Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45901 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45901 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Gavardo il 29/10/1986 avverso l’ordinanza del 05/06/2024 del Tribunale di Brescia udita la relazione svolta dal Consigliere NOME Maria COGNOME sentite le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per il rigetto del ricorso; sentito l’avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Brescia, Sezione per il riesame, con ordinanza del 5 giugno 2024, depositata il 12 giugno 2023, ha accolto l’appello del pubblico ministero e, in riforma dell’ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Brescia in data 30 aprile 2024, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 4 e 7 L. 895 del 1967 (capo 1), 56, 575 e 577, 61 n. 1 cod. pen. (capo 2) e 582, 583 e 585 cod. pen. (capo 4).
NOME COGNOME è sottoposto a indagini per avere posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di NOME COGNOME
Nello specifico al ricorrente è contestato di avere esploso un colpo di pistola nei confronti della vittima nel corso di un’accesa discussione avvenuta in una birreria, colpo che non è andato a segno.
Quanto avvenuto è stato ripreso da una telecamera e il fatto è stato descritto, dopo alcuni mesi, dalla vittima e dal fratello, che hanno raccontato di avere raccolto e buttato via il bossolo.
A seguito della denuncia il giudice per le indagini preliminari ha disposto la misura della custodia in carcere nei confronti dell’indagato che per un breve periodo è rimasto latitante.
All’atto dell’esecuzione della misura è stata sequestrata una pistola a salve che il ricorrente ha dichiarato essere quella utilizzata la sera del presunto reato.
Il giudice, preso atto che l’arma utilizzata non era idonea a cagionare la morte della vittima, ha, dapprima, sostituito e poi revocato la misura per il reato di tentato omicidio (capo 1) e per il porto dell’arma (capo 2). Misura che, comunque, non è stata revocata per la terza contestazione originaria relativa alla detenzione di sostanze stupefacenti.
Il 16 aprile 2024 il pubblico ministero, preso atto che la consulenza balistica effettuata dal R.I.S. dell’Arma dei Carabinieri ha accertato che le caratteristiche dell’arma sequestrata erano incompatibili con le immagini dell’arma utilizzata la sera del tentato omicidio, ha chiesto che venisse nuovamente applicata la misura della custodia cautelare in carcere per i capi 1) e 2).
La richiesta, fondata anche sugli ulteriori accertamenti effettuati su di un contenitore di latta rinvenuto all’interno della birreria, è stata avanzata anche in relazione al reato di lesioni personali gravi commesso dall’indagato in danno di COGNOME NOME, contestazione nel frattempo sopravvenuta.
Il giudice, pure convenendo sul fatto che l’indagato aveva mentito quanto all’arma utilizzata, ha ritenuto che gli accertamenti in atti non consentissero comunque di formulare un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità del ricorrente in ordine ai reati di cui ai capi 1) e 2) e, riguardo al capo 4), che non sussistesse il pericolo di reiterazione dei reati, ciò anche in considerazione dello stato detentivo del ricorrente.
Avverso l’ordinanza ha proposto appello il pubblico ministero evidenziando che gli accertamenti effettuati sono decisivi quanto all’uso di un arma comune da sparo e che tale elemento, così come confermato dal filmato, dal narrato della persona offesa e, da ultimo, dalla falsità delle dichiarazioni rese dall’indagato in merito alla natura dell’arma, sono decisive quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, anche con riferimento al reato di cui al capo 4), ciò anche considerato il pericolo di gravi azioni di ritorsione nei confronti dei fratelli COGNOME e di COGNOME.
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All’esito dell’udienza celebrata il Tribunale del riesame, tenuto anche conto della documentazione e della memoria depositate dalla difesa, ha accolto l’appello del pubblico ministero e ha applicato la misura richiesta per tutti e tre i capi di imputazione.
Nello specifico, in estrema sintesi, il giudice del riesame ha ritenuto che gli accertamenti effettuati, così come le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, specialmente NOME COGNOME e NOME COGNOME, oltre al filmato, siano tali da consentire di ritenere che la pistola utilizzata fosse una arma comune da sparo o comunque una pistola a salve modificata, idonea a cagionare la morte della vittima e che, pertanto, sussistono i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato.
Ad avviso del Tribunale, poi, i gravi indizi sussistono anche in relazione al reato di lesioni personali aggravate in ordine al quale, come per gli altri, sussistono le prospettate esigenze cautelari per cui l’unica misura adeguata risulta essere la custodia cautelare in carcere.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato che, a mezzo del difensore, ripercorso lo sviluppo della vicenda, ha dedotto i seguenti motivi.
4.1. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 56 e 575 cod. pen. con riferimento al ritenuto utilizzo di un’arma comune da sparo. Nel primo motivo la difesa rileva che la conclusione del Tribunale circa le caratteristiche della pistola utilizzata sarebbe il risultato di un ragionamento illogico e contraddittorio e che ciò sarebbe evidente anche solo considerando l’affermazione per cui lo stesso giudice del riesame ammette che le alternative sono due, l’uso di un’arma comune da sparo ovvero di una pistola a salve modificata.
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria per il reato di tentato omicidio sia sotto il profilo dell’idoneità del mezzo utilizzato che dell’univocità degli atti e, anche dell’elemento psicologico. Nel secondo motivo la difesa rileva che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in merito all’idoneità dell’arma in effetti utilizzata e, inoltre, non considerando la direzione del colpo esploso e che questo non ha in alcun modo attinto la vittima, avrebbe omesso di verificare se gli atti erano posti in essere dall’indagato erano univoci. A ben vedere, infatti, dal filmato non sarebbe chiaro se il colpo era indirizzato agli organi vitali della vittima che, d’altro canto, non potrebbe averlo evitato come ipotizzato dal Tribunale. Elementi questi, peraltro, a fronte dei quali non sarebbe neanche
possibile desumere quale fosse l’eventuale intenzione dell’indagato, cioè se sussista l’elemento psicologico richiesto per la punibilità del reato contestato.
4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, all’attualità e concretezza delle stesse e quanto alla ritenuta adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Nel primo e nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza quanto al reato di tentato omicidio sia con riferimento al presunto utilizzo di un’arma comune da sparo che ai profili afferenti all’idoneità del mezzo utilizzato, all’univocità degli atti e alla natura dell’elemento psicologico
Le doglianze sono infondate.
2.1. In termini generali appare opportuno ribadire che in tema di misure cautelari personali il ricorso per cassazione che deduca l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o l’assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in un’a diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (cfr. Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628).
Nel giudizio di legittimità, infatti, sono rilevabili esclusivamente i viz argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione, ciò in quanto il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti “de libertate”, a una diversa delibazione in merito allo spessore degli indizi e delle esigenze cautelari (cfr. Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828; Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, COGNOME, Rv 269885; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244).
Il controllo di legittimità, d’altro canto, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione e, quindi, il ricorso per
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cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione e non deve riguardare la valutazione sottesa che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione (cfr. Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02).
Il controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazio rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Cusnnano, Rv 269885).
Da quanto sopra discende che: a) in materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientra fra i compiti istituzionali del giudice d merito sfuggendo entrambe a censure in sede di legittimità se adeguatamente motivate e immuni da errori logico giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del Tribunale, se correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, anche con riferimento alla corretta qualificazione giuridica attribuita ai fatti, o di assenza di esigenze cautelari è ammissibile solo se la censura riporta l’indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge, ovvero l’indicazione puntuale di manifeste illogicità della motivazione provvedimento, secondo i canoni della logica e i principi di diritto, esulando dal giudizio di legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito. (cfr. Sez. 3, n. 40873 del 21.10.2010, Merja, Rv 248698).
Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere quindi volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il
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profilo logico (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv 251516; Sez. 4, n. 22500 del 3/5/2007, Terranova, Rv 237012).
L’insussistenza (ovvero la sussistenza) dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc. pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è, in conclusione, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo “all’interno” del provvedimento impugnato ed il controllo di legittimità non può riguardare la ricostruzione dei fatti (cfr. Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, cit.; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv 255460).
2.2. Tanto premesso, nel caso di specie il Tribunale del riesame, diversamente da quanto peraltro indicato nel ricorso, ha fornito una motivazione adeguata in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e ciò con specifico riferimento alla diversa conclusione cui era pervenuto sul punto il giudice per le indagini preliminari.
Il giudice del riesame ha affrontato in termini puntuali e specifici la questione relativa alla tipologia dell’arma utilizzata e, prendendo le mosse dai dubbi indicati dal primo giudice, ha indicato le ragioni sulle quali ha fondato la conclusione nel senso che quella utilizzata era un’arma comune da sparo e non una pistola a salve modificata, che pure sarebbe comunque idonea a commettere il reato contestato.
Il ragionamento indiziario -che si sviluppa dalla dichiarazione mendace resa dall’indagato nel corso dell’interrogatorio e tiene conto di tutti gli altri elementi emersi- infatti, è esposto in termini logici e conseguenziali e la conclusione, alla quale il Tribunale è pervenuto anche confrontandosi con le censure sollevate dalla difesa, risulta corretta e coerentemente argomentata.
Ciò soprattutto in virtù degli specifici riferimenti agli accertamenti effettuati e alle sommarie informazioni di COGNOME e delle persone offese (in particolare quanto all’avere raccolto e buttato il bossolo del proiettile esploso), dai quali risulta comunque che il ricorrente aveva la disponibilità di armi comuni da sparo e che le aveva anche in precedenza utilizzate.
2.3. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire in ordine al giudizio espresso, quanto meno allo stato degli atti e considerato il criterio decisorio tipico della fase, quanto alla ritenuta idoneità del mezzo (un’arma da fuoco funzionante), all’univocità degli atti (un colpo esploso durante una discussione indirizzato ad altezza d’uomo in un localo chiuso) e all’elemento psicologico (coerentemente individuato sulla base del complesso degli elementi emersi).
Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, all’attualità e concretezza delle stesse e quanto alla ritenuta adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere.
Le doglienze sono infondate.
Anche in merito alla sussistenza e consistenza delle esigenze cautelari, infatti, la motivazione del provvedimento impugnato, con gli specifici riferimenti alle modalità dell’azione, ai precedenti penali, anche specifici, alla personalità violenta dell’indagato e alla disponibilità di armi da fuoco, ha dato adeguato conto delle ragioni poste a fondamento della decisione, ciò sia con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari che quanto all’attualità e all’adeguatezza della misura custodiale, correttamente individuata per l’inaffidabilità sino a ora dimostrata e senza che possa avere rilevo dirimente il breve periodo di tempo trascorso agli arresti domiciliari, peraltro dopo tre mesi di latitanza.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. Cod. proc. pen.
Così deciso il 12 settembre 2024
Il Consiglinre estensore
Il Presidente