Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22236 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22236 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/12/2023 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, che concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata in questa sede, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame proposta avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria del 6 novembre 2023 che ha applicato la misura della custodia in carcere nei confronti di COGNOME NOME, in quanto gravemente indiziato dei delitti di partecipazione all’associazione per delinquere di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, nella specifica articolazione del
mandamento di Reggio Centro (capo 23), e di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 13)
2. Ha proposto ricorso per cassazione la difesa di COGNOME NOME deducendo, con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 192, 273, cod. proc. pen., 110, 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3, 416 bis.1, cod. pen., nonché vizio della motivazione, in relazione all’addebito di cui al capo 13. L’ordinanza del Tribunale non aveva fornito adeguata motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria, difettando una rigorosa valutazione del materiale raccolto mediante le intercettazioni, ritenuto dimostrativo sia della diretta e consapevole partecipazione del ricorrente all’iniziativa estorsiva, sia ancora della contestata aggravante del metodo mafioso e dell’agevolazione. Non erano state considerate l’assenza di diretta partecipazione del COGNOME a molti dei dialoghi intercettati e considerati dal Tribunale quale elementi indiziari; l’ambiguità delle espressioni e dei contenuti delle conversazioni; la distanza temporale tra l’ideazione della condotta estorsiva e l’epoca in cui il ricorrente sarebbe intervenuto, peraltro in una limitata fase di mera sollecitazione al pagamento, senza elementi obiettivi in grado di supportare il giudizio sulla consapevolezza circa il carattere estorsivo della richiesta di pagamento. Il Tribunale, infine, non aveva preso in considerazione l’alternativa tesi della connivenza non punibile ovvero dell’intervento a fini meramente solidaristici, ipotesi entrambe escludenti la sussistenza del quadro indiziario a carico del COGNOME. Egualmente carente e apodittica la motivazione in punto di affermata sussistenza dell’aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 273, comma 1 e 1 bis, cod. proc. pen., 416 bis cod. pen., nonché vizio della motivazione, in relazione all’addebito di cui al capo 23.
Il provvedimento del Tribunale si era limitato a raccogliere una serie di indizi, senza procedere alla necessaria verifica sulla portata del singolo dato in termini di conducenza e rilevanza nella dimostrazione dei fatti ignoti, procedendo ad una mera sommatoria di quegli elementi così violando le regole valutative proprie della prova indiziaria. In particolare, era stata considerata in modo illogico la statuizione di condanna per la condotta di partecipazione ad un pregresso sodalizio, riferito ad un’epoca notevolmente distante da quella relativa all’attuale contestazione, e non dotata del carattere della definitività; in modo analogo, era risultata superficiale la considerazione della portata delle dichiarazioni di un collaboratore che non era stato in grado di indicare caratteri specifici di attività di partecipazione al sodalizio indicato nell’imputazione cautelare; anche i rapporti personali registrati nelle intercettazioni tra il ricorrente e taluni esponenti del sodalizio non erano stati
correttamente valutati risultando essere dimostrativi, al più, della vicinanza o contiguità del ricorrente con singoli soggetti, ritenuti inseriti in contesti associativ difettando la dimostrazione della compenetrazione del singolo nell’attività associata mediante uno stabile inserimento e una costante messa a disposizione dell’associazione, prova che non poteva trarsi dalla sola circostanza delle informazioni fornite dal COGNOME ai suoi interlocutori su notizie diffuse sulla rete e suscettibili di esporre al rischio di incriminazione soggetti appartenenti al sodalizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va preliminarmente ricordato che, in materia di ricorso per cassazione avverso i provvedimenti del Tribunale del riesame in materia cautelare personale, le deduzioni circa l’ insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, così come l’assenza delle esigenze cautelari, sono ammissibili solo se denuncino la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propongono censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito, in quanto in sede di legittimità è consentita unicamente la verifica delle censure inerenti l’adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/20:17, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 – 01).
A fronte di una motivazione del Tribunale del riesame che, pur rilevando con riguardo alla contestazione cautelare di cui al capo 13), l’assenza “di specifiche doglianze sul punto”, ha enucleato i dati indiziari tratti sia dalle intercettazioni, si dai servizi di osservazione, collegandoli logicamente e valutandoli nel contesto territoriale e relazionale tra l’indagato e soggetti indicati come esponenti di rilievo della criminalità organizzata, il motivo si dilunga nella prospettazione di letture alternative delle captazioni, nella rivalutazione dei dati fattuali, cercando di svalutare la sicura condotta di sollecitazione al pagamento rivolta alla persona offesa e di isolare i singoli momenti storici senza considerare i collegamenti operati dall’ordinanza impugnata con argomenti logicamente corretti e coerenti con il complesso degli indizi a disposizione.
Del tutto assertive, e non supportate da alcun dato indiziario, le tesi alternative ipotizzate con il ricorso sulla qualificazione della condotta come connivenza non punibile o quale intermediazione nell’esclusivo interesse della vittima.
Quanto alle censure riguardanti la circostanza aggravante del ricorso al metodo mafioso e dell’agevolazione dell’attività del sodalizio, esse non considerano coerentemente l’ulteriore addebito cautelare della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso di cui al capo 23), che rende logicamente conto del contesto in cui si pone la condotta estorsiva contestata.
1.2. Anche il secondo motivo sconta i medesimi limiti già evidenziati, oltre a risultare generico e, come tale, non consentito.
La critica al giudizio di gravità indiziaria per il reato associativo, infatti, n può dirsi puntuale; essa tralascia e omette del tutto il riferimento contenuto nell’ordinanza all’attività di supporto nella gestione di periodi di latitanza di talu sodali, non potendo essere svalutato un dato così specifico e particolarmente significativo del grado di fiducia riposto dagli associati nel ricorrente e del tipo di supporto assicurato, certamente essenziale per l’efficacia e l’operatività dell’associazione; quel dato, letto unitamente alle vicende estorsive (che non possono certo essere ridimensionate come vorrebbe il ricorrente, senza alcun aggancio indiziario alle tesi alternative esposte) è stato considerato in modo logico dal provvedimento come indicatore della partecipazione all’associazione.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario ove è custodito il ricorrente, affinché provveda a quanto previsto dall’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 12/4/2024