Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34249 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5   Num. 34249  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/03/2025 del Tribunale del Riesame di Palermo udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che si è riportato alla requisitoria in atti e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito, per l’imputato, l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, il quale si è riportato ai motivi del ricorso e ha insistito per l’accoglimento degli stessi;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato il Tribunale del Riesame di Palermo ha rigettato l’istanza proposta dal COGNOME nei confronti dell’ordinanza del G iudice per le indagini preliminari di Palermo, di applicazione della misura cautelare personale della custodia in carcere in virtù della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti di cui all’art. 416bis , commi 1, 2, 3, 4 e 6, cod. pen. (e, in particolare, per aver fatto parte dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dirigendo la famiglia RAGIONE_SOCIALE di COGNOME o assumendone la reggenza o comunque con un ruolo di vertice), nonché per aver commesso, con altri sodali, i reati fine di cui ai capi 19) e 20) dell’imputazione provvisoria, afferenti, rispettivamente, l’aver esercitato in modo abusivo l’organizzazione di scommesse e di concorsi pronostici che la legge riserva allo Sato o ad altri concessionari e l’ aver estorto a tali COGNOME NOME e COGNOME
COGNOME la somma di euro 1.000,00 a titolo di contributo per spese legali, reati, questi, che sarebbero stati posti in essere con l’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen.
Avverso tale provvedimento il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi  a  tre  motivi,  di  seguito  ripercorsi,  entro  i  limiti  necessari  per  la decisione.
2.1. Con il primo lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen ., in relazione agli artt. 192, 273 e 274 del medesimo codice e all’art. 416 -bis cod.  pen.,  nonché  illogicità,  contraddittorietà  o  mancanza  della  motivazione  e violazione dell’art. 111 Cost.
In particolare assume, a fondamento della censura, l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, poiché il compendio probatorio sarebbe costituito solo da intercettazioni captate tra terzi soggetti e fondate su termini isolati e polisemici (quali ‘stessa chiesa’ e ‘picciotto’), senza il riferimento, in conformità alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità, a concrete condotte rivelatrici della partecipazione, vieppiù con il ruolo apicale contestato, alla compagine associativa, e non seguite da riscontri sulla sua effettiva capacità economica e patrimoniale nonché sulla sua pericolosità sociale.
Lamenta che sarebbero stati così obliterati gli elementi di contestazione e le eccezioni sollevate dalla difesa dinanzi al Tribunale del Riesame.
2.2. Mediante il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen. in relazione all’art. 275, comma 3, del medesimo codice, e correlata illogicità, contraddittorietà o mancanza della motivazione.
Deduce, al riguardo, che non potrebbe trovare applicazione la presunzione di pericolosità sociale prevista dal richiamato art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nell’evidenziata assenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di esso ricorrente rispetto al d elitto associativo contestato al capo 1) dell’imputazione provvisoria, per come rappresentato nel primo motivo.
2.3.  Con  il  terzo  motivo  il  COGNOME  assume,  poi, violazione  dell’art.  606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 416-bis e 416-bis.1 cod. pen. nonché erronea qualificazione giuridica del reato associativo e delle relative aggravanti e violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), del medesimo codice, per illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Sostiene,  in  proposito,  che,  rispetto  alla  sussistenza  dei  gravi  indizi  di colpevolezza per i predetti delitti l’ordinanza impugnata, alla medesima stregua di quella del Giudice per le indagini preliminari, si fonda  su  un’inadeguata motivazione per relationem .
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I primi due motivi di ricorso, le censure poste con i quali sono suscettibili di valutazione  unitaria, ai  limiti  dell’inammissibilità  perché  non  si  confronta no  in maniera puntuale con le articolate argomentazioni del provvedimento impugnato, non sono fondati.
1.1. Sotto un primo aspetto, il COGNOME, nell’assumere che i delitti provvisoriamente contestati si fonderebbero solo su risultanze captative tra soggetti terzi, trascura di considerare che, in realtà, numerose sono le intercettazioni di conversazioni alle quali ha partecipato direttamente valorizzate dall’ordinanza del Tribunale del Riesame e che, peraltro, una riunione con altri coindagati sull’organizzazione dell’attività illecita di cui al capo 9) è stata oggetto di osservazione diretta da parte degli operanti.
In tale quadro, allora, il ricorrente, nel limitarsi a lamentare, in maniera del tutto generica e incompleta rispetto al complesso delle copiose captazioni che lo riguardano, il carattere inadeguato e polisemico dei termini ‘stessa chiesa’ e ‘picciotto’ ut ilizzato in una conversazione tra terzi (il COGNOME e il COGNOME), oltre ad incorrere in un vizio di genericità della censura, non tiene conto del principio, sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, per il quale, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 -01).
E del tutto ragionevole è stata l’interpretazione dell’unica conversazione cui fa riferimento il ricorso -conversazione peraltro priva di decisività ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del COGNOME -operata dalla decisione impugnata, nel senso che il COGNOME, contattato dal COGNOME, pregiudicato al quale è contestato un ruolo di vertice di RAGIONE_SOCIALE nella cittadina di Carini, per dare luogo ad un’attività di illecita organizzazione di scommesse e di concorsi pronostici anche nel territorio di COGNOME, ha indicato a questi la necessità di contattare il ricorrente, quale soggetto ormai posto ‘davanti’ agli altri, ossia al vertice, nel predetto territorio. Il che è stato peraltro corroborato – circostanza, questa, con la quale il ricorso non si confronta neppure in parte – dalle successive conversazioni captate intervenute direttamente tra il COGNOME e l’indagato, nelle quali i due, in conformità ai rispettivi ruoli nei territori ‘ governati ‘ , hanno parlato anche di altri affari da gestire insieme (nell’ambito degli appalti e della gestione del ciclo dei rifiuti). Inoltre, come pure è stato valorizzato dal Tribunale del
Riesame,  è  emerso  che  il  COGNOME  si  è  messo  a  disposizione  del  COGNOME, riconoscendone la posizione verticistica, per aiutare un suo amico operante nel settore del caffè a poter vendere ai propri clienti anche il caffè più richiesto nella zona,  interessandosi  della  questione  al  punto  da  assicurare  al  ricorrente  che avrebbero  raggiunto  il  risultato  andando  finanche  a  ‘sedersi  in  fabbrica’  per ‘convincere’ il fornitore.
1.2. In secondo luogo, erra la difesa del ricorrente nell’assumere la necessità di riscontri rispetto alle plurime risultanze delle intercettazioni (contestate solo in minima parte, con censure ai limiti dell’apoditticità) a carico del COGNOME, essendo stato da tempo chiarito, dalla stessa sentenza ‘Sebbar’, che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, Sentenza n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714).
D’altra parte, su un piano più general e, è ormai acquisito nella giurisprudenza di legittimità che, ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. non richiamato dall’ art. 273, comma 1bis , cod. proc. pen. ( ex aliis , Sez. 5, n. 7092 del 19/11/2024, dep. 20/02/2025, Ziino, Rv. 287532; Sez. 4, n. 27498 del 23/05/2019, Puca, Rv. 276704).
1.3. In realtà, il ricorso, sempre sul piano dell’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del COGNOME, tende ad assumere (in maniera scarna e omettendo, come più volte rilevato, il confronto con una serie di elementi concreti oggetto di congrua valorizzazione da parte del Tribunale del Riesame) la carente motivazione sugli stessi mediante lo scorporo dei singoli elementi indizianti o probatori e il depauperamento della valenza dimostrativa di ciascuno, singolarmente considerato.
In realtà, quando gli elementi soggetti a valutazione presentano più possibilità di interpretazione, è attraverso la complessiva loro ricostruzione, ove coerente e logica, che il giudice può e deve raggiungere il proprio convincimento, essendo non decisiva la dimostrazione della opinabilità della valenza probatoria del singolo particolare.
Orbene, ciò posto, la motivazione ha argomentato in maniera congrua in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del COGNOME, fondandosi su concreti elementi idonei a denotare lo svolgimento da parte dello stesso di attività proprie del soggetto preposto a dirigere un’attività criminale in una determinata zona (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 -03; Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, Terracchio, Rv. 262487), quali la programmazione con il COGNOME di attività illecite volte a foraggiare le casse associative, l’esercizio dello ius corrigendi nei confronti degli affiliati (per esempio, verso lo COGNOME che aveva propositi violenti nei confronti del COGNOME), l’ interlocuzione con i vertici di altre famiglie e mandamenti per la soluzione o la raccomandazione di questioni di ‘amici nostri’ (ad esempio, nel caso del la raccomandazione al COGNOME della figlia dello COGNOME per l’assunzione in un supermercato seguito da una reazione stizzita al rifiuto, ritenuto quale non riconoscimento del suo ruolo di vertice).
In definitiva, quindi, il ricorso non richiede che una diversa lettura delle emergenze processuali, non compatibile con i poteri della Corte di cassazione. Come hanno chiarito, infatti, anche le Sezioni Unite nella sentenza ‘Audino’, i n tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, un vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
La non fondatezza delle questioni dedotte nel primo e nel terzo motivo sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza porta con sé anche quella dedotta con il secondo in ordine all’inoperatività della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
 Il  ricorso  deve  dunque  essere  rigettato,  con  condanna  del  ricorrente  al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 29/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME