Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44029 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44029 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Vibo Valentia il 14/05/1983;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, del 17/07/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore avv. COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
sentito il difensore avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catanzaro ha respinto la richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOMEclasse ’83) avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 4 giugno 2024, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere perché gravemente indiziato dei delitti di partecipazione -a partire dal 14 giugno 2013 – alla associazione di stampo mafioso denominata ‘locale dell’Ariola’ e, in particolare, della ‘ndrina COGNOME attiva nei territori di Arena e Acquaro, omicidio plurimo (la c.d.’ strage dell’Ariola’ avvenuta il giorno 25 ottobre 2003 in Gerocarne, frazione di Ariola, nella quale vennero uccise tre persone e ferita una quarta), turbativa della libertà degli incanti e rapina (commessi, rispettivamente, in Torino 1’8 marzo 2018 ed in Invorio, Novara, il 24 novembre 2017) , tutti aggravati dal metodo mafioso (capi A, B, H, L e L 2 della imputazione provvisoria) in concorso con altri soggetti tra i quali l’omonimo cugino classe ’79.
In sostanza il Tribunale ha ritenuto infondate tutte le censure sollevate dall’indagato in sede di riesame, confermando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico desunti dalle attività investigative, di intercettazione e dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia.
Avverso la predetta ordinanza l’indagato, per mezzo degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. p pen., insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, 273 del codice di rito e 575 cod. pen. ed il relativo difetto di motivazione con riferimento al capo B) della imputazione provvisoria, relativo al concorso – sia nella fase ideativa che in quella esecutiva – nel plurimo omicidio aggravato avvenuto il 25 ottobre 2003 in località INDIRIZZOINDIRIZZO‘, sita nella frazione INDIRIZZO del comune di Gerocarne (Vibo Valentia) in danno di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
A parere del ricorrente il Tribunale non ha effettuato un corretto esame delle dichiarazioni dei due collaboratori (NOME COGNOME e NOME COGNOME) che hanno rilasciato dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti e, in particolare, ha omesso di effettuare il relativo vaglio mediante il c.d. ‘metodo trifasico’. In particolare, propalazioni del COGNOME non costituirebbero elementi indiziari utilizzabili a carico di NOME COGNOME poiché da esse emergono circostanze a discarico dell’indagato, come analiticamente indicato nella memoria difensiva depositata alla udienza di
riesame non adeguatamente valutata dal giudice del riesame cautelare rispetto alle differenti versioni dei fatti riferite dal COGNOME, nel corso del tempo, quanto coinvolgimento di NOME COGNOMEclasse ’83) all’agguato in questione. In sostanza l’indagato lamenta l’omessa valutazione delle suddette contraddizioni tutte analiticamente indicate nella memoria il cui esame, a suo dire, è stato pretermesso, così come il mancato esame delle inconciliabili differenze esistenti tra le dichiarazioni del Taverniti e del Ganino.
2.2. Con il secondo motivo NOME COGNOME deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis cod. pen. ed il vizio di motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza di gravi indizi d colpevolezza a suo carico per il reato associativo di cui al capo A) della rubrica provvisoria.
Al riguardo osserva che – come dedotto nella memoria difensiva sopra richiamata – né dalle dichiarazioni dei collaboratori e né dagli altri elementi investigativi si potevano ricavare elementi indiziari a conferma della sua partecipazione all’associazione di stampo mafioso, tenuto conto che nell’ambito del procedimento denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘ egli era stato assolto con formula piena dall’accusa di avere fatto parte della medesima associazione per il periodo dal 2000 al 2003.
In particolare, egli deduce che nella citata memoria era stato evidenziato in modo specifico che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME non potevano assumere rilievo in quanto relative a periodi coperti dalla sentenza irrevocabile di assoluzione (per il reato ex art.416-bis cod. pen.) pronunciata nei suoi confronti nel procedimento noto come ‘Luce nei boschi’ e che detta memoria non è stata oggetto di esame da parte del Tribunale. Quanto poi alle elargizioni di denaro in favore degli altri associati valorizzate come elementi indizianti in ordine alla partecipazione all’associazione, l’indagato ribadisce che nella memoria difensiva (e negli allegati) aveva fornito elementi a conferma del fatto che la somma era stata da lui ricevuta a titolo di ingiusta detenzione e spese legali da versare al difensore e che le intercettazioni riportate nel provvedimento impugnato non erano a lui riferibili, con il conseguente assoluto difetto di motivazione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 110 cod. pen. ed il relativo vizio di motivazione rispetto al reato di cui all’art. 353 cod. pen. contestato al capo H) della imputazione provvisoria (fatto commesso in Torino). Anche rispetto a tale delitto l’indagato lamenta l’omesso esame delle specifiche censure mosse al provvedimento genetico a mezzo della memoria difensiva (con allegati), con le
quali si intendeva scalfire la ricostruzione e le contestazioni riportate dall’accusa sul punto, stante l’assenza di elementi indiziari a suo carico come, peraltro, confermato dal decreto di archiviazione emesso sui medesimi fatti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verbania.
2.4. Con il quarto motivo NOME COGNOME lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis.1. cod. pen. ed il relativo vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso per i fatti di cui al capo H), nonostante le specifiche censure sollevate al riguardo dalla difesa a mezzo della citata memoria difensiva. Secondo il ricorrente, infatti, il Tribunale di Catanzaro ha confermato l’esistenza di detta aggravante omettendo di spiegare le ragioni in base alle quali la caratura criminale del gruppo mafioso in questione fosse nota in Piemonte (dove si erano verificati gli eventi) e come concretamente si sia atteggiato il metodo mafioso.
2.5. Con il quinto motivo l’indagato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen, la violazione degli artt. 292 e 546 del codice di rito ed il relativo vizio di motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza dei gravi indiz di colpevolezza per i fatti contestati ai capi L) e L2) della imputazione provvisoria (rapina aggravata); al riguardo lamenta la totale assenza di motivazione del provvedimento impugnato rispetto alle specifiche censure difensive riguardanti l’avvenuta richiesta di archiviazione della Procura di Verbania per i medesimi fatti e le s.i.t. rese da NOME COGNOME il 17 aprile 2018 rispetto alla utilizzazione, da parte sua, dell’automobile di proprietà della sorella di NOME COGNOME.
Il ricorrente ha poi tempestivamente depositato motivi nuovi, con i quali ha ulteriormente argomentato rispetto alle censure relative al capo A) della rubrica, stante la mancanza di indizi a suo carico e la sua assoluzione (ormai irrevocabile) intervenuta nell’ambito del procedimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sino al 13 giugno 2013 con riferimento sempre alla partecipazione ad una associazione di stampo mafioso.
L’indagato, inoltre, deduce l’incompetenza territoriale dell’autorità procedente rispetto alla turbativa d’asta ed alla rapina aggravata commessi in Piemonte in considerazione della mancanza di elementi da cui dedurre, a norma dell’art. 12, lett. c) del codice di rito, il legame finalistico di detti reati fine rispett programma dell’associazione criminosa.
Infine, NOME COGNOME argomenta ulteriormente in ordine alla violazione di legge ed al difetto di motivazione con riferimento al suo concorso nella rapina aggravata, nonostante le specifiche censure difensive e l’archiviazione richiesta
per i medesimi fatti dalla Procura della Repubblica di Verbania e le s.i.t. rese da NOME COGNOME rispetto alla rapina.
Nel corso della udienza in camera di consiglio le parti hanno concluso nei termini sopra indicati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve essere dichiarata la inammissibilità del motivo nuovo riguardante la incompetenza territoriale essendo stato proposto per la prima volta in questa sede; infatti, non può costituire motivo di ricorso per cassazione la violazione delle regole di competenza territoriale da parte del giudice che ha emesso l’ordinanza cautelare, se detta violazione non sia stata dedotta nel giudizio di riesame, essendo precluso al giudice di legittimità di decidere su violazioni di legge non rilevabili d’ufficio, i cui presupposti di fatto non siano già stati esaminati dai giudici di merito (in motivazione, la Corte ha precisato che il principio trae ulteriore conferma dalla introduzione, ad opera dell’art. 4 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 15, del meccanismo di rinvio pregiudiziale ex art. 24-bis cod. proc. pen., con cui è possibile sollecitare una pronuncia di legittimità anticipata e vincolante sulla competenza territoriale, così da scongiurare il rischio della inutile celebrazione di più gradi di giudizio per l’erronea determinazione di tale competenza:Sez. 6, n. 28455 del 11/06/2024, Rv. 286758 – 01). Come noto, l’incompetenza per connessione va dedotta, ai sensi dell’art. 21, comma 3, del codice di rito negli stessi termini di quella per territorio.
A quanto sopra deve aggiungersi che, se il ricorrente avesse effettivamente dedotto tale questione con la richiesta di riesame (ma ciò non viene specificamente indicato nel ricorso e non risulta nemmeno dalla ordinanza impugnata), essa avrebbe dovuto essere oggetto di autonomo motivo del ricorso. Infatti, il principio generale delle impugnazioni, concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi, non è derogato nell’ambito del ricorso per cassazione contro i provvedimenti “de libertate”, l’unica diversità attenendo al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non è quello di quindici giorni prima dell’udienza, ma è spostato all’inizio della discussione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibili motivi nuovi in tema di esigenze cautelari e di scelta della misura in un caso in cui il ricorso (v., ad es. Sez. 3, n. 2873 del 30/11/2022, dep. 2023, Rv. 284036 – 01).
1.1. Premesso quanto sopra, deve ribadirsi che la verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, né può comportare la sostituzione dell’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti
e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01), nel provvedimento genetico, purché le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate.
1.2. All’esito del riesame dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare, è legittima la motivazione che richiami (o riproduca) le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato in assenza di specifiche deduzioni difensive, formulate con l’istanza originaria o con successiva memoria, ovvero articolate oralmente in udienza, tali da rendere funzionalmente inadeguata la relatio su cui il richiamo si è basato (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Falduto, Rv. 272628; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265765).
1.3. In questa prospettiva si può ritenere senz’altro legittima la riproposizione anche di parti del provvedimento applicativo nell’ordinanza resa all’esito del riesame, sempre che, tuttavia, tale tecnica espositiva sia affiancata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall’esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, Rv. 281127).
Premesso quanto sopra, il ricorso (i cui motivi sono in parte infondato e in parte inammissibili) deve essere respinto per le ragioni di seguito indicate.
2.1. Con riferimento alla imputazione provvisoria riguardante il sopra indicato triplice omicidio (capo B della imputazione provvisoria), l’ordinanza impugnata (come anche quella genetica) ha ricostruito i fatti nei seguenti termini; alle ore 12:10 del 25 ottobre 2003 i Carabinieri di Vibo Valentia venivano avvertiti telefonicamente da NOME COGNOME che, poco prima, in località INDIRIZZO‘ sita nella frazione INDIRIZZO del comune di Gerocarne (Vibo Valentia), ignoti avevano esploso colpi di arma da fuoco all’indirizzo suo e di altre tre persone che si trovavano con lui a bordo di un’autovettura. Due persone erano già decedute, mentre lui stesso ed un altro soggetto erano gravemente feriti.
Giunti sul posto i militari dell’Arma avevano rinvenuto la presenza, al centro della carreggiata, di un’auto fuoristrada Mitsubishi Pajero di colore bianco attinta da numerosi colpi di arma da fuoco principalmente nella parte anteriore; nell’abitacolo vi erano i cadaveri di NOME COGNOME e di NOME COGNOME seduti,
rispettivamente, al lato guida e al lato passeggero. Poco prima dell’arrivo dei Carabinieri era giunta una ambulanza del servizio 118 che aveva prestato le prime cure ad un giovane sdraiato sul ciglio stradale (identificato per NOME COGNOME), il quale era gravemente ferito alla testa e sarebbe poi deceduto nella stessa giornata presso l’ospedale civile di Catanzaro dove era stato nel frattempo portato per le cure del caso. NOME NOME COGNOME che aveva allertato le forze di polizia, risultava invece ferito in modo meno grave. A seguito dei rilevamenti effettuati dagli investigatori era stato possibile accertare che all’indirizzo dell’autovettura sopra indicata (in uso a NOME COGNOME) erano stati esplosi quattordici colpi di fucile cal.12 a pallettoni; gli assalitori, nascosti all’interno della vegetazio presente sul margine sinistro della strada percorsa dal Mitsubishi Pajero, avevano dapprima esploso una serie di colpi da posizione defilata in modo che esso si fermasse al centro della carreggiata, per poi avvicinarsi ed esplodere altri colpi in direzione dei due Gallace all’altezza del volto. I risultati scientifici evidenziavano che a fare fuoco erano stati almeno tre soggetti armati di due fucili semiautomatici da caccia cal. 12 e di un fucile da caccia del medesimo calibro; inoltre, un altro soggetto aveva provveduto al recupero dei sicari dopo l’agguato. Successivamente (il 4 febbraio 2004) gli investigatori avevano poi rinvenuto in una fitta zona boschiva, sita in località INDIRIZZO della frazione INDIRIZZO di Girocarne, poco distante dal luogo dell’agguato, i mezzi utilizzati dai sicari (due autovetture ed un ciclomotore) occultati tra la vegetazione nel fondo di un dirupo.
2.2. Il sopravvissuto NOME NOME COGNOME aveva riferito che, mentre si trovava a bordo del fuoristrada seduto nella parte posteriore, aveva udito dei colpi di arma da fuoco e che era riuscito ad abbandonare l’auto grazie alla rottura di un finestrino posteriore da parte del COGNOME che era seduto vicino a lui. Ciò nonostante COGNOME era stato raggiunto da alcuni proiettili, ma riferiva che uno dei sicari (vestito con abiti militari e con passamontagna) sebbene si fosse accorto che egli era ancora vivo non aveva inteso finirlo.
Tale circostanza faceva ritenere agli investigatori che l’obiettivo dell’agguato erano unicamente i due COGNOME; l’episodio doveva quindi essere inquadrato nella lotta in corso per il controllo della c.d. ‘locale di Ariola’ tra le vittime e la fam COGNOME nonché per la volontà dei fratelli NOME e NOME (classe ’79) COGNOME e del loro cugino NOME COGNOME (’83) di vendicare l’uccisione dei propri genitori (NOME ed NOME COGNOME) avvenuta negli anni ’80 per mano proprio dei COGNOME. Inoltre, esso era avvenuto pochi giorni dopo il tentato omicidio in danno di NOME COGNOME (soggetto vicino ai COGNOME, poi divenuto collaboratore di giustizia), il quale preoccupato per la propria sorte – subito dopo il triplice omicidio – aveva cercato di contattare NOME COGNOME (‘zio NOME‘) per risolvere la vicenda con i COGNOME (che, tra l’altro, erano anche suoi cugini).
Sulla questione del mancato esame delle memorie difensive depositate davanti al Tribunale del riesame e dei limiti della deducibilità del vizio in sede di legittimità va richiamato e ribadito il principio già espresso da questa Corte secondo cui «l’omesso esame di una memoria difensiva da parte del Tribunale del riesame in materia di misure cautelari reali può essere dedotto in sede di ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc. pen. soltanto quando con la memoria sia stato introdotto un tema potenzialmente decisivo ed il provvedimento impugnato sia rimasto sul punto del tutto silente» (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, COGNOME, Rv. 277220). Si tratta di principio senz’altro suscettibile di estensione alla materia delle misure cautelari personali. Infatti, questa Corte ha, ulteriormente, precisato che «in tema di impugnazione di misure cautelari personali, l’omessa valutazione di una memoria difensiva da parte del giudice del riesame determina la nullità del provvedimento nel solo caso in cui siano in essa articolate specifiche deduzioni che non si limitino ad approfondire argomenti a fondamento di quelle già prospettate ex art. 309, comma 6, cod. proc. pen., ma contengano autonome e inedite censure del provvedimento impugnato, che rivestano carattere di decisività» (Sez. 5, n. 11579 del 22/02/2022, Adiletta, Rv. 282972).
3.1. Altro arresto ha operato la precisazione secondo cui «in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di una memoria difensiva da parte del Tribunale del riesame non può essere dedotto in sede di legittimità, salvo che introduca temi nuovi e questioni diverse potenzialmente decisive, non sussistendo un’annessa valutazione quando gli argomenti in essa sviluppati, sui quali il provvedimento impugnato sia rimasto silente, siano smentiti dal complessivo impianto motivazionale, in quanto logicamente incompatibili con la ricostruzione accertata e la valutazione formulata» (Sez. 5, n. 5443 del 18/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280670). In particolare, la seconda delle sentenze citate, alle quali si presta adesione, ha ricordato come l’omessa considerazione dei temi illustrati nella memoria difensiva, lungi da determinare una omessa pronuncia (nel quale caso il vizio sarebbe quello della nullità del provvedimento impugnato), può determinare, invece, un vizio della motivazione laddove implichi l’esame di un argomento potenzialmente decisivo che, tuttavia, sia stato pretermesso. Dalla struttura disegnata dal codice di procedura penale relativamente al procedimento di riesame è stato segnalato come la richiesta sia ammissibile anche quando venga omessa l’indicazione di alcun motivo e come sia consentita la presentazione di motivi inediti fino all’inizio della discussione.
3.2. L’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. impone, inoltre, al Tribunale di decidere anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza. Da ciò è stato desunto che «nell’economia del giudizio di riesame le memorie
tempestivamente presentate possono legittimamente assumere una funzione che trascende quella del mero sviluppo argonnentativo delle deduzioni contenute nell’atto di impugnazione, traducendosi nell’effettivo strumento per veicolare queste ultime» (Sez. 5, n. 11579 del 2022 cit.).
Occorre, dunque, avere riguardo al contenuto delle memorie per verificare se le stesse contengano deduzioni difensive potenzialmente destrutturanti rispetto all’impostazione del provvedimento impugnato o ulteriori rispetto a quanto illustrato con l’atto introduttivo del procedimento di riesame.
Nel caso di specie la memoria (allegata al presente ricorso e parzialmente riprodotta anche nella impugnazione) non assume carattere dirimente e scardinante rispetto al ragionamento logico giuridico svolto, senza incorrere in vizi logici, dal Tribunale del riesame per confermare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato sub B). Al riguardo sono state coerentemente valutate le propalazioni del collaboratore NOME COGNOME al quale l’odierno ricorrente (assieme al cugino NOME) aveva espressamente chiesto di fare parte del gruppo di fuoco e quelle di NOME COGNOME al quale NOME COGNOME (classe ’83) aveva confidato di avere partecipato alla organizzazione della strage, ma che poi non si era sentito di far parte del gruppo di fuoco. Sono stati poi considerati, in modo non contraddittorio, lo stretto legame associativo dell’odierno ricorrente con i due cugini ed il movente personale nella vendetta concernente l’omicidio del padre e dello zio; a fronte di tali elementi complessivamente valutati il successivo (e parziale) ripensamento del Taverniti non risulta dirimente, stante la sussistenza degli altri elementi sopra considerati.
Parimenti infondate risultano le censure riguardanti l’imputazione sub A), vale a dire la partecipazione ad associazione di stampo mafioso denominata locale dell’Ariola, ‘ndrina COGNOME a partire dal 14 giugno 2013, come segmento successivo a quello giudicato con sentenza irrevocabile che aveva riconosciuto i fratelli NOME e NOME (classe ’79) COGNOME colpevoli, mentre aveva assolto NOME COGNOME (classe ’83).
4.1. Al riguardo deve ricordarsi che ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso (Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, Rv. 269207 – 01).
4.2. Orbene, il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico di NOME COGNOME dando risalto, con motivazione adeguata ed esente da vizi logici, alla sua affiliazione alla cosca avvenuta ad opera di NOME COGNOME nell’anno 2014 durante un comune periodo di detenzione a Torino, a seguito della specifica richiesta in tal senso formulata da NOME COGNOME all’epoca detenuto presso il carcere di Parma; tali dichiarazioni sono state ritenute attendibili considerato, tra l’altro, l’avvenuto riscontro oggettivo rispetto alla detenzione del COGNOME nel carcere di Parma durante il periodo in oggetto.
A quanto sopra deve aggiungersi che l’avvenuta affiliazione si colloca in un periodo temporale (2014) sicuramente successivo a quello per i quale era intervenuta sentenza di assoluzione del ricorrente da analoga accusa di violazione dell’art. 416-bis cod. pen. (proc. c.d. ‘RAGIONE_SOCIALE‘) riguardante l’epoca antecedente al 14 giugno 2013.
Inoltre, il Tribunale del riesame, in modo non contraddittorio, ha dato risalto alla circostanza che l’odierno ricorrente era soggetto particolarmente fedele del cugino NOME COGNOME in favore del quale si poneva a disposizione per le esigenze del sodalizio, tra cui quella (avente carattere indubbiamente fiduciario) di recarsi a Roma nel giugno del 2018 per versare ad un avvocato il corrispettivo per la difesa dei vari sodali nonché per corrispondere – su disposizione dell’omonimo cugino classe ’79 – cinquemila euro alla moglie di uno degli associati (NOME COGNOME). Tale ultima circostanza, tra l’altro, appare in netto contrasto con quanto sostenuto dal ricorrente (secondo il quale il denaro era suo in quanto ottenuto come ingiusta detenzione subita per il processo ‘Luce nei boschi’) perché non si comprende la ragione per cui – pur trattandosi di denaro esclusivamente suo – egli aveva avvertito la necessità di chiedere istruzioni al cugino.
5. Manifestamente infondato è il motivo riguardante il concorso nella turbativa d’asta (capo H) posta in essere dall’odierno ricorrente assieme ad altri associati per impedire che un immobile di proprietà dell’associato NOME COGNOME (residente in Piemonte) oggetto di espropriazione immobiliare fosse acquistato da terzi all’asta essendo intenzione del gruppo fare acquistare il bene al cognato dell’esecutato (tale NOME COGNOME). In particolare, l’ordinanza impugnata ha evidenziato che dalle intercettazioni ambientali era emerso che NOME COGNOME (unitamente a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME)1’8 marzo 2018 aveva posto in essere condotte di carattere intimidatorio nei confronti dei possibili partecipanti all’asta immobiliare chiedendo alle persone che entravano nello studio del legale delegato alla procedura se fossero interessate all’asta medesima rappresentando loro che sarebbe stato un pessimo affare poiché l’immobile, prima di essere consegnato dal debitore, sarebbe stato sicuramente
gravemente danneggiato con la conseguenza che non era un buon affare dal punto di vista economico. È noto che in tema di concorso di persone nel reato, anche la semplice presenza sul luogo dell’esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa quando, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza (Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Rv. 257979 – 01).
5.1. Con riferimento alla eccezione di incompetenza territoriale fondata sulla insussistenza dell’aggravante ex art. 416-bis.1. cod. pen. sollevata con i motivi aggiunti si ribadisce che essa è inammissibile in quanto proposta per la prima volta in questa sede come sopra evidenziato; in ogni caso risulta infondata atteso che la condotta integrante l’aggravante in parola non presuppone necessariamente l’intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso, dovendosi ritenere sufficiente l’agevolazione di qualsiasi attività dell’associazione come avvenuto nel caso in esame per agevolare uno dei sodali vale a dire NOME COGNOME (vedi, in fattispecie assimilabile, Sez. 6 , n. 25912 del 02/03/2021, Rv. 281956 – 01).
5.2. Pertanto, l’indagato sollecita una inammissibile differente valutazione degli elementi indiziari a suo carico, rispetto a quella svolta, in modo non manifestamente illogico, dal Tribunale di Catanzaro.
Parimenti inammissibile è il motivo riguardante l’imputazione provvisoria di ai capi L) e L2) – rapina aggravata – poiché teso anche esso ad una differente valutazione degli elementi indiziari, rispetto a quella effettuata dal Tribunale del riesame senza incorrere in vizi logici. Invero, l’ordinanza impugnata ha dato rilievo alla circostanza che le automobili in uso agli indagati erano stati segnalate nelle vicinanze del luogo della rapina, alle intercettazioni nelle quali l’odierno ricorrente si lamentava di dover essere l’unico a dovere rispondere di tali reati e, soprattutto, alle conversazioni intercorse tra i medesimi rispetto alla versione comune da fornire agli investigatori come, ad esempio, su chi usasse l’autovettura di proprietà della sorella di NOME COGNOME. A tali assorbenti considerazioni, deve poi aggiungersi che la produzione del decreto di archiviazione effettuata dal ricorrente nel presente grado non può essere oggetto di valutazione da parte di questa Corte trattandosi di un atto che, come dedotto dalla difesa, non era stato posto all’esame del Tribunale del riesame.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.; la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’ art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’ art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso in Roma, l’8 novembre 2024.