Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34656 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34656 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME NOME, nata a Napoli il DATA_NASCITA, avverso la ordinanza del 20/02/2024 del Tribunale per il riesame di Cagliari, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO .
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale per il riesame delle misure coercitive di Cagliari respingeva l’istanza di riesame proposta, ex art. 309 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza emessa in data 19 ottobre 2023 dal GIP del Tribunale di Cagliari, che aveva applicato anche al ricorrente la misura cautelare della custodia in carcere in riferimento ai delitti di associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di più delitti contro il patrimonio e concorso in più episodi di riciclaggio di proventi di attività illecite svolte nel settore degli stupefacenti da al soggetti indagati (capi A, E, G, I, M, P, R e T).
Si procede per delitto associativo finalizzato alla commissione di reati contro il patrimonio ed in particolare reati di riciclaggio. La fattispecie concreta prospetta che la ricorrente, inserita in un circuito professionale di riciclaggio in uno ai suoi prossimi congiunti ed in collaborazione con il produttore (NOME COGNOME) della provvista illecita (rinveniente dal traffico di sostanze stupefacenti) si fosse resa disponibile per la intestazione fittizia di un numero rilevante di automezzi acquistati con i proventi dell’attività illecita poi noleggiati a terzi.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagata, deducendo:
3.1. vizio di legge processuale e vizi di motivazione in ordine al riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza per le ipotesi contestate, non potendo ritenersi verificata la ricorrenza della gravità indiziaria in capo alla ricorrente per le ipotesi di riciclaggio contestate e per la stessa ipotesi associativa e non potendo desumersi specifica gravità indiziaria dal contenuto delle chiamate in correità riferibili ad altri indagati diversi dalla ricorrente;
3.2. i medesimi vizi sono contestati con riferimento alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari, non rinvenendosi negli atti specifici sintomi della attualità di tali esigenze, tutelabili peraltro solo con la più afflittiva delle misure, avut peraltro riguardo alla completa incensuratezza della ricorrente, dedita ad attività lavorativa in Germania.
Il ricorso è stato trattato con contraddittorio cartolare, atteso che la richiesta di trattazione orale è stata trasmessa dal difensore istante a mezzo p.e.c. solo in data 7 giugno 2024, quando il termine perentorio era scaduto il precedente 1 giugno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, giacché manifestamente infondato, meramente ripetitivo delle doglianze espresse con i motivi di riesame e tendente a prospettare alla Corte di legittimità vizi attinenti alla corretta identificazione e valorizzazion
dei gravi indizi di colpevolezza; tutti aspetti che il Tribunale per il riesame ha diffusamente trattato, esaminato ed argomentato, in uno all’attuale concretezza delle esigenze cautelari di prevenzione speciale tutelabili solo con la misura di massima afflittività.
Tale orientamento, dal quale l’odierno Collegio non intende discostarsi, ha trovato conforto anche in pronunce più recenti di questa Corte Suprema (ex ceteris: Sez.2, n.27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976-01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460-01). Ne consegue che “L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione dl specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato” (In motivazione, la 5.C. ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella
prospettaziope di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito). (Sez. F, n. 3 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698-01; Sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Rv. 276976; Sez. 2, n. 23272, del 7/5/2024, n.m.).
Orbene, nel caso in esame, l’ordinanza esaminata risulta avere adeguatamente analizzato tutti gli elementi indiziari, averli ricondotti ad unità attesa la lo concordanza e, con motivazione assolutamente scevra da illogicità o contraddizioni, aver ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico della ricorrente per i delitti di cui agli artt. 416, 648 -bis cod. pen., nonché la sussistenza di concrete ed attuali esigenze cautelari, sottese alla elezione della più adeguata misura coercitiva applicata in sede genetica.
Quanto alle deduzioni difensive relativamente ai gravi indizi di colpevolezza, va detto che l’ordinanza impugnata evidenzia con puntualità le condotte ulteriori rispetto a quelle tipiche della sola ricettazione, emergenze che consentono di ritenere integrati, quantomeno sotto il profilo gravemente indiziario, i reati più gravi di riciclaggio di risorse di provenienza delittuosa, come contestati nel corpo dell’imputazione provvisoria. Sono state valorizzate da un lato le condotte di messa a disposizione delle proprie generalità per l’intestazione di un numero cospicuo di veicoli acquistati con i proventi del traffico di stupefacenti, creando l’apparenza di un loro acquisto e detenzione lecita, e dall’altro il contenuto delle intercettazioni di comunicazioni tra gli indagati e altri soggetti, da cui emerge in maniera inequivoca l’attività svolta dal COGNOME in collaborazione anche con il coniuge della ricorrente.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui: “Ai fini della configurabilità del “fumus” dei delitti contro il patrimonio presupponenti la consumazione di un altro reato (artt. 648, 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 cod. pen.), reati c.d. “derivati” è necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, sia individuato quantomeno nella sua tipologia, pur non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali (così Sez. 2, n.6548 del 15/12/2021, dep. 23/02/2022, Cremonese, Rv. 282629-01; Sez. 2, n.46773 del 23/11/2021, Peri, R. 28243302), per cui appaiono del tutto infondate le censure circa l’Insufficienza della motivazione in ordine alla provenienza illecita dei beni acquistati a vario titolo dagli odierni indagati.
2.1. Quanto ai gravi indizi del reato associativo l’ordinanza Impugnata svolge, analogamente, puntuali considerazioni che appaiono suffragate da chiari elementi indiziari che sono stati individuati nelle seguenti circostanze: la pluriennale durata dell’attività delittuosa, la costituzione di una pluralità di ditte individuali e di socie di capitali di fatto gestite dagli associati, il ricorso ad una pluralità di ramifica
sotterfugi destinati a nascondere il riciclaggio di oggetti provenienti dal traffico di stupefacenti. Tali elementi sono stati ritenuti suffragati dal contenuto delle conversazioni intercettate e chiamate in correità che, ad avviso del Tribunale del riesame, dimostrano il livello di cooperazione e i costanti collegamenti esistenti tra gli indagati. Va, peraltro, ribadito il principio che: “Nel procedimento “de libertate”, la valutazione del contenuto e dei risultati delle intercettazioni telefoniche e del significato delle espressioni usate anche dagli interlocutori costituiscono accertamento di fatto, riservato al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica. (La Corte nella specie ha ritenuto sufficiente l’indizio raccolto attraverso intercettazioni telefoniche che documentano, in modo genuino e originario, fatti e dichiarazioni, all’insaputa degli interlocutori, costitutivi della probabile colpevolezza in ordine al reato di cui all’articolo 416 cod. pen.).” (così Sez.5, n.6350, del 22/12/1999 – del 6/02/2000, Cannavò, Rv. 216269-01).
Si ritiene, quindi, che anche in relazione al delitto di cui all’art. 416 cod. pen., le motivazioni dell’ordinanza impugnata non risultano manifestamente illogiche o contradditorie, e non possono perciò essere sindacate in questa sede quanto alle valutazioni di merito.
2.2. Con riferimento alle deduzioni che riguardano, invece, concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, oltre alla adeguatezza del presidio di massima afflittività imposto alla ricorrente, si ritiene che il Tribunale abbia in tal sens correttamente applicato li principio già affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate (Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Stamegna, Rv. 267785-01). I giudici del riesame hanno adeguatamente formulato un giudizio prognostico che, sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., si riconnette alla realtà emergente dagli atti del procedimento ed alle valutazioni della persistente pericolosità che è dato trarne, con evidente esclusione di una considerazione di possibile adeguatezza della diversa modalità di applicazione ed esecuzione della misura cautelare per come indicata dalla difesa (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 277242-01; Sez. 4, n. 47837 del 04/10/2018, C., Rv. 273994-01; Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, COGNOME, Rv. 271216-01; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, COGNOME, dep. 2017, Rv. 269684-01; Sez. 2, n. 44946 del 13/09/2016, COGNOME, Rv. 267965-01; Sez. 2, n. 53645 del 08/09/2016, NOME, Rv. 268977-01). Nello specifico, l’ordinanza impugnata ha fatto richiamo alle motivazioni formulate dallo stesso GIP che aveva evidenziato che gli
indagati avevano proseguito l’attività delittuosa fino ad epoca assolutamente recente, mostrando, perciò, concretamente che le condotte illecite descritte, seppur valutate a livello indiziario, siano un vero e proprio modus vivendi, che esse pare assurgano a loro principale fonte di reddito. Tale quadro risulta inevitabilmente aggravato dalla circostanza relativa al numero dei reati contestati ed al valore rilevante dei beni immessi nel circuito lecito.
Si ritiene, pertanto, che non sia rinvenibile alcun vizio sindacabile in sede di legittimità in assenza di alcuna violazione di legge né sussistendo profili di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione, non potendo, per il resto, la Corte sostituirsi ai giudici di merito nella valutazione della permanenza delle esigenze cautelari e dell’individuazione della misura cautelare adeguata.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
3.1. Ai sensi dell’art. 94, comma i ter, disp. att., cod. proc. pen. la presente sentenza va comunicata al ricorrente detenuto a cura del direttore dell’istituto penitenziario di detenzione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att.
cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27/06/2024.