Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 11587 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 11587 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CARMIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/11/2023 del TRIB. LIBERTA’ di LECCE
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, la quale si è riportata alle conclusioni scritte già in atti, con le quali ha chiesto l declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, del foro di Lecce, per COGNOME NOME, il quale ha illustrato i motivi di ricorso, chiedendone raccoglimento.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 309 codice di rito, il Tribunale di Lecce ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME, avverso l’ordinanza con la quale il Gli’ aveva applicato al predetto la misura della custodia cautelare in carcere, siccome ritenuto gravemente indiziato della partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (capo 1), capeggiata da COGNOME NOME e del reato fine ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990 (capo 42).
Il procedimento riguarda una indagine nella quale sono confluite numerose fonti di prova (specificamente rappresentate dal contenuto di intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e controllo e sequestri di sostanza stupefacente), dalle quali il giudice della cautela ha tratto la sussistenza di un quadro gravemente indiziante l’esistenza di un’associazione stabilmente operativa, capeggiata dal citato COGNOME, con suddivisione dei compiti, disponibilità di ingenti somme di denaro e apparecchi cellulari non intercettabili di ultima generazione, i cui sodali agivano con identico modus operandi, anche attraverso l’utilizzo, da parte e per disposizione del vertice, della forza intimidatrice per garantire l’esecuzione dei suoi ordini.
Al COGNOME e al figlio NOME, in particolare, si è contestato di avere messo a disposizione del gruppo e, segnatamente, del citato COGNOME e di COGNOME NOME, i propri terreni per coltivare cannabis ad effetto stupefacente, occupandosene anche materialmente. Nel corpo dell’ordinanza, oltre a un rinvio agli elementi esposti in quella genetica e vagliati, secondo il Tribunale, in maniera critica e autonoma dal giudice della cautela, sono stati trascritti interi passaggi dei dialoghi ritenuti più eloquenti, quanto al reato di cui al capo 42), richiamando le conversazioni del 3/3/2021, dalle quali sarebbe emerso che al COGNOME erano stati consegnati 500 semi di canapa indiana che costui avrebbe dovuto impiantare in mezzo alle piante legali (su quattro piante legali si sarebbe impiantata una illegale), dal dialogo essendo emersa la diversa proposta dell’indagato, più propenso a piantare a parte i semi illegali, anche in quantitativo doppio, in un’apposita serra. L’indagato, nella stessa giornata, peraltro, si era recato insieme a COGNOME NOME, dialogante con il COGNOME nella conversazione di cui sopra, presso la casa di quest’ultimo, detenuto agli arresti domiciliari, ivi manifestando le propri intenzioni quanto alla coltivazione e ai tempi di essa, dando rassicurazioni al COGNOME (a seguito delle ricevute minacce di morte se non si fosse attenuto ai patti) in ordine alla sua correttezza e all’interesse comune sulla buona riuscita dell’operazione. Il decidente ha peraltro ritenuto le stesse parole dell’indagato assai eloquenti quanto alla sua dedizione al programma comune e alla definizione del suo
ruolo all’interno del sodalizio (cfr., a pag. 10 dell’ordinanza impugnata, “…noi ci interessiamo solo di piantarla e portarla avanti e raccoglierla…”).
Nell’esame dei dialoghi, il Tribunale ha ritenuto infondate le obiezioni difensive, formulate attraverso una lettura intesa ad accreditare una versione sostenuta anche in sede di interrogatorio di garanzia, alla stregua della quale il COGNOME avrebbe agito in condizione di soggezione, perché costretto dal COGNOME e, quindi, vittima di costui, concludendo per l’irrilevanza del mancato coinvolgimento del COGNOME in tutti gli affari del gruppo (il riferimento è al trasporto di “una pedana”), ma anche della circostanza che il COGNOME avesse chiarito che l’erba prodotta era la sua, perché suoi erano i semi e soprattutto che la sostanza prodotta non poteva essere ceduta a chicchessia, senza il suo preventivo assenso. Sotto altro profilo, poi, quel giudice non ha creduto alla tesi per la quale l’indagato, ricevuti i semi, li avrebbe sostitui con altri legali: a parte la smentita ricavabile direttamente dal tenore dei dialoghi intercettati, quel giudice ha valorizzato il dato fattuale della corrispondenza del THC della droga in sequestro ricavata dalla coltivazione del COGNOME e dalle modalità di confezionamento, con quelli riscontrati sulla droga sequestrata il 10 settembre 2021 al figlio NOME (nell’occorso essendo stato trovato anche un sacco con resina di marijuana tritata di Kg. 5,7, avendo lo stesso COGNOME NOME spiegato a COGNOME NOME le modalità di estrazione della resina e della sua trasformazione in hashish). Il Tribunale, infine, ha utilizzato anche un argomento logico per escludere l’asserita sostituzione dei semi illegali con altri legali, facendo leva sulla circostanza che la coltivazione era soggetta al controllo degli emissari del COGNOME e che, in ogni caso, l’indagato non avrebbe potuto sottrarsi alle conseguenze della immissione di quel diverso prodotto sul mercato.
Sotto altro profilo, poi, il Tribunale ha escluso che la condotta dell’indagato fosse stata conseguenza dei danneggiamenti e delle minacce ricevuti in passato o della paura delle conseguenze in caso di rifiuto: da un lato, il COGNOME non aveva mai indicato nel sodalizio i suoi aguzzini; dall’altro, l’indagato e il figlio avev manifestato (attraverso le affermazioni fatte nel corso dei dialoghi riportati alle pagg. 14 e 15 dell’ordinanza) la loro completa disponibilità al gruppo in cambio di “protezione”, mettendo a servizio lo schermo della coltivazione legale di canapa sativa per consentire al COGNOME la coltivazione di quella illegale, rilevando il decidente che il COGNOME esercitava il suo metus nei confronti di tutti, anche dei propri sodali, affinché costoro si attenessero ai suoi ordini.
Quanto, poi, alla condotta di partecipazione, il Tribunale ha ritenuto che dai dialoghi fosse emerso un dato assai significativo: il COGNOME, così come il figlio NOME, si era recato a casa del COGNOME (dato accertato anche grazie alla identificazione resa possibile dalle immagini ricavate dall’impianto di videoripresa posto di fronte all’abitazione del COGNOME) mentre costui era ristretto agli arresti domiciliari, a dimostrazione che egli faceva parte dei suoi stretti collaboratori; inoltre, era stato lo stesso COGNOME a rimarcare il rapporto di stretta amicizia nel
dialogo del 6/4/2021 ed è al COGNOME che il COGNOME si rivolge per ottenere della polvere da sparo, il primo rispondendo di non averla, ma di potergli consegnare dei detonatori, a conferma del suo rapporto fiduciario con il vertice, dalle indagini essendo emerso che il COGNOME avrebbe commissionato diversi attentati di tipo estorsivo o per punire soggetti che riteneva delatori.
Inoltre, sempre in risposta alle argomentazioni difensive, il Tribunale ha ritenuto smentita la circostanza che l’indagato avesse interrotto i suoi rapporti con il COGNOME già nell’aprile 2021: ancora nel giugno successivo, infatti, COGNOME e COGNOME si erano riferiti ai COGNOME per l’attività da entrambi svolta, accennando anche alle lamentele di costoro sui pagamenti del profitto a fronte delle spese già sostenute, da versarsi in denaro e non in raccolto; ancora, COGNOME e COGNOME si erano riferiti all’indagato, essendosi il COGNOME informato presso l’interlocutore per sapere come si stesse comportando, discutendo anche della droga già preparata in pacchi da tre chili e del quantitativo (venti chili) che sarebbe stato ricavato dal piante coltivate dall’indagato; nell’agosto, poi, era emerso il coinvolgimento del COGNOME nel monitoraggio della piantagione e un sollecito per il pagamento del proprio profitto.
In definitiva, alla stregua delle evidenze raccolte, il Tribunale ha ritenuto l volontaria partecipazione del COGNOME al sodalizio, ricavandone la consapevolezza da numerosi elementi: egli rendicontava il COGNOME, presso il quale era ammesso nonostante lo stato detentivo; ivi incontrava anche altri sodali, quali il COGNOME; aveva rapporti anche con COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che sorvegliavano la piantagione e gli fornivano l’occorrente per la coltivazione; chiedeva insistentemente la ripartizione dei profitti derivanti dall vendita della droga; forniva al COGNOME detonatori con le micce e si rendeva disponibile a reperirgli polvere da sparo che poi il COGNOME utilizzava per gravi atti intimidatori.
Quanto alle esigenze cautelari, infine, il Tribunale ha richiamato la doppia presunzione relativa, in ragione del titolo di reato, ma ha ritenuto in concreto sussistente e attuale il pericolo di reiterazione, ricavandolo dall’entità dei traffi dalla disponibilità di ingenti quantitativi di droga, dallo stabile inserimento n circuito criminoso, dalla propensione al rischio (di delazioni, di errori, di imprudenza o sconsideratezza altrui), indicativa della forte spinta criminale, la professionalit manifestata essendo stata peraltro ricavata dalla sistematicità della disponibilità ad agire in favore del gruppo, ritenendo inadeguata ogni altra misura meno afflittiva. Sul punto, il Tribunale, ha ritenuto non formulabile una prognosi favorevole di spontanea osservanza delle prescrizioni che si accompagna alla misura domiciliare, neppure ove elettronicamente presidiata, attesa l’attitudine di questa a scongiurare solo il rischio di allontanamento, ma non anche quello della reiterazione di reati della stessa specie di quelli per i quali si procede.
La difesa dell’indagato ha proposto ricorso, formulando tre gruppi di motivi, a loro volta articolati su più punti.
Con il primo gruppo di censure, ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento alla valutazione del compendio indiziario per entrambi i reati contestati.
Con una prima doglianza, ha censurato, in particolare, la valutazione del compendio intercettativo, rilevando che il Tribunale avrebbe serbato un totale silenzio sulla circostanza che molte conversazioni si svolgevano tra terzi. Sotto altro profilo, ha rilevato che la motivazione sarebbe gravemente debitrice di una reale ed effettiva confutazione delle deduzioni difensive tese a dimostrare la mancanza di un compendio logico-fattuale tale da consentire una qualificazione giuridica della condotta del ricorrente alla stregua del paradigma di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990. In particolare, secondo la difesa, il Tribunale avrebbe svolto una valutazione parcellizzata della piattaforma indiziaria e del contenuto delle singole conversazioni; avrebbe valorizzato alcuni colloqui tra terzi, assente l’indagato, traendone considerazioni gravemente illogiche e incongruenti; avrebbe trascurato ogni valutazione critica, sottacendo i collegamenti tra fatti, comportamenti e persone; avrebbe, infine, introdotto circostanze in chiave decisiva non sostenute da alcun indizio. A dimostrazione dei vizi denunciati, poi, ha operato (alle pagg. da 11 a 18 del ricorso) la disamina di alcuni dialoghi valorizzati nell’ordinanza, proponendone una diversa lettura e evidenziando quelle che ha considerato incongruenze del ragionamento ricostruttivo operato dai giudici del riesame; ha, poi, richiamato (alle pagg. 18 e 19) alcuni dialoghi, per inferirne l’esistenza di informazioni che si assumono esser state eluse dal Tribunale, a conferma della tesi difensiva per la quale l’indagato era una vittima del COGNOME; ha richiamato una conversazione del 15 maggio 2021 tra COGNOME e COGNOME per ricavarne l’inconciliabilità della lettura datane dai giudici del riesame con altri pas dell’ordinanza censurata e con la circostanza che il 10/9/2021, in sede di perquisizione, gli investigatori non avevano rinvenuto sostanze o strumenti atti ad adulterare la cannabis legale prodotta dal COGNOME; ha ritenuto la valutazione parcellizzata delle dichiarazioni rese dal COGNOME in sede di interrogatorio, contestando che in quella sede questi avesse ammesso l’addebito; ha assunto la incoerenza delle osservazioni del Tribunale in ordine agli esiti investigativi quanto al delitto scopo, contestando la ritenuta illogicità di una sostituzione dei semi illegal con altri legali e l’argomento valorizzato a proposito della resina rinvenuta a COGNOME NOME, il quale non risulta abbia mai prodotto hashish, rilevando altresì l’inconducenza del riferimento ai sequestri operati nei confronti di altri indagati, ritenendolo del tutto generico e incongruente con le perizie che avevano consentito di accertare un contenuto di THC intorno a 0,7% nella sostanza sequestrata al CIRFETA e superiore al 10-11% in quella sequestrata al COGNOME. Quanto, poi, al periodo successivo all’aprile 2021, la difesa non ha condiviso la conclusione che i Corte di Cassazione – copia non ufficiale
rapporti tra l’indagato e i sodali fossero continuati anche dopo quella data, contestando gli elementi valorizzati dai quali inferisce conclusioni di segno opposto rispetto a quelle ritenute dai giudici del riesame (ancora una volta proponendo una diversa lettura deli dialoghi, riportati per stralci da pag. 26 a pag. 30). H contestato la valutazione dell’argomento difensivo facente leva sullo stato di costrizione del COGNOME, alla luce delle subite minacce da parte del COGNOME, rilevando che il Tribunale non avrebbe negato l’assunto, ma affermato che la collaborazione del COGNOME era assicurata per ottenere protezione e profitto, contestando l’assunto e rilevando il difetto della prova che fossero stati i COGNOME e rivolgersi al COGNOME, non potendosi dunque escludere il contrario ovvero che, a un certo punto, dopo aver subito gli attentati, la paura avesse consigliato di capire cosa il COGNOME volesse da loro, ancora una volta richiamando per stralci i dialoghi ritenuti più significativi.
Con il secondo gruppo di motivi, ha dedotto violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza di elementi costitutivi dei reati in contestazione, asserendo che il Tribunale non avrebbe fatto buon governo dei principi di matrice giurisprudenziale in materia, non risultando acquisito, quanto al reato scopo, alcun indizio – privo di ambiguità e non contraddittorio – che consenta di ricondurre la condotta del COGNOME alla fattispecie contestata, a fronte del difetto di condotte di coltivazione e cession di stupefacenti al medesimo riconducibili e dell’elemento soggettivo del reato.
Con il terzo gruppo di censure, infine, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto alle esigenze cautelari, richiamando i motivi del riesame, con i quali si era opposta la irrilevanza dei precedenti penali, due dei quali di natura contravvenzionale e risalenti, lo svolgimento di attività lavorativa lecita soprattutto la circostanza che la condotta si iscriveva in un contesto di minacce che consentivano di escludere la propensione al crimine. A fronte di ciò, il Tribunale avrebbe fatto ricorso ad argomentazioni generiche e apodittiche, prive di efficacia dimostrativa, avendo omesso di considerare il notevole lasso temporale intercorso dalla ritenuta consumazione del delitto associativo, anche a volerla estendere sino al settembre del 2021, all’esecuzione del titolo (novembre 2023), in difetto di elementi comprovanti la commissione di ulteriori condotte delittuose. Sotto altro profilo, poi, si è rilevata l’apparenza motivazionale sull’adeguatezza e proporzionalità, avendo il Tribunale utilizzato argomenti presuntivi inammissibili e, comunque, non riferibili all’indagato che ha sempre svolto l’attività lavorativa di gestore di supermercato, avendo i giudici illegittimamente tratto il requisito dell’attualità dai connotati tipici della condotta.
4. Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
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La difesa ha depositato motivi nuovi, con i quali ha sviluppato le argomentazioni di cui al ricorso, allegando documentazione e concludendo per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
I motivi sono manifestamente infondati con riferimento a tutti i punti trattati.
Va, intanto, premesso, quanto alle violazioni di legge, che alle relative denunce non si accompagna alcuna effettiva argomentazione esplicativa in termini di erronea applicazione della legge penale e processuale penale da parte dei giudici del riesame, le stesse risolvendosi sostanzialmente in censure al percorso motivazionale seguito dai giudici territoriali.
Sempre in premessa, poi, va ricordato che il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai suoi limiti, la sola verifica de censure inerenti alla adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Mazze/li, Rv. 276976). Tale verifica non comprende, dunque, il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, apprezzamento che rientra invece nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo de provvedimento (sez. 2, ‘n. 9212 del 2/2/2017, COGNOME, Rv. 269438-01; sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400-01, in cui si è precisato che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dat probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito). Pertanto, la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (sez. 6, n. 49153 del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244-01; sez. 7, n. 12406 del 19/2/2015, COGNOME, RV. 262948-01).
Sotto altro profilo, poi, deve ribadirsi che l’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. non impone al giudice del riesame l’indicazione di qualsiasi elemento ritenuto favorevole dal difensore, né la confutazione di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori, essendo gli ulteriori elementi assorbiti nella valutazione complessiva del giudice che, rilevati i gravi indizi, applica la misura cautelare (sez. 1, n. 8236 del 16/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275053-01; sez. 6, n. 3742 del 9/10/2013, /oio, Rv. 254216-01, in cui si è precisato che tale obbligo motivazionale non investe deduzioni dirette a proporre ricostruzioni alternative della vicenda e a contrastare il potere selettivo degl elementi di indagine posti a fondamento delle decisioni cautelari; sez. 2, n. 20662 del 29/11/2016, dep. 2017, Seminatore, Rv. 270516-01, in cui si è, peraltro, precisato che il ricorso per cassazione che deduca la mancata considerazione, da parte dei giudici di merito, di un elemento favorevole all’indagato ha l’onere di specificare per quale ragione detto elemento debba essere qualificato come decisivo per la situazione del medesimo).
Alla stregua di tali coordinate in diritto, si è così ritenuto, per esempi inammissibile il motivo di ricorso che censuri l’erronea applicazione dell’art. 192, c. 3, cod. proc. pen., se è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (sez. 6, n. 13442 del 8/3/2016, COGNOME, Rv. 266924; sez. 2, n. 38676 del 24/5/2019, COGNOME, Rv. 277518; Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, COGNOME, Rv. 280027).
Allo stesso modo deve ritenersi inammissibile il ricorso, con il quale si proponga una diversa lettura del dato probatorio, soprattutto laddove esso sia costituito dall’esito di attività di intercettazioni, la lettura del significato dei dialoghi ca costituendo valutazione di merito per eccellenza, sottratta al sindacato del giudice di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2005, Sebbar, Rv. 263715-01), essendo il ragionamento giustificativo sindacabile in questa sede solo nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui i dialoghi sono recepiti (sez. 3, n. 44938 del 5/10/2021, COGNOME, Rv. 282337).
E che l’intento difensivo sia stato, nella specie, proprio quello di sottoporre al vaglio del giudice di legittimità la lettura del compendio probatorio è confermato dalla stessa tecnica redazionale del ricorso: la difesa ha riportato i dialoghi valorizzati, asserendone una lettura parcellizzata e operando un’esegesi difforme, ritenuta più persuasiva.
Il Tribunale ha operato, tuttavia, una ricostruzione dell’associazione, dando conto degli elementi dai quali ha tratto il convincimento dei suoi tratti costitutivi, delineato nel suo ambito il ruolo del COGNOME e ritenuto la sua piena dedizione alla causa del sodalizio, in uno con la consapevolezza di contribuire con la sua condotta al raggiungimento dei suoi scopi. Nel far ciò, peraltro, deve rilevarsi come la motivazione del provvedimento censurato smentisca l’asserita apoditticità degli argomenti utilizzati, ma anche l’elusione delle critiche difensive, viceversa esaminate e superate con argomenti congrui e non manifestamente illogici.
Anche le censure inerenti al quadro cautelare sono manifestamente infondate e non sorrette da un effettivo confronto con le argomentazioni esposte nell’ordinanza.
Il Tribunale non si è limitato a dare conto della insussistenza di elementi atti a superare la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ma ha giustificato la ritenuta ricorrenza di un concreto e attuale pericolo di reiterazione, desumendolo dalle modalità della condotta e della personalità del prevenuto, valorizzando la sistematicità dei rifornimenti al gruppo e i quantitativi di droga trattati, ma anche i precedenti in materia di armi, senza dimenticare che, nel valutarne l’intraneità al sodalizio, il Tribunale ha assegnato rilevanza anche alla disponibilità del COGNOME a rifornire il COGNOME, sospettato anche di gravi atti intimidatori, di detonatori e al suo impegno per trovare polvere da sparo.
Può, dunque, concludersi nel senso che il giudizio sulla attualità e concretezza sia stato, nella specie, condotto in maniera coerente ai principi più volte affermati da questa Corte di legittimità: l’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introd dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede infatti che il pericolo che l’imputat commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale; ne deriva che non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie (sez. 3 n. 34154 del 24/4/2018, COGNOME, Rv. 273674). Il principio è stato successivamente calibrato, anche da questa stessa sezione, affermandosi che il requisito dell’attualità deve essere inteso nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice (sez. 4 n. 47837 del 4/10/2018, Rv. 273994), ma una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analis accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non
anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242).
Il Tribunale, infine, ha adeguatamente motivato anche in ordine alla idoneità della sola misura infra muraria a fronteggiare la ritenuta esigenza special preventiva, valutando negativamente, in chiave prognostica, la capacità del COGNOME di osservare spontaneamente le prescrizioni proprie di misure meno afflittive, anche ove elettronicamente presidiate, le stesse essendo unicamente idonee a prevenire l’allontanamento del prevenuto, ma non anche la comunicazione con soggetti diversi da quelli che con lui coabitano, ricavando tale inaffidabilità proprio dalla spiccata propensione a commettere delitti in materia di stupefacenti, tratteggiata a proposito della sussistenza del pericolo di reiterazione criminosa.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragione di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000), oltre alla trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Deciso il 21 febbraio 2024
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Il Consigliere estensore
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Il Pre
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NOME COGNOME
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Salvato Dovere