sempre del primo motivo, si tratta della mancata coincidenza fra le fattezze dei COGNOME e quelle degli autori dell’omicidio.
Il Tribunale, preso atto della differenza di statura fra il padre NOME (m. 1,80) ed il figlio NOME (m. 1,90), condivideva la relazione del Ris (prodotta soltanto il 27 novembre 2023) secondo cui era impossibile ricostruire l’altezza degli sparatori essendo stati ripresi in posizione seduta. Svalutava così la consulenza della difesa del ct COGNOME e deduceva da quella COGNOME che il passeggero sopravanzava in altezza il conducente.
Così però selezionando una sola immagine (quella di pg. 9) di tale consulenza, omettendo di considerare tutte le altre.
Meramente congetturale era poi l’argomento secondo cui, non conoscendosi il modello di motoveicolo TMax, nulla potesse desumersi in ordine alla eventuale diversa altezza dei sedili, di conducente e passeggero. Tenendo conto del fatto che per i modelli posteriori al 2015 la stessa era di ben 10/15 cm.
Costituiva poi un travisamento del portato delle dichiarazioni del teste oculare NOME COGNOME l’affermazione che questi avesse, nelle due occasioni in cui era stato sentito, reso affermazioni che non consentivano alcuna sicura ricostruzione delle diverse altezze degli occupanti del motociclo, posto che egli aveva sempre riferito
la medesima circostanza, la maggiore altezza del conducente rispetto al passeggero.
Offrendo così una ricostruzione attendibile e costante e sempre in contrasto con i dati morfologici dei COGNOME, padre e figlio.
Si era poi omesso di considerare la deposizione della teste oculare NOME COGNOME che aveva riferito come il conducente fosse di corporatura più robusta del passeggero.
Così che era del tutto errata la considerazione finale, del Tribunale, della irrilevanza della diversa corporatura degli autori del fatto rispetto agli odierni indagati.
2.1.3. Al punto c) si argomenta sulla mancata coincidenza fra le scarpe indossate dagli autori dell’agguato – basse e chiare – e quelle portate da NOME COGNOME la sera stessa (alte e scure).
Il Tribunale aveva superato l’evidente discrasia negando sostanzialmente il dato, affermando infatti che quelle ritratte nelle immagini riproducenti gli occupanti del motoveicolo erano calzature che mostravano solo una macchia bianca, così da non potersene adeguatamente indicare foggia e colore.
Meramente congetturale era l’osservazione del Tribunale circa la possibilità che l’indagato si fosse cambiato le calzature proprio in vista dell’azione omicidiaria o subito dopo.
2.1.4. Al punto d) del primo motivo si formulano osservazioni sulla non compatibilità fra il casco bianco (anzi di colore scuro secondo i testi oculari) indossato dal passeggero ed il casco intravisto da NOME COGNOME nella propria autovettura.
Il Tribunale si era limitato ad affermare che, nell’audizione del 9 marzo 2023 la COGNOME, visionate le immagini dell’azione, aveva affermato che il casco ritratto ben poteva essere quello da lei visto nella vettura, ma, dalla domanda che le era stata posta, scaturiva al più un giudizio di compatibilità piuttosto che di identità.
Il Tribunale poi affermava che le immagini del casco non erano nitide, e che dalle stesse erano anche ricavabili delle strisce che avrebbero potuto confondere la teste, ma resta la considerazione che la COGNOME non ne aveva attestata, come si è detto, la possibile identità.
2.1.5. Al punto e) del motivo, in relazione al colore dei caschi indossati dagli autori dell’omicidio, si rilevava come tutti i quattro testimoni oculari – Di COGNOME COGNOME, COGNOME e COGNOME – avessero riferito come lo sparatore indossasse un casco di colore scuro, uno di questi l’aveva riferito con visiera, così che
l’affermazione del Tribunale che ben avrebbe potuto essere di colore, almeno parzialmente, bianco non aveva fondamento alcuno.
2.1.6. Il punto f) tratta della indisponibilità, da parte degli indagati, di u moto TMax.
Il Tribunale ammetteva il dato salvo poi congetturare che avrebbe potuto acquistarlo con gli 8.000 euro in contanti che la Coccia quel giorno gli aveva consegnato (anche deducendolo da alcune frasi intercettate alla coccia sul fatto che l’azione fosse stata organizzata in un sol giorno).
2.1.7. Per la prima volta, poi, nel corso del procedimento la pubblica accusa aveva prodotto l’accertamento della geolocalizzazione dei due indagati.
L’accertamento in parola però non aveva dato esito alcuno posto che fino a pochissimi minuti prima dell’omicidio il cellulare dell’indagato era rimasto in Alatri, e non era dato sapere se e quando fosse stato spento.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alle ritenute esigenze di cautela.
Il Tribunale non aveva ritenuto superata la doppia presunzione, seppur relativa, dell’esistenza delle esigenze di cautela e della proporzionalità della misura massima, anche considerando le condotte intimidatorie poste in essere dai prevenuti nei confronti delle persone che avrebbero dovuto essere escusse.
Ricordati gli arresti della Corte costituzionale, si riteneva tuttavia che il tempo trascorso e i dubbi indiziari rilevati consentissero di modificare la misura in quella dell’obbligo di dimora nel Comune di Latina e con gli arresti domiciliari presso i congiunti che si erano offerti (profilo non trattato dal Tribunale) ad oltre 100 km da luogo dell’omicidio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
La sentenza di annullamento del precedente provvedimento del Tribunale per il riesame era stata determinata dalla insufficiente motivazione rispetto ad alcuni elementi di fatto che apparivano contraddire le ulteriori emergenze.
Elementi che sono già stati più volte ricordati e che, per comodità di lettura, qui si ripetono in estremo sunto: l’utilizzo da parte dello sparatore della mano sinistra quando NOME COGNOME era destrimane, la diversa corporatura fra gli occupanti della moto ritratta nelle immagini, precedenti e successive, all’azione
omicidiaria e quella degli odierni indagati, la difformità del casco indossato dallo sparatore rispetto a quello descritto da NOME COGNOME come lasciato da NOME nella sua autovettura, l’incompatibilità, di foggia e colore, fra le scarpe da ginnastica indossate dagli occupanti la moto e quelle indossate da NOME quando si era recato, dopo l’omicidio, a casa della COGNOME, l’indisponibilità di un motoveicolo del tipo utilizzato nell’occorso in capo agli indagati.
Così che, avendo a mente la ragione dell’annullamento, il vizio di motivazione, deve ricordarsi come si sia già avuto modo di affermare che:
il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è investito di pieni poteri di cognizione e, salvi i limiti derivanti da un eventual giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito (da ultimo Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801);
nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice che, adeguatamente motivando rispetto ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente e con il limite dell’avvenuta formazione progressiva del giudicato in relazione ai diversi capi della decisione, pervenga nuovamente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulla base di argomenti differenti da quelli censurati dalla Corte di cassazione, potendo egli non solo procedere all’esame completo del materiale probatorio ma anche compiere eventuali nuovi atti istruttori necessari per la decisione (Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, COGNOME, Rv. 280660, pronunciata in tema di cautela personale seppure alcune espressioni richiamino il giudizio di merito);
nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenz processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prov (Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629).
2.1. Così che può affermarsi, in relazione all’odierno caso concreto, che il Tribunale per il riesame, quale giudice del rinvio, allo stato degli atti ed ai fini del verifica dei presupposti della misura cautelare personale, poteva e doveva:
rivisitare e riaffermare gli indizi che conducevano a ritenere, NOME COGNOME ed il padre NOME, colpevoli del delitto di omicidio loro ascritto;
rivisitare e riconsiderare gli elementi di fatto che, nella sentenza di annullamento, si erano individuati come critici rispetto alla ritenuta colpevolezza degli indagati, valutandone anche la reale consistenza, non dovendo affatto fermarsi a quanto nella sentenza di annullamento si era affermato circa la loro concreta sussistenza.
3. E così era avvenuto.
Il Tribunale aveva, innanzitutto, ricostruito nel dettaglio gli elementi indizianti che qui non si ripetono, avendoli sopra esposti nel dettaglio.
Da questi erano tuttavia emerse una serie di circostanze di indubbio significato probatorio:
dopo la rissa del 28 gennaio (2023) in cui NOME COGNOME (minacciato con un coltello) aveva chiamato in aiuto i figli (tra cui NOME) ed altri sodali ed in cui rimasto ferito lo Houadi, il giorno appresso, il 29 gennaio, ne era scoppiata una seconda, fra lo Houadi stesso, spalleggiato da altri suoi concittadini di nazionalità egiziana, e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (questi ultimi due fra i sodali chiamati in soccorso il giorno prima da NOME), nel corso della quale era rimasto ferito lo zio di NOME (e fratellastro di NOME) NOME COGNOME;
era stata proprio quest’ultima circostanza, il ferimento del COGNOME, che aveva innescato la volontà di vendetta dei COGNOME, NOME innanzitutto (espressa in varie occasioni quella sera stessa) e la mattina dopo anche da NOME (che si era recato a casa di NOME);
così che la rissa del 29 non era stato solo il movente dell’azione ma aveva costituito anche il punto d’inizio dell’azione dei COGNOME (che, nelle due risse, avevano sempre agito in gruppo) volta alla reazione per quanto subito (non potevano permettersi, per il loro “prestigio” nel territorio, di subire prepotenze dai “marocchini”); si ricorda, a proposito di un certo tipo di logiche, che NOME era sottoposto ad una misura di prevenzione personale;
il giorno dopo, quello dell’omicidio, il 30 gennaio, dopo essersi, NOME e NOME, incontrati a casa di NOME, erano seguite fasi concitate nel corso delle quali NOME aveva ritirato gli 8.000 euro in contanti (mai era stata data lettura alternativa di tale circostanza rispetto a quelle congruamente ipotizzata dell’acquisto dei mezzi necessari ad agire, primo fra tutti, la moto con la quale eseguire l’agguato);
i due, padre e figlio, si erano poi incontrati, poco prima delle 14.00, presso l’esercizio di Elgamal, ancora decisi a portare a termine la propria vendetta;
proprio nel lasso di tempo in cui l’agguato era stato consumato, i telefoni cellulari di entrambi non avevano mostrato alcun traffico: NOME aveva risposto ad un messaggio delle 19.48 solo alle 20.49 ed il suo telefono non aveva ricevuto (e quindi era spento) un messaggio inviatogli alle 20.09; il cellulare di NOME aveva cessato di connettersi poco dopo le 18.00 per sviluppare traffico solo alle 20.51, quasi contemporaneamente a quello il figlio;
la prima telefona di NOMECOGNOME riacceso il cellulare era stata proprio quella ad fatta ad COGNOME, alla cui domanda se erano stati loro a sparare (un’ora dopo già si sapeva del fatto), aveva risposto, anche con i gesti (era un videochiamata), “tutto a posto” e “silenzio”;
NOME COGNOME aveva poi rinvenuto nel bagagliaio della propria vettura, prestata quel giorno a NOME, un casco bianco con delle strisce colorate (di cui NOME aveva negato, in un primo momento, il possesso) che, fattele vedere le immagini degli occupanti della motocicletta, le era parso compatibile con quello indossato dal passeggero;
nei giorni successivi, dalle conversazioni intercettate, era emerso che i familiari del COGNOME, in particolari i nonni, per un verso avevano cercato di confermare i falsi alibi dedotti dai medesimi e, per altro verso, si erano detti convinti della loro colpevolezza.
Si era così disegnato un quadro indiziario di notevole solidità non solo nei confronti di NOME COGNOME ma anche del padre NOME, che risultava aveva agito di concerto con il figlio negli intenti e nei momenti essenziali di quella giornata (oltre che, anche lui, nella successiva costruzione di un alibi falso, sempre grazie al contributo dichiarativo dei propri familiari).
Chiusa la rassegna degli indizi, il Tribunale passava a considerare gli elementi che avevano determinato i difetti di motivazione rilevati da questa Corte.
E, riconsiderandone la reale consistenza ed il reale portato, non gli aveva ritenuti tali da inficiare quanto sopra accertato.
4.1. Quanto all’utilizzo della mano sinistra, era possibile che NOME l’avesse utilizzata dovendo agire in pochi attimi e trovandosi la vittima designata sulla sinistra della moto. Peraltro, era emerso che, almeno come mano d’appoggio, NOME fosse solito servirsi della sinistra al poligono. La teste oculare COGNOME aveva poi riferito che chi aveva sparato aveva adoperato la mano destra per riporre un oggetto (l’arma, si deve ritenere) nella cintura.
I
4.2. Quanto alla corporatura degli occupanti il TMax usato nell’agguato, il Ris dei carabinieri aveva già tecnicamente spiegato come non fosse possibile ricostruirne la reale altezza, essendo stati ritratti da seduti.
Era poi emerso, da una delle fotografie agli atti, come il casco del passeggero si trovasse più in alto di quello del conducente e come, soprattutto, non potessero dedursi, con la dovuta certezza, la reale diversità di altezza e corporatura degli occupanti della moto dalle dichiarazioni dei testimoni che li avevano visti solo per pochi istanti a bordo di una motocicletta che era transitata velocemente.
Come dimostrava anche il fatto che tutti i ricordati testi oculari avevano indicato come il casco del passeggero fosse di colore scuro mentre, dalle immagini che l’avevano ritratto, appariva, indubitabilmente, di colore chiaro.
4.3. Quanto alle difformità fra le scarpe indossate nel corso dell’azione omicidiaria e quelle indossate da NOME quando si era recato a casa della fidanzata, il Tribunale, ancora rivedendo le relative immagini, poneva in dubbio che delle stesse fosse possibile ricostruirne foggia (basse e alte) e colore (chiaro e scuro) nel senso indicato, invece con certezza (dedotta dalle precedenti acquisizioni), nella sentenza di annullamento.
4.4. Quanto alla diversità del casco utilizzato dal passeggero con quello indicato da NOME COGNOME restava la considerazione che, mostrate alla medesima le immagini degli occupanti la motocicletta usata nell’agguato, pur non potendo affermarne l’identità ne aveva riferito la compatibilità.
4.5. Quanto al possesso di una TMax da parte dei Toson, era vero che nulla era emerso ma non era illogico ritenere che quegli 8.000 fossero stati usati anche per acquisirne la disponibilità (non doveva ovviamente essere a loro riconducibile) per poi disfarsene.
4.6. In conclusione, il Tribunale non si era sottratto affatto alla verifica dell possibili contraddizioni al compendio indiziario ma, saggiatone il concreto contenuto, non aveva ritenuto che le stesse ne costituissero un’adeguata confutazione.
Anche il secondo motivo, sulle esigenze cautelari, non merita accoglimento. Certo nulla può dedursi, su tale punto, da una pretesa insufficienza del quadro indiziario come pare suggerire il ricorso.
Tenendo invece conto della gravità del fatto, e delle ragioni che l’avevano determinato, risulta priva di ogni difetto logico, la motivazione del Tribunale circa
A
l’adeguatezza e la proporzionalità alla dimostrata pericolosità sociale degli indagati, la sola misura cautelare personale massima.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, in Roma il 3 luglio 2024.