Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33733 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33733 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TAURIANOVA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/03/2025 del TRIBUNALE di BRESCIA, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurato Generale NOME COGNOME, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO per il NOME, che si è riportato ai motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 21 marzo 2025 il Tribunale di Brescia, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, giudicando sulla richiesta riesame proposta nell’interesse di NOME avverso l’ordinanza emessa il 31 gennaio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale d Brescia, in parziale riforma dell’ordinanza impugnata sostituiva nei confronti d NOME NOME misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arre donniciliari in relazione al contestato reato di cui agli artt. 110 e 629 cod.
avente ad oggetto una vicenda estorsiva che vedeva quale vittima l’imprenditore COGNOME NOME e rispetto alla quale il Tribunale escludeva la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione alla ipotizzata aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., declinata nella versione del cosiddetto metodo mafioso.
Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione NOME NOME, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva mancanza e manifesta illogicità della motivazione nonché travisamento del fatto quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi di colpevolezza in relazione al reato contestato.
Assumeva, in particolare, che, contrariamente a quanto rassegnato nel provvedimento impugnato, il NOME, nel corso del procedimento, non aveva reso alcuna dichiarazione spontanea, che il Tribunale non aveva motivato in merito alla ritenuta riconducibilità al ricorrente delle due società menzionate nell’imputazione provvisoria, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, che il NOME era intervenuto su richiesta della parte offesa COGNOME per fare da mediatore in relazione a una pregressa vicenda estorsiva che vedeva coinvolti altri soggetti in qualità di estorsori e si era limitato a indicare il proprio nipote, COGNOME NOME, quale soggetto che avrebbe potuto mediare in relazione alle richieste estorsive avanzate nei confronti del COGNOME, per poi uscire completamente di scena, che non vi era alcuna prova del fatto che la parte offesa avesse versato in favore del COGNOME la somma di euro 60.000,00 considerato che i bonifici erano stati effettuati dal COGNOME in favore delle dette due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che, come dedotto, non erano riconducibili al NOME, che le minacce che la parte offesa aveva affermato di aver ricevuto dal COGNOME erano riferibili solo a quest’ultimo e non anche all’odierno ricorrente, che l’esclusione, ad opera del Tribunale, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione all’aggravante del metodo mafioso era idonea a travolgere l’intera impostazione accusatoria in relazione alla – apodittica secondo l’assunto difensivo – riferibilità al NOME delle espressioni minacciose riferite dalla parte offesa come provenienti da altri soggetti, fra i quali il nipote del ricorrente COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
Il giudice della cautela, invero ha reso una motivazione immune dai vizi denunciati, richiamando puntualmente le fonti di prova utilizzate per ritenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del NOME in relazione al contestato reato di estorsione e traendo da esse conseguenze del tutto logiche.
Ha, in particolare, richiamato il contenuto delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, l’imprenditore COGNOME NOME, amministratore del “RAGIONE_SOCIALE” che operava nel settore del rame e del nichel, il quale aveva affermato di essere vittima, da alcuni mesi, di un’attività estorsiva posta in essere da tale COGNOME NOME, con il quale aveva avuto rapporti commerciali, che gli aveva rivolto minacce e in alcune occasioni, presentandosi al suo cospetto in compagnia di un soggetto di origini calabresi appellato “NOME“, era stato minacciato con una pistola e percosso, tanto che era stato costretto a consegnare agli estortori due orologi di ingente valore.
Il COGNOME ha proseguito il proprio racconto ricordando che, nella ricerca di una soluzione rispetto alla situazione creatasi, aveva conosciuto l’odierno ricorrente NOME COGNOME, che si era proposto “di offrirgli la propria protezione nei confronti del COGNOME, in Cambio di 20.000 euro, poi divenuti 60.000, impegnandosi a far seguire la vicenda del rientro del credito da suo nipote, NOME COGNOME” (v. pag. 3 del provvedimento impugnato).
Il Tribunale ha anche evidenziato che la parte offesa aveva dichiarato che lo sviluppo della situazione aveva portato esclusivamente a sommare, alle pressioni estorsive esercitate dal COGNOME, quelle del COGNOME, al quale era stato costretto a versare la somma di euro 15.000,00 in contanti, e aveva precisato che il NOME era “il soggetto di riferimento degli esecutori materiali delle minacce, ovvero COGNOME e COGNOME, ed il principale creditore delle somme versate dalla persona offesa” (v. pag. 3 dell’ordinanza impugnata).
Quanto alla ritenuta attendibilità della persona offesa il Tribunale ha congruamente osservato che “seppure non si intenda negare la ravvisabilità di discrasie tra i diversi e successivi narrati rispetto ad alcuni elementi (riferimenti temporali e cifre), le stesse non sembrano mai coinvolgere gli snodi e i passaggi essenziali e portanti della vicenda, e non risultano pertanto tali da poter insinuare fondati dubbi circa la sostanziale corrispondenza al vero della ricostruzione offertane” (v. pag. 7 dell’ordinanza impugnata).
Il giudice della cautela ha anche opportunamente evidenziato che le dichiarazioni accusatorie della parte offesa erano state confermate da altro soggetto, tale COGNOME, che era stato presente all’incontro con il NOME (v. pag. 10 del provvedimento impugnato).
La motivazione resa dal Tribunale appare, pertanto, immune dai vizi denunciati; a fronte di ciò il ricorrente propone una diversa lettura nel merito degli elementi considerati dal Tribunale della cautela, inammissibile nella presente sede.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 24/06/2024