Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10406 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10406 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME nata in CINA il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 08/09/2023 del TRIBUNALE DEL RIESAME di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del PG NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, in funzione di Tribunale del riesame, quale giudice del rinvio a seguito dell’annullamento disposto con la sentenza n. 34528/2023 di questa Corte, ha integralmente confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 19 gennaio 2023, che ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di RAGIONE_SOCIALE Hu in relazione ai reati di cui agli artt. 74 (capo 1) e 73, comma 1, (capi 9, 27, 44 e 52), d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contestatile quale presunta promotrice di un’associazione operante su tutto il territorio nazionale e in particolare a Roma e a Prato e
finalizzata al traffico della sostanza stupefacente denominata gergalmente shaboo e tecnicamente metamfetamina.
Ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE, a mezzo del proprio difensore, deducendo un unico, articolato motivo di impugnazione.
In particolare, lamenta la difesa, sotto il profilo della violazione di legge ( relazione agli artt. 125, 192, commi 3 e 4, 273 e 627 cod. proc. pen.) e del vizio di motivazione, l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ribaditi nell’ordinanza impugnata. Il giudice del riesame si sarebbe invero limitato a riportare testualmente la precedente motivazione (annullata dalla Corte di cassazione limitatamente all’affermazione di competenza territoriale), omettendo di confrontarsi con specifiche doglianze dell’imputata, dirette a sottolineare l’assoluta mancanza di contatti telefonici o mediante messaggistica, nell’ambito della complessa attività intercettiva, tra COGNOME, presunta domina del sodalizio, e tutti gli altri associati (soprattutto i suoi diretti referenti per la gestione delle piaz Roma e di Prato). Risulterebbero, pertanto, prive di riscontro le dichiarazioni eteroaccusatorie del collaboratore NOME COGNOME.
L’unica circostanza in cui emerge il nominativo della ricorrente, in una conversazione tra due co-indagati che decidono di attribuirle una percentuale sui ricavi di una specifica cessione, sarebbe suscettibile di molteplici interpretazioni e al più potrebbe dimostrare solo un’attività di spaccio disgiunta da ogni struttura organizzativa.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’art. 17, decreto -legge 22 giugno 2023, n. 75).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
L’ipotesi accusatoria ascrive alla ricorrente la qualità di capo e promotore di un unico sodalizio, articolato in due cellule operanti a Roma e a Prato, distinte ma collegate e alle dirette dipendenze della stessa Hu.
La competenza territoriale del giudice che ha emesso il provvedimento non è più sindacabile da parte del tribunale del riesame, dopo l’esercizio dell’azione penale (cfr. Sez. 3, n. 17840 del 05/12/2018, dep. 2019, Limetti, Rv. 275599). Ciò correttamente premesso, l’ordinanza impugnata, con rigorosa attenzione alle emergenze procedimentali (ed anche richiamando, per piena condivisione, alcuni passaggi argomentativi già espressi in precedenza e non incisi dalla pronuncia di
annullamento), evidenzia quindi la congruità e la pregnanza dei numerosi elementi a carico.
Al contrario di quanto affermato dalla ricorrente, le dichiarazioni di NOME COGNOME costituiscono solo il punto di partenza delle indagini e risultano ampiamente confermate nelle loro linee essenziali da numerosi e significativi ulteriori elementi. Secondo il collaborante, l’importazione e il commercio dello shaboo in Italia sarebbero gestiti anche da una strutturata e ramificata organizzazione, composta da numerosi soggetti di origine cinese, con precisa ripartizione dei ruoli gerarchicamente determinati. In questo sodalizio, NOME COGNOME (chiamata dagli associati NOME NOME, Aquila o, significativamente, «la sorella maggiore») occuperebbe una posizione di vertice, decidendo come e quando inviare lo stupefacente a Roma.
La successiva attività investigativa ha evidenziato traffici di metamfetamina continuativi e consistenti, secondo modalità radicate nel tempo e senza vincoli di durata per i vari soggetti interessati. L’odierna indagata era in diretto contatto con mansioni di direzione e coordinamento, con i responsabili delle piazze di Prato (NOME COGNOME) e di Roma (NOME COGNOME), nonché con il fornitore operante in Grecia (COGNOME). In Toscana, era direttamente la ricorrente, sempre informata dell’arrivo di nuove partite, a deciderne la destinazione e ad autorizzare l’eventuale cessione a credito. Nella Capitale, COGNOME aveva più ampi margini di autonomia quanto alla custodia dello stupefacente e alla gestione dello spaccio su strada, ma, anche in questo caso, le linee generali di azione criminale dovevano essere ratificate da Hu. Quest’ultima, in ogni caso, godeva necessariamente di una quota dei proventi.
La ricostruzione dei singoli reati satellite (in ordine ai quali la ricorrente n solleva censure) avalla le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici della cautela per quanto attiene alla fattispecie associativa.
La spedizione dalla Grecia di 52 grammi di metamfetamina (capo 9) è effettuata solo dopo il placet di NOME a NOME («Intanto iniziate!», «Se ti ho presentato io e quindi sicuramente sono io quella che deve confermare». Il cedente COGNOME, a sua volta, ammette: «devo confermare prima con NOME»); non a caso, quindi, nella conversazione citata nel ricorso, NOME e COGNOME confermano che alla «sorella maggiore» spetta una percentuale e, in maniera del tutto logica, il Tribunale bolla come implausibile l’interpretazione della difesa, che legge lo scambio di battute come un motu proprio dei due dialoganti, concordi nell’offrire un regalo a NOME per mera gratitudine.
Quanto al capo 27, COGNOME, mentre dialoga telematicamente con il corriere Pantoja, scrive anche a NOME, chiedendole sollecita conferma. La necessità di coordinarsi con la ricorrente, nell’ambito di questa stessa operazione, è poi nuovamente affermata anche da COGNOME.
I capi 44 e 52 concernono cessioni avvenute nella zona di Prato, contestate in concorso con NOME. Nel primo episodio, NOME impartisce precise disposizioni su dove andare e sul destinatario a cui consegnare la sostanza, con eventuali suggerimento sulle modalità di cessione, lanciandolo dal balcone. Nel secondo, lo stesso acquirente chiarisce a NOME di avere già ottenuto l’assenso di NOME.
Con motivazione priva di illogicità o contraddittorietà, il Tribunale reitera dunque le considerazioni in merito alla struttura dell’associazione, prudentemente divisa in compartimenti stagni, con contatti diretti dei vertici – la ricorrente, caso di specie – solo con i suoi referenti apicali per le singole articolazioni.
Di fronte a questo tranquillizzante quadro indiziario, debitamente vagliato nell’ordinanza impugnata, che riconduce ad unità i molteplici e pregnanti elementi oggettivi a carico, ricavandone una valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, le censure della ricorrente si mostrano in primo luogo del tutto aspecifiche, omettendo di confrontarsi appieno con la puntuale disamina dell’articolato compendio.
D’altronde, non solo, come accennato, non si ravvisano affatto le carenze investigative segnalate nel ricorso, poiché sono numerose le intercettazioni che vedono coinvolta NOME, direttamente o indirettamente, ma il Tribunale ha altresì ben illustrato le ragioni per cui talora mancano connessioni dirette, per motivi legati alla rigida compartimentazione dell’organigramma associativo ovvero per mutamenti nella composizione soggettiva (come nel caso di NOME, non più a capo della cellula pratese). Ad ogni buon conto, per consolidata esegesi, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, qualora – come nel caso di specie – non oltrepassi i limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen., parimenti, è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400). Il controllo di legittimità, infatti, no concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, ond sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698).
Tutti i profili di censura risultano pertanto non consentiti nel giudizio d legittimità, generici e comunque manifestamente infondati.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà della ricorrente, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20 dicembre 2023
IICniglie estensore
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La Presidente