Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29680 Anno 2025
RITENUTO IN FATTO Penale Sent. Sez. 4 Num. 29680 Anno 2025 Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: NOME
1. Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo che ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di Data Udienza: 20/06/2025
NOME COGNOME avverso l’ordinanza cautelare del 20 novembre 2024 applicativa della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati contestati ai capi di incolpazione 14) 15) e 16).
2. Il ricorso si fonda su due motivi:
2.1. Con il primo motivo, si deduce contraddittorietà della motivazione nonché violazione ed errata applicazione degli artt. 297, comma 3, 303 e 649 cod. proc pen., sostenendosi che per i medesimi fatti dell’odierno procedimento l’indagato ha già subito una precedente condanna. In particolare, le contestazioni di cui ai capi 14) e 16) sarebbero già stati sottoposti alla valutazione di un precedente giudizio, atteso che il quantitativo di sostanza stupefacente che si assume ceduto (circa 300 gr. di cocaina) è identico a quello già rinvenuto nel corso del precedente procedimento in sede di perquisizione. Tale fatto storico sarebbe sufficiente non solo a rilevare la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., ma altresì la violazione degli artt. 297 e 303 cod. proc. pen. Il compendio indiziario utilizzato nel presente procedimento sarebbe stato composto dagli esiti delle attività di intercettazione precedenti all’ammissione del primo provvedimento cautelare;
2.2. Con il secondo motivo, si deduce illogicità della motivazione con riferimento al capo 15) , nonché violazione ed errata applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. 309/90. La motivazione sarebbe priva di un percorso argomentativo che dia conto del compendio indiziario necessario per la configurazione del reato associativo. In particolare, si evidenzierebbe una discrasia motivazionale tra il ruolo attribuito al ricorrente all’interno del sodalizio e le emergenze indiziarie, prive di univocità, sotto il profilo del contributo causale apportato dall’indagato. Il nucleo essenziale del giudizio di gravità indiziaria è costituito dagli esiti delle intercettazioni, le quali hanno fatto emergere l’esistenza di rapporti tra il Torino e gli altri coindagati. La motivazione, tuttavia, non offre il riscontro di una collaborazione costante o comunque continuativa del prevenuto con i presunti esponenti dell’associazione, non essendo emersi, al di fuori delle condotte illecite di cui ai capi 14) e 16), altri episodi significativi del coinvolgimento del Torino nella consorteria criminale. Mancherebbe inoltre una esplicita motivazione sulla struttura organizzativa; non è stato chiarito come e quando sarebbe iniziata l’attività illecita; né l’esistenza di una struttura associativa è stata provata a prescindere dalle cessioni contestate e dagli sporadici contatti tra i presunti associati. La partecipazione
del ricorrente al sodalizio sembra essere basato unicamente sul ruolo svolto nei reati fine a lui contestati.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché aspecifico e manifestamente infondato.
Quanto al primo motivo, come si legge anche nel provvedimento impugnato, la identità dei fatti viene, anche nel presente ricorso, sostenuta in modo del tutto generico e dunque inidoneo a verificare la eventuale violazione del principio del ne bis in idem che, come noto, impone corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. Si tratta peraltro di una valutazione in punto di fatto, preclusa in sede di legittimità. Avuto poi riguardo alla asserita violazione della regola di retrodatazione del termine di decorrenza di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., la deduzione, avanzata per la prima volta con il ricorso per cassazione, è inammissibile poiché il relativo accertamento comporta verifiche di merito, incompatibili con il giudizio di legittimità, in ordine al rapporto di connessione tra i fatti oggetto dei due diversi procedimenti, alla desumibilità dagli atti delle posteriori contestazioni e all’interesse attuale della questione ( Sez. 5, n. 14713 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 275098)
In ogni caso, giova richiamare il principio per il quale, in tema di cosiddetta “contestazione a catena”, la disciplina prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. per il computo dei termini di durata della custodia cautelare non è applicabile nell’ipotesi in cui per i fatti contestati con la prima ordinanza l’imputato sia stato condannato, come avvenuto nel caso di specie, con sentenza passata in giudicato ancor prima dell’adozione della seconda misura (Sez. U, n. 20780 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243322).
Il primo motivo è, pertanto, inammissibile.
Quanto al secondo motivo, relativo alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, giova preliminarmente ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno già avuto modo di chiarire che «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia
dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828. In motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza).
Questa Corte, inoltre, ha più volte chiarito che, in tema di misure cautelari, la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 17247 del 14/03/2019, COGNOME, Rv. 276364; Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683;
Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576). Invero, al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (per questa ragione l’art. 273, comma 1bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192, commi 3 e 4, medesimo codice, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi). Deve, peraltro, ricordarsi che la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e che, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di
logicità, peraltro, deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana , Rv. 255460).
Nel caso di specie, l’ ordinanza impugnata risulta avere adeguatamente analizzato tutti gli elementi indiziari, riconducendoli ad unità in considerazione della loro concordanza e, con motivazione assolutamente logica, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente. Il Tribunale del riesame ha, in primo luogo, ricostruito la vicenda relativa all’esistenza di un’associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti indicando in modo analitico le evidenze probatorie (pp. 7-8 ordinanza) e riportando per stralci anche le conversazioni captate, idonee a comprovare sia l’attività del sodalizio che la partecipazione del Torino. Le intercettazioni telefoniche, riscontrate dai servizi di osservazione della p.g., sono poi state poste a fondamento della ritenuta sussistenza del compendio indiziario in ordine ai reati fine (pp. 6-7 ordinanza).
Il motivo è, quindi, manifestamente infondato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende . La cancelleria è incaricata degli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME
Salvatore COGNOME