Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47729 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47729 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME nato a Napoli 1’1.2.2001;
contro
l’ordinanza del Tribunale di Firenze del 23.7.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23.7.2024 il Tribunale di Firenze ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento con il quale, in data 26.6.2024, il GIP del Tribunale di Pistoia aveva applicato al predetto la misura degli arresti domiciliari con controllo a distanza avendo ravvisato, nei suoi confronti, gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di truffa aggravata in concorso (con altro coindagato) commesso in Pistoia il 2.10.2023 nonché il ricorrere di esigenze cautelari giudicate non altrimenti fronteggiabili;
ricorre per cassazione NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia che deduce:
2.1 violazione di legge, mancanza e/o carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alle esigenze cautelari ed ai presupposti per l’adozione della misura cautelare ai sensi della lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen.:
2.2 violazione di legge, mancanza e/o carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla gravità indiziaria:
violazione di legge, carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata esclusione dell’aggravante dell’art. 61 n. 5 cod. pen.:
rileva, in primo luogo, la carenza di motivazione circa l’impossibilità di ricorrere a misure cautelari alternative rispetto a quella adottata; segnala, ancora, che l’ordinanza cautelare oggetto dell’istanza di riesame era stata adottata all’esito di una nuova valutazione degli elementi investigativi già acquisiti all’atto della adozione del provvedimento poi annullato dal medesimo Tribunale del Riesame con decisione mai impugnata dal PM; espone dettagliatamente, una serie di elementi investigativi a suo avviso non compiutamente analizzati dal GIP come, successivamente, dal Tribunale, a partire dalle dichiarazioni rese dalla COGNOME, che non aveva accennato alla presenza di alcun tatuaggio che, invece, è impresso sul collo del COGNOME che la donna, di fatto, non è stata in grado di riconoscere nelle immagini mostratele dalla Polizia Giudiziaria; segnala, inoltre, il dato della barba, di cui era sprovvisto l’uomo che si era presentato dalla COGNOME e di cui, invece, è dotato il COGNOME; aggiunge che nemmeno gli elementi ulteriormente valorizzati dal GIP e dal Tribunale del Riesame sono univoci, sia singolarmente che complessivamente analizzati, ribadendo che al De Martino non venne mai sottoposta la foto del ricorrente, dunque mai riconosciuto; sottolinea, ancora, come l’aggravante di cui al n. 5 dell’art. 61 cod. pen. deve essere oggetto di specifica verifica; denuncia, infine, la carenza motivazionale del provvedimento impugnato quanto alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare l’adozione della misura restrittiva.
la Procura Generale ha trasmesso le proprie conclusioni scritte, a valere come memoria, insistendo per l’inammissibilità del ricorso.
la difesa ha trasmesso un’ampia e diffusa memoria con cui, replicando alle considerazioni della Procura Generale, approfondisce le argomentazioni svolte con il ricorso insistendo per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato attraverso censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
Con l’unico, articolato, motivo di ricorso la difesa del COGNOME denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sia in ordine alla ritenuta sussistenza dei gradi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di truffa aggravata per cui si procede nei suoi confronti che all’integrazione dell’aggravante contestata come, infine, in merito alle ravvisate esigenze cautelari ed alla individuazione della misura giudicata idonea a contenerle.
Non è inutile, infatti, ribadire quali siano i termini del sindacato, in questa sede, dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si denunci il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice di legittimità di vagliare la adeguatezza delle ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Va anche ricordato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; questo Collegio, in particolare, condivide la tesi secondo cui “in tema di misure caute/ari personali, la nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo con cui il termine indizi inteso viene utilizzato quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 cod. pro pen., comma 2, come si desume dall’art. 273 cod. proc. pen., comma ibis, che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (cfr., Sez. 5, n. 36079 del 5.6.2012, COGNOME; Sez. 4, n. 6660 del 24.1.2017, COGNOME; Sez. 4, n. 53369 del 9.11.2016, COGNOME; conf., ancora, Sez. 4, n. 17247 del 14.3.2019, COGNOME, in cui la Corte ha ribadito i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma 1-bis, cod. proc. pen.; conf., sul punto, e tra le altre, Sez. 1, n. 43258 del 22.5.2018, .1 -antone; Sez. 2, n. 22968 dell’8.3.2017. COGNOME). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Esula, d’altra parte, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30.4.1997, Dessimone; Sez. 4, n. 4842 dei 2.12.2003, Elia; Sez. 6, n. 49153 del 12.11.2015, secondo cui la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura).
Tanto premesso, rileva il collegio che il provvedimento impugnato non si presta a rilievi suscettibili di essere mossi in sede di legittimità.
2.1 II Tribunale di Firenze ha in primo luogo richiamato l’ordinanza che, vagliando l’istanza di riesame proposta contro il primo provvedimento adottato dal GIP rtfte, all’esito, aveva annullato.
Ha ricostruito pertanto l’episodio occorso il giorno 2 ottobre quando, intorno alle 11,00, la sig.ra NOME COGNOME di 79 anni, aveva ricevuto una telefonata da parte di un uomo che, presentatosi come “Avv. COGNOME“, le aveva comunicato che il figlio aveva avuto un incidente stradale e che si trovava, in quel momento, presso una caserma dei carabinieri aggiungendo che occorreva versare la somma di 6.700 euro per scongiurarne l’arresto; denaro che, se la donna era in grado di reperire, sarebbe stato prelevato dal nipote del professionista che, in effetti, si era presentato da lei poco dopo prendendo in consegna sia quella somma che quella ulteriore di 4.000 euro.
Nel frattempo, come si legge nell’ordinanza, era accorso dalla madre l’altro figlio di NOME, giunto appena in tempo per intercettare una telefonata proveniente da un altrettanto sedicente NOME COGNOME dei Carabinieri di Pescia e che aveva ben presto potuto avvedersi che la donna era stata vittima della più classica delle truffe.
Avviate le indagini, gli investigatori, tramite le telecamere di videosorveglianza della zona, erano risaliti ad una Rénault Arkane (che aveva sostato di fronte alla abitazione della INDIRIZZO tra le 11.33 e le 11.52, da cui era sceso un uomo che era entrato nel portone alle 11,37 per uscirne, appunto, alle 11.52) dalla cui targa era stato possibile verificarne la proprietà, riferibile a una società di leasing di Napoli; la medesima vettura era stata intercettata alle 13,20 del giorno 3 ottobre dalla Polizia Stradale con alla guida tale COGNOME NOMECOGNOME pregiudicato per truffa, il quale aveva riferito di averla noleggiata a tale COGNOME NOME per conto del quale l’aveva recuperato, a Bologna utilizzando le
chiavi che gli erano state consegnate la sera del 2 ottobre da tale “NOME” di cui aveva fornito il recapito telefonico.
L’esame dei dati del GPS montato sul veicolo aveva permesso di appurare che la vettura, il giorno 2 ottobre, si era mossa alle 5,13 da INDIRIZZO in Napoli, ove era rimasta ferma dalle 1,42, per raggiungere INDIRIZZO alle 5,22 e, dopo un breve sosta in INDIRIZZO, immettersi e percorrere l’Al sino a Firenze raggiungendo Pescia alle 10,22 dove, per l’appunto, alle 11,37 si trovava in INDIRIZZO ove risiede la COGNOME, che aveva lasciato alle 11,53 per raggiungere Bologna dove sarebbe stata recuperata dal De Martino.
Le telecamere di videosorveglianza di Pescia avevano inoltre consentito di verificare che a bordo del veicolo, al momento della truffa, v’erano tre persone mentre quelle posizionate nei pressi della INDIRIZZO di INDIRIZZO in Napoli, alle ore 5,22 dello stesso 2.10.2024, avevano immortalato la medesima vettura con a bordo tre persone, tra cui il COGNOME, identificato dalla PG; la COGNOME, cui era stata sottoposta l’immagine del COGNOME, aveva notato una forte rassomiglianza tra la foto dell’indagato ed il ragazzo che si era recato da lei a ritirare il denaro; si era inoltre accertato che il COGNOME abitava in INDIRIZZO dove i dati del GPS installato sulla vettura avevano registrato una sosta intorno del veicolo dalle 5.00 del mattino del 2.10.2024 prima di avviarsi verso Pistoia.
L’esame dei dati relativi all’utenza telefonica che il COGNOME aveva indicato come appartenente al “NOME” che gli aveva restituito le chiavi della vettura aveva consentito di appurare che essa aveva “seguito” l’auto lungo il percorso da Napoli a Pescia e poi a Bologna.
I giudici del riesame hanno quindi riepilogato gli elementi indiziari acquisiti a carico del COGNOME e richiamato i dubbi e le perplessità ravvisati nel provvedimento con cui lo stesso Tribunale di Firenze aveva annullato la prima ordinanza: a partire dalla constatazione della scarsa qualità delle immagini del Café Habana ed all’errore sulla identificazione di uno dei tre soggetti ivi giunti a bord dell’autovettura Renault, tale a riflettersi sulla attendibilità degli altri riconoscimenti della PG; per altro verso, il primo riesame aveva evidenziato come l’utenza attribuita dal COGNOME al (non meglio identificato) “NOME” non poteva con certezza essere ricondotta all’odierno ricorrente; a questi aspetti si era aggiunto il carattere dubitativo del “riconoscimento” operato dalla COGNOME che, peraltro, aveva riferito che il giovane che si era presentato da lei non aveva la barba invece visibile nelle foto del Pie -ro ed in occasione dell’interrogatorio di garanzia (cfr., ivi).
2.2 II Tribunale, tuttavia, ha dato conto, in termini congrui ed esaustivi, degli elementi di “novità” che, acquisiti dagli investigatori, avevano a suo avviso permesso di superare i dubbi e le perplessità che avevano portato all’annullamento della prima ordinanza e di fondare l’adozione del provvedimento impugnato su una idonea piattaforma indiziaria.
In particolare, i giudici fiorentini hanno segnalato che la perquisizione eseguita nella abitazione del Pierro in occasione dell’esecuzione della prima misura aveva consentito di rinvenire un telefono IPhone 13 nel quale, come emerso dall’analisi dei tabulati, il giorno 2 ottobre era stata inserita una scheda SIM con il numero indicato dal COGNOME come quello in uso al “NOME” che gli aveva riconsegnato le chiavi della Renault la sera di quello stesso giorno e di appurare che, nel corso della giornata, il telefono si trovava a Napoli alle 4,52, a Fabro alle 7,56 ed a Pescia alle 11,52.
Nella memoria del telefono, inoltre, era stata rinvenuta una foto scattata alle ore 12,35 del giorno 2 ottobre ritraente il COGNOME e l’COGNOME all’interno del vettura con in mano diverse banconote oltre ad una foto del COGNOME dal barbiere il giorno 30 settembre, ovvero due giorni prima di quando, senza barba, era stato immortalato dalle telecamere del café Habana dalla visione delle cui immagini gli operanti lo avevano riconosciuto.
Il Tribunale, dunque, ha sottolineato come proprio questi elementi hanno consentito di collegare in maniera adeguata la persona del COGNOME al “NOME” che aveva riconsegnato al COGNOME le chiavi della vettura con cui i malviventi si erano recati da Napoli sino a Pescia a consumare la truffa in danno della COGNOME; lo stesso telefono, rinvenuto nella (peraltro incontestata) disponibilità dell’odierno ricorrente, aveva inoltre “seguito” lo stesso percorso dell’autovettura già in precedenza ricostruito tramite il GPS laddove, poi, le foto pure rinvenute nella memoria dell’IPhone erano tali, a loro volta, da introdurre elementi indiziari autonomi ovvero, come quella scattata dal barbiere due giorni prima dei fatti, contribuire a corroborare elementi già acquisiti, come il “riconoscimento” operato dalla PG dalle immagini delle telecamere situate in corrispondenza del bar INDIRIZZO ritraenti il COGNOME senza barba, ovvero così come aveva riferito la COGNOME era il giovane che si era recato da lei.
2.3 Sotto il profilo processuale, rileva il collegio come le considerazioni difensive, ampiamente sviluppate nella memoria trasmessa in prossimità dell’udienza, in punto di preclusione da “giudicato cautelare” siano evidentemente prive di pregio.
E’ noto, infatti, che il giudicato, in senso proprio, si forma sulle sentenze divenute irrevocabili, ovvero non più impugnabili attraverso i mezzi ordinari che, in quanto tendenzialmente immodificabili, assumono il crisma dell’intangibilità e di “cosa giudicata”.
La medesima esigenza di tendenziale certezza della decisione ha condotto ad elaborare il concetto di “giudicato cautelare”, trasponendo in ambito cautelare alcune delle caratteristiche proprie del giudicato che si forma sulle sentenze, affermando che, una volta esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito avverso le misure cautelari, o trascorsi inutilmente i termini per presentarli, si forma, per l’appunto, il cd. “giudicato cautelare”.
Ciò non di meno, la trasposizione, in ambito cautelare, degli effetti propri del giudicato formatosi sulle decisioni definitive, non può intervenire in termini assoluti, incontrando i limiti dovuti alle funzioni ed alle peculiarità delle misur cautelari che è intimamente connessa alla sussistenza ed alla permanenza delle condizioni di applicabilità, mentre il concetto di giudicato attiene a situazioni che hanno assunto il rango della immutabilità e definitività.
Con riguardo agli effetti delle pronunce in materia cautelare, quindi, più che di “giudicato” si dovrebbe parlare di una preclusione endoprocessuale, che impedisce la reiterazione di provvedimenti aventi lo stesso oggetto e che, soprattutto, opera allo stato degli atti, dipendendo dal permanere della situazione di fatto presente al momento della decisione.
Nel caso di specie, è vero che il provvedimento con cui il Tribunale del Riesame aveva annullato la prima ordinanza del GIP non è stato impugnato; e, tuttavia, la allegazione di elementi investigativi nuovi aveva consentito al GIP di adottare un nuovo provvedimento fondato su presupposti solo in parte comuni a quelli già in precedenza vagliati ed in presenza dei quali il quadro indiziario aveva potuto ricevere un diverso apprezzamento.
Va rilevato, peraltro, che l’elemento di novità può rilevare sia in sé (come nel caso in esame indubbiamente è per quanto concerne l’attribuzione al COGNOME dell’utenza indicata dal COGNOME) ma, anche, come nel caso di specie, in quanto idoneo a fornire una diversa e più univoca interpretazione degli elementi già acquisiti e suscettibili di una pluralità di letture (cfr., ad esempi Sez. 5 , n. 17971 del 07/02/2020, Nebbia, Rv. 279411 – 01).
2.4 Il Tribunale ha reso inoltre una motivazione del tutto congrua e corretta, in diritto, circa il ricorrere dei presupposti per il riconosciment dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen.: dando puntualmente séguito all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte nel suo massimo consesso (cfr., Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, COGNOME, Rv. 282095 – 02) che ha
affrontato il profilo della minorata difesa correlato alle condizioni relative all’e della persona offesa, ripudiando ogni automatismo e presunzione e postulando, pertanto, il medesimo metodo di verifica in concreto, essendo sempre necessario valutare se la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.
Sul punto, invero, la motivazione dell’ordinanza impugnata è del tutto appagante avendo il Tribunale dato rilievo per un verso all’età avanzata dalla vittima ma, per altro verso, alla condizione di angoscia e turbamento emotivo artatamente creata per abbassarne la resistenza psicologica e, unitamente alla fretta ed alla concitazione del momento, sfruttare anche la scarsa dimestichezza della donna con gli aspetti giuridici della vicenda che, in maniera concitata e stringente, le era stata rappresentata.
3. Altrettanto incensurabile, infine, è la motivazione con cui il Tribunale ha ravvisato l’esistenza di esigenze cautelari legate al rischio di reiterazione di condotte analoghe e che, evocando le vicende analoghe per le quali il COGNOME risulta cautelato presso altre autorità giudiziarie (cfr., pagg. 10-11 del provvedimento impugnato), è ampiamente coerente con le coordinate giurisprudenziali sopra richiamate.
I giudici del riesame si sono conformati all’orientamento di questa Corte, condiviso dal collegio, secondo cui il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr., Sez. 3 – , n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891 – 01;Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 266511 – 01; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, COGNOME, Rv. 269684 – 01).
Per altro verso, l’apprezzamento della pericolosità dell’indagato sottoposto alla misura coercitiva ed in merito alla adeguatezza o meno di una misura rispetto ad altra, al fine di garantire il pur ravvisato pericolo di reiterazione nel reato, è u giudizio riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se come si deve ritenere sia senz’altro avvenuto ritenere nel caso di specie congruamente e logicamente motivato (cfr., Sez. 3 -, n. 7268 del 24/01/2019,
COGNOME Rv. 275851 – 01; Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, COGNOME, Rv. 250093 – 01).
4. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo ragioni che consentano di escludere profili di colpevolezza nell’attivare l’impugnazione.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14.11.2024