Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11799 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11799 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME, nato a Sant’Agata de’ Goti il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 16/11/2023 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentiti i difensori, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 13 settembre 2023, che aveva applicato al ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di partecipazione, con funzioni direttive, ad una associazione di tipo camorristico (indicata come RAGIONE_SOCIALE, operativa nel territorio esistente tra la provincia di Benevento e quella di Avellino, conformata in sottogruppi federati in relazione a più limitati ambiti territoriali nonché di due reati-fine di concorso in estorsione consumata e tentata ai danni di due imprenditori, ai quali era stato richiesto di pagare il pizzo, delitti entramb aggravati dal metodo e dalla finalità di agevolazione della cosca criminale (capi 1, 3 e 7 della imputazione provvisoria).
Il Tribunale, come il primo giudice, ha valorizzato, sotto il profilo indiziari intercettazioni telefoniche ed ambientali, dichiarazioni delle persone offese e dei collaboratori di giustizia, attività di polizia giudiziaria e sentenze irrevocabili, tali elementi deducendo, sotto il profilo cautelare, il pericolo di recidiva.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo dei suoi difensori e con unico atto.
Deduce:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi al reato di estorsione consumata di cui al capo 3 della imputazione provvisoria.
Le conversazioni intercettate dimostrerebbero che il ricorrente nulla sapeva dell’attentato dinamitardo contro l’imprenditore vittima della estorsione, COGNOME NOME e che l’azione era stata commessa da altri.
Il Tribunale avrebbe travisato il significato di alcune intercettazioni, attribuendo al ricorrente condotte a lui non riferibili secondo quanto risultante dall’esame di altri dialoghi citati dallo stesso Tribunale (fgg. 6-8 del ricorso).
Nell’ordinanza impugnata si sarebbe travisato il contenuto della conversazione n. 8921 del 18.1.2019, ritenendo, contrariamente ad altri dati captativi indicati in ricorso, che il ricorrente avesse in animo di partecipare alla riscossione di una rata dell’estorsione, in realtà già pagata dalla persona offesa (fgg. 11-13 del ricorso);
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi al reato di tentata estorsione di cui al capo 7 della imputazione provvisoria.
Le conversazioni intercettate dimostrerebbero che il ricorrente non era intervenuto personalmente presso la persona offesa COGNOME, essendo altri interlocutori a
discutere della vicenda spendendo il suo nome ma non chiedendogli di intervenire effettivamente.
Il ricorrente dubita anche della sussistenza oggettiva del reato, posto che la vittima era soggetto contiguo allo stesso ambiente criminale e non vi sarebbe alcuna prova di minacce esternatele o di accordi relativi al pagamento del rizzo, men che mai di un coinvolgimento dell’indagato;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi al reato di associazione di stampo mafioso di cui al capo 1 della imputazione provvisoria.
Le precedenti condanne del ricorrente per il medesimo reato, non versate in atti, non inerirebbero alla partecipazione al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, comunque, hanno a riferimento fatti molto datati nel tempo, tanto quanto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia vicendevolmente non riscontrantesi; tali elementi non proverebbero l’attualità della partecipazione del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dal 2018 in poi, periodo rispetto al quale il Tribunale non avrebbe fornito elementi dimostrativi una volta esclusa la sussistenza di elementi indiziari relativi ai reat estorsivi.
A tutto concedere, si osserva, con riguardo a questi ultimi, che si tratterebbe di episodi isolati rispetto a tutti i delitti oggetto di indagine, ivi compreso quello associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non contestato al ricorrente.
Inoltre, le conversazioni rivelerebbero che a capo del RAGIONE_SOCIALE del territorio di riferimento (Sant’Agata dei Goti) vi era il coindagato COGNOME NOME e non il ricorrente;
vizio della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari.
Si sarebbe evidenziata la rescissione dei legami del ricorrente con gli ambienti criminali, essendo stato provato attraverso documenti che egli aveva intrapreso e concluso positivamente un percorso riabilitativo in epoca ben più recente rispetto alle precedenti condanne.
Le condotte non rivelerebbero continuità nell’agire illecito e sarebbero decontestualizzate rispetto agli scopi dell’associazione, non potendosi da esse ricavare il pericolo di reiterazione di reati.
Si dà atto che nell’interesse del ricorrente sono stati depositati motivi nuovi, con i quali si eccepisce anche l’inutilizzabilità delle intercettazioni che il Tribunale h posto a fondamento della sua decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Deve ricordarsi, in punto di diritto, che secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, cui anche il Collegio aderisce, in materia di intercettazioni l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e dell massime di esperienza (Sez. 3, n. 44938 del 1)5/10/2021, Gregoli, Rv. 282337; Sez.6 n.11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Nel caso in esame, entrambi i giudici della cautela, con conforme motivazione e nei limiti dell’accertamento effettuabile in questa sede, non sono incorsi in alcun travisamento delle risultanze investigative e del significato delle intercettazioni, le diverse argomentazioni difensive in proposto rimanendo per questo relegate al merito del giudizio.
Fatta questa premessa e quanto al primo motivo ed alla contestazione provvisoria di estorsione consumata in danno di COGNOME NOME di cui al capo 3, deve, in primo luogo, ritenersi superato il problema della corretta identificazione del ricorrente come il soggetto di riferimento dei dialoghi (secondo quanto precisato a fg. 17 dell’ordinanza impugnata con argomenti non confutati in ricorso se non del tutto genericamente), neanche i difensori avendo contestato la circostanza che la vittima si fosse rivolta al ricorrente per avere spiegazioni in ordine all’attentato dinamitardo subito presso la sua abitazione ma immediatamente ricondotto dalla persona offesa al fatto di avere avviato un cantiere nel territorio di operatività del RAGIONE_SOCIALE.
Tale deduzione della persona offesa ed il suo comportamento – di per sé significativi per sostenere la gravità indiziaria del reato associativo, avendo ella pensato di risolvere la questione rivolgendosi al ricorrente – aveva trovato precisi riscontri nelle intercettazioni, che rivelavano come l’attentato fosse stato compiuto da soggetti appartenenti al RAGIONE_SOCIALE anche se non direttamente dall’indagato e dal suo gruppo.
Ciò posto e al di là del fatto che il ricorrente aveva inizialmente negato alla vittima di avere conoscenza dell’episodio (a conferma del fatto che l’inizio dell’estorsione non era stato da lui personalmente causato), risulta chiara e decisiva una conversazione – della quale il ricorso offre una interpretazione alternativa non completa – nella quale l’indagato, dialogando con il sodale COGNOME NOME, manifestava a questi l’intenzione di recarsi dalla persona offesa al fine di riscuotere una delle rate dell’estorsione insieme al COGNOME che si trovava in quel momento in Svizzera, posto che, in relazione all’andamento dei contatti con la persona offesa, la richiesta del solo NOME non aveva sortito effetto.
Questa interpretazione della conversazione riportata a fg. 30 del provvedimento impugnato (del 18 gennaio 2019 n. 8921), poggia sulla esplicita domanda del
COGNOME al ricorrente che dimostra come quest’ultimo si fosse recato dalla persona offesa e non avesse ricevuto nulla (“non ti ha dato niente?”), sicché l’indagato, più volte invitando l’interlocutore a ritornare dalla Svizzera, aveva risposto al suo sodale “ci dobbiamo parlare tutti e due, dai”.
Di tale consequenzialità il ricorso non dà adeguata contezza, sebbene questa fosse stata – contrariamente a quanto si sostiene a difesa – l’interpretazione della conversazione fornita anche dal primo giudice nel provvedimento genetico (fgg.204, 205 e 216 dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari).
Per il che, a tacer d’altro, l’interpretazione offerta dal giudici della cautela no soffre di vizi logico-ricostruttivi e dimostra, sul piano giuridico, il coinvolgimen del ricorrente se non nella fase iniziale della vicenda estorsiva quanto meno nel suo snodo esecutivo ancora in corso ai danni dell’imprenditore al momento del dialogo.
In ordine al secondo motivo ed al reato di estorsione tentata nei confronti di altro imprenditore, COGNOME NOME, di cui al capo 7, deve, in primo luogo, sottolinearsi che la questione relativa alla presunta contiguità della vittima al RAGIONE_SOCIALE, è irrilevante, dal momento che, in alcuni passaggi delle intercettazioni che il ricorso omette di considerare, sono contenuti espliciti riferimenti al fatto che l persona offesa, in relazione ai lavori che doveva effettuare, avrebbe dovuto in tutti i casi pagare il pizzo (cfr. dialogo riportato a fg. 40 dell’ordinan impugnata).
Ciò serve a superare il dubbio difensivo circa la sussistenza del reato sul piano oggettivo.
In ordine alla compromissione del ricorrente nella vicenda, oltre al fatto che egli era stato evocato in diverse intercettazioni citate dal Tribunale (fgg. 35 e segg. dell’ordinanza), in una conversazione che il ricorso non mette adeguatamente a fuoco, l’indagato, dialogando di nuovo con COGNOME NOME – lo stesso soggetto con il quale avvenivano i dialoghi a proposito dell’altra vicenda estorsiva già esaminata – dimostra di essere entrato personalmente in campo con la vittima, parlando direttamente con lei, fissando appuntamenti e lamentandosi del fatto, che avrebbe voluto risolvere ancora una volta insieme al COGNOME (ben disposto dal canto suo ad intervenire), che costel recalcitrava e prendeva tempo (“avendolo già “trasportato” per due settimane, fg. 38 del provvedimento impugnato, conversazione del 12 agosto 2019).
Tanto supera ogni diversa considerazione difensiva e dà conferma della correttezza della decisione adottata dal Tribunale.
In ordine al terzo motivo, inerente alla contestazione del reato associativo di cui al capo 1, le censure difensive partono dall’assunto, qui avversato, della mancanza di elementi dimostrativi inerenti alla compromissione del ricorrente
nei due reati-fine, come ricostruiti dal Tribunale in un contesto certamente riconducibile agli interessi del RAGIONE_SOCIALE camorristico di riferimento ed, in particolare del gruppo del quale il ricorrente si assume facesse parte.
Tali condotte specifiche sono idonee a dimostrare l’attualiz;zazione del ruolo mafioso dell’indagato in base alla regola giuridica secondo cui la prova della partecipazione all’associazione può essere tratta dalla commissione di reati-fine. Tuttavia, l’ordinanza impugnata, oltre a ciò ed al fatto di rievocare le due precedenti condanne già definitive emesse a carico del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod.pen. e le dichiarazioni accusatorie di alcuni collaboratori di giustizia – elementi che ineriscono a fatti datati nel tempo — ha messo in luce non solo quanto rilevato a proposito della prima estorsione, ma anche ulteriori elementi che il ricorso trascura.
In particolare, il fatto che il ricorrente si dovesse incontrare con altri sodali p dirimere controversie interne al RAGIONE_SOCIALE, per gestire l’attività estorsiva, per discuter fatti di droga, nonché la circostanza che egli avesse avuto il potere di investire altri soggetti di posizioni di comando per l’esercizio di attività criminali specifiche zone territoriali, sono dati altamente dimostrativi, in quanto anche sintonici rispetto a tutte le altre emergenze, non solo dell’intraneità del ricorrent al sodalizio, ma anche della sua posizione dirigenziale in seno ad esso (cfr. conversazione del 9 agosto 2019 e le altre richiamate a fg. 42 della ordinanza impugnata).
4. Il quarto motivo, che inerisce alla sussistenza delle esigenze cautelari, risulta generico a fronte dei dati investigativi fin qui richiamati e messi a fuoco dal Tribunale, al ruolo criminale attribuito al ricorrente, alla sua personalità, all attualizzazione delle condotte mafiose attraverso i recenti reati di estorsione in quanto dimostrativi anche della operatività del RAGIONE_SOCIALE in epoca recente, alla doppia presunzione legale prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della più grave misura.
Per tali ragioni e con superamento di ogni diversa obiezione difensiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L’inammissibilità del ricorso principale si estende ai motivi nuovi ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., anche in relazione alla eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni.
In proposito, deve ricordarsi che È inammissibile il motivo nuovo di ricorso, presentato ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., avente ad oggetto un punto della decisione non investito dall’atto di ricorso originario, operando la preclusione prevista dall’art. 167 disp. att. e trans. cod. proc. pen. pur nell’ipotes in cui la deduzione riguardi l’inutilizzabilità di prove acquisite illegittimamente
rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento ex art. 191, comma 2, cod. proc. pen., posto che occorre pur sempre che l’eccezione sia proposta con l’atto di ricorso principale. (Fattispecie relativa alla inutilizzabil di intercettazioni telefoniche acquisite da altro procedimento in difetto dei presupposti di legge, dedotta solo come motivo nuovo). (Sez. 2, n. 11291 del 17/02/2023, COGNOME, Rv. 284520; Sez. 5, n. 33662 del 09/05/2005, COGNOME, Rv. 232406).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp.att.cod.proc.pen..
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 22 febbraio 2024.