Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14459 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PALERMO il 29/10/1990
avverso l’ordinanza del 29/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 29 ottobre 2024, ha respinto la richiesta di riesame avverso l’ ordinanza impositiva della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Palermo nei confronti di NOME COGNOME in relazione agli addebiti di partecipazione al reato di associazione dedita al narcotraffico aggravato dall’art. 416 bis, a- .) 1, cod. pen. (capo 2) e ai reati di estorsione aggravata e porto di armi in luogo pubblico (capi 3 e 4).
Ha ritenuto il Tribunale che, dalla complessiva valutazione degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari, emergeva la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati all’imputato, risultanti dagli esiti delle intercettazioni e di altre operazioni di osservazione e controllo espletate dalla PG nonché dalle dichiarazioni di differenti collaboratori di giustizia (nello specifico, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) e ravvisando l’inesistenza di elementi atti a superare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
2. Ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del proprio difensore di fiducia, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, co. 1, lett. b) e lett. e), cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati contestati. Il provvedimento impugnato non teneva conto della discrepanza tra il contenuto dell’ordinanza applicativa della misura e quello di una precedente ordinanza del 5 luglio 2023 nella quale era stata, invece, esclusa la sussistenza di gravi indizi in ordine al reato associativo. Il Tribunale aveva desunto la gravità indiziaria unicamente dalle dichiarazioni dei collaboratori senza accertarne l’attendibilità intrinseca ed estrinseca e senza indicare quale fosse il ruolo svolto dal COGNOME all’interno dell’associazione. Dalla motivazione del provvedimento impugnato non si comprendeva, quindi, come fossero stati accertati la condotta materiale e l’elemento del dolo richiesto dalla norma ai fini dell’integrazione del reato, non essendo indicati gli indizi da cui desumere che l’attività di spaccio fosse effettuata nell’ambito di un vincolo associativo.In particolare il ricorrente lamenta la carenza dell’apparato
motivazionale in quanto meramente apparente. La gravità indiziaria era desunta soltanto da dichiarazioni collaboratori COGNOME e COGNOME senza procedere alla valutazione della attendibilità intrinseca ed estrinseca; non era indicato quale fosse il ruolo svolto dal ricorrente e gli elementi idonei a costituire gravi indizi riguardo alla affectio societatis; in particolare il COGNOME, quando aveva iniziato a collaborare, non aveva parlato di coinvolgimenti dell’odierno ricorrente; non aveva spontaneamente dichiarato il soprannome con cui era chiamato, ossia NOME, ma gli era stato suggerito nel corso dell’interrogatorio, né comunque lo aveva mai indicato quale soggetto facente parte della associazione finalizzata al narcotraffico. Le conclusioni del Tribunale circa la sussistenza dei gravi indizi in ordine alla partecipazione all’associazione ex art. 74 DPR 309/1990 erano apodittiche e prive di solide basi motivazionali. Stesse considerazioni valevano per le dichiarazioni degli altri collaboranti, sulle quali si fondano le imputazioni ex 629 cod. pen. L’ordinanza non aveva motivato su una deduzione difensiva secondo cui il La COGNOME aveva espressamente dichiarato di avere intenti vendicativi nei confronti del ricorrente, pertanto l’attendibilità del dichiarante non era stata valutata con il necessario rigore. Inoltre, quanto alla verifica della attendibilità estrinseca, l’impugnata ordinanza non aveva considerato le palesi contraddizioni tra le varie fonti, in particolare le dichiarazioni di La COGNOME e l’interrogatorio COGNOME, vale a dire le indicazioni difformi circa il luogo in cui sarebbero verificati i fatti, nonché sull’orario, inoltre non vi era alcun riscontro in merito al luogo in cui si troverebbe la stalla in cui era stata perpetrata la minaccia estorsiva.Infine, negli interrogatori rilasciati, il la COGNOME era incorso in molteplici imprecisioni indicando il ricorrente come di nazionalità tunisina e fornendo molteplici e diversi nomi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Procuratore generale ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Giova premettere che il controllo di legittimità relativo ai provvedimenti de libertate, secondo giurisprudenza consolidata, è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (v., tra le tante, Sez. 2, n. 56 del 7
dicembre 2011, COGNOME, Rv. 251760; Sez. 6, n. 2146 del 25 maggio 1995, COGNOME ed altro, Rv. 201840). In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o n àssenza delle esigenze cautelari, può essere accolto solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17 maggio 2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. Un., n. 11 del 22 marzo 2000, COGNOME, Rv. 215828).
Pertanto, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29 maggio 2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 18795 del 2 marzo 2017, COGNOME, Rv. 269884).
Tanto premesso, il ricorrente censura la carenza e illogicità della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 74 DPR 309/1990. Al COGNOME NOME si contesta di aver operato, nella attività di spaccio di stupefacenti, a fianco di altri sodali, per imporre il rispetto delle regole imposte dal mandamento mafioso di INDIRIZZO sulla piazza di spaccio, individuando i pusher e i fornitori che non acquistavano la droga dai canali autorizzati e non corrispondevano il denaro alle casse del sodalizio. Sul punto, l’ordinanza impugnata dà atto, innanzi tutto, della esistenza di una associazione criminale dedita al narcotraffico nel mandamento di Palermo Porta Nuova, accertata dalla sentenza del 22 febbraio 2024 del GUP del Tribunale palermitano, che aveva condannato in primo grado vari esponenti del gruppo associativo di Porta Nuova per il reato di cui all’art. 74 DPR 309/1990. Il sistema era volto gestire il traffico di droga con un sistema di controllo capillare, che prevedeva l’acquisizione dello
stupefacente tramite canali autorizzati nonchè la cessione sempre per il tramite di individui di fiducia del sodalizio, con severe punizioni per chi avesse infranto le regole. Prosegue il Tribunale del Riesame analizzando sia i contenuti delle dichiarazioni dei collaboranti NOME COGNOME e NOME COGNOME che indicano il ricorrente con il soprannome usato, ossia NOME, e lo descrivono come soggetto dedito allo spaccio di cocaina che distribuiva dietro autorizzazione dell’associato, NOME COGNOME. Orbene, sul punto non colgono nel segno le censure relative alla carenza di motivazione in ordine alla attendibilità dei collaboranti: l’ordinanza riporta riscontri relativi ad intercettazioni telefoniche degli associati (condannati con la sentenza sopra citata) riguardanti l’attività di spaccio del Selvaggio, denominato, in quelle telefonate, il COGNOME; nonchè (pag. 12 della ordinanza impugnata) i riscontri tra gli interrogatori di COGNOME e COGNOME. Né colgono nel segno le doglianze inerenti alla carenza di indizi in ordine agli elementi caratterizzanti il vincolo associativo, che risiedono nell’episodio relativo alla minaccia con armi ( due pistole e una mazza) emergente dal racconto del collaboratore COGNOME. Secondo tali propalazioni, NOME COGNOME e NOME COGNOME, padre del collaboratore di giustizia, erano stati trattenuti all’interno di una stalla e intimiditi con armi per vendere, per conto del ricorrente e altri sodali, un chilo di droga al prezzo di 55 mila euro, da corrispondere quella sera stessa.Detto grave episodio, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, risulta riscontrato dalla registrazione eseguita dalla compagna del COGNOME, NOME COGNOME, che aveva registrato la conversazione con NOME COGNOME e la sua compagna, i quali, con riferimento all’episodio delle minacce, avevano detto che ” era stato NOME“. In particolare, l’impugnata ordinanza mette in luce, con argomentazioni esaustive e congrue, che dette risultanze costruiscono un quadro di certa gravità indiziaria riguardo alla stabile attività del ricorrente nella gestione della attività di spaccio all’interno del sodalizio criminale di Porta giova, impedendo qualsiasi commercio non autorizzato e imponendo regole rigide nella scelta dei canali di approvigionamento. La rilevanza del riscontro consente di superare il rilievo secondo cui il collaborante la COGNOME sarebbe animato da intenti di vendetta, posto che il contenuto del narrato risulta avvalorato dall’inequivoco contenuto della registrazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le censure dedotte, inoltre, non scalfiscono il ragionamento del Tribunale palermitano e riguardano punti non decisivi ( non avere individuato di preciso il luogo ove erano avvenute le minacce con armi o imprecisioni nel
ricordo del soprannome del ricorrente), senza considerare le risultanze della registrazione della RAGIONE_SOCIALE.
5. Alla luce delle considerazioni esposte, si impone il rigetto del ricorso
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 c. 1-ter, disp att. cod.proc.pen.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2025
Il Consigliere estensore