Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7735 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7735 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso di NOME NOME COGNOME nato a Catania il 17/08/1996, avverso l’ordinanza in data 16/08/2024 del Tribunale di Catania, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal presidente NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 16 agosto 2024 il Tribunale del riesame di Catania ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 25 luglio 2024 dal G.i.p. del Tribunale di Catania per il reato dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorrente lamenta il vizio di motivazione perché i gravi indizi d colpevolezza a suo carico erano stati desunti dalla duplice chiamata in correità, senza alcun vaglio critico, con conseguente insufficienza anche della valutazione delle esigenze cautelari. f .1j)
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza del reato ascritto, relativo alla partecipazione a una fornitura di sostanza stupefacente del tipo cocaina dell’importo di euro 124.000, sulla base delle intercettazioni delle conversazioni con NOME COGNOME che aveva un ruolo apicale in seno al gruppo mafioso del Villagio Sant’Agata, e con NOME COGNOME deputato principalmente alla gestione degli stupefacenti e molto vicino a COGNOME.
Il ricorrente non si è confrontato con tale parte della motivazione e ha concentrato le sue difese sulle dichiarazioni accusatorie dei due collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che hanno confermato il pieno coinvolgimento dell’indagato nelle attività di spaccio riconducibili a soggetti di primissimo piano del gruppo predetto. Infatti, il Tribunale del riesame ha desunto le esigenze cautelari giustificanti il mantenimento della misura custodiale in carcere dall’ulteriore argomento delle dichiarazioni dei collaboratori. Il ricorrente ha lamentato che tali dichiarazioni non erano state riscontrate, ma, a ben leggere l’ordinanza, sono state considerate esse stesse elemento di riscontro delle già pienamente sufficienti intercettazioni e hanno consentito di corroborare la valutazione dei Giudici della cautela in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e all’attualità delle esigenze cautelari per le quali il Tribunale ha opportunamente tenuto conto della gravità dei fatti, della quantità di stupefacente movimentato, delle ingenti risorse economiche impiegate, della caratura dei coindagati, della professionalità dimostrata anche in proiezione, con formulazione di una prognosi negativa nonostante le indagini si siano arrestate al 2022. Per gli stessi motivi, considerato l’inserimento del ricorrente nel settore del narcotraffico e della criminalità organizzata e il compimento di un’attività di spaccio sistematica e professionale, il Tribunale del riesame ha ritenuto di confermare la custodia in carcere non essendo possibile disporre misura cautelare meno afflittiva in funzione di contenimento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La decisione è in linea con la giurisprudenza di legittimità in ordine ai requisiti di concretezza e attualità (tra le più recenti, Sez. 5, n. 12869 de 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891). Il Tribunale del riesame ha indicato elementi non meramente congetturali sulla base dei quali ha affermato che l’imputato, verificandosi l’occasione, può facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello per cui si procede (concretezza), e che per la sua personalità
non è possibile formulare una prognosi positiva in ordine all’astensione da future condotte criminose (attualità). La decisione resiste dunque alle censure sollevate.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 24 ottobre 2024
Il Consigliere estensore