Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29370 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29370 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
per il riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il difensore ha avanzato rituale richiesta di trattazione orale in presenza, ai sensi dell’art. 611, commi 1-bis e 1-ter cod. proc. pen.
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso riportandosi alla memoria scritta depositata in data 30/05/2025;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria depositata in data 5 giugno 2025 dal medesimo difensore a sostegno del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Roma ha confermato il provvedimento emesso in data 27/12/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri che aveva applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente indiziato dei reati di detenzione a fini di spaccio, cessione ed introduzione all’interno della casa Circondariale di Velletri di sostanze stupefacenti di varie tipologie (capi A-C-D-FG di imputazione provvisoria), ricettazione e possesso illegale di un’arma compendio di furto (capo K), rapina aggravata dall’avere commesso il fatto con armi, in più persone riunite e con volto travisato (capo L), detenzione illegale di cinque pistole automatiche, di una parte di arma silenziatore e di un fucile mitragliatore in uso alle forze dell’ordine (capi O e P).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia articolando cinque motivi che si illustrano nei limi necessari per la motivazione, come previsto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen per mancata declaratoria di inefficacia del provvedimento restrittivo emesso nei confronti di NOME COGNOME COGNOME non avendo il Pubblico Ministero trasmesso al Tribunale per il riesame gli atti di indagine fondanti la richiesta di misura cautelare (ivi compresi quelli relativi ai verbali della attività intercettazione, autorizzata ed eseguita in corso di indagini).
La stessa ordinanza impugnata dà conto di tale mancata trasmissione e di avere “ricercato” gli atti in questione in altro fascicolo e cioè in quello relativo a diversa e separata procedura cautelare instaurata a seguito di istanza di riesame avanzata dal coindagato NOME COGNOME
2.2. Con il motivo denominato 1 bis si deduce- così si legge testualmente nel ricorso – “nullità” ai sensi dell’art. 178 lett. c) cod. proc. pen per violazione diritto di difesa a seguito della mancata messa a disposizione della difesa, nonostante specifica richiesta, dei filmati (video Ros 4/24) estratti dalla telecamera di sorveglianza installata nei pressi del condominio ove, in tesi accusatoria, si era svolta l’attività di spaccio di stupefacenti che aveva visto coinvolto anche l’odierno ricorrente.
2.3. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 335 e 414 cod. proc. pen. con conseguente inutilizzabilità degli atti di indagine relativi all contestazioni sub capi A) e D) in quanto raccolti nell’ambito di procedimenti Modello 44 iscritti a carico di soggetti ignoti, definiti con provvedimento di archiviazione a cui aveva fatto seguito l’iscrizione a modello 21 a carico di persone
note senza il necessario e preventivo decreto del giudice di riapertura delle indagini previsto dall’art. 414 del codice di rito.
2.4. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 292 cod. proc. pen. in quanto l’ordinanza genetica applicativa della misura non contiene una autonoma valutazione in punto di gravi indizi di colpevolezza, ma si limita ad un ” copiaincolla” della richiesta del Pubblico Ministero, sicchè il Tribunale del riesame avrebbe dovuto procedere all’annullamento di tale provvedimento restrittivo.
2.5. Con il quarto motivo si deduce la violazione la violazione degli artt. 273 cod. proc. pen , 110, 628, 629, 648 cod. pen., 73 Dpr 309/90, 10 e 14 legge 497/1974 in punto di giudizio di gravità indiziaria e, dunque, di sussumibilità della condotta dell’odierno ricorrente nello schema legale delle fattispecie contestate in imputazione provvisoria, nonché il vizio di motivazione.
Con riferimento agli addebiti di cui ai capi A-C-D- F- G- (è richiamato anche il capo sub E) che, tuttavia, non risulta oggetto del titolo cautelare emesso a carico dell’odierno), si deduce:
-che non vi è prova della esistenza dell’oggetto del reato e della ricezione e conseguente detenzione della sostanza stupefacente in capo all’indagato, dunque della necessaria offensività della condotta;
-che, quanto all’addebito sub A), il Tribunale ha omesso di individuare il contributo concorsuale offerto da COGNOME in assenza del quale si configura, al più, la mera connivenza non punibile;
-che, quanto all’addebito sub C), che attribuisca a COGNOME è il ruolo di cessionario di sostanza stupefacente, unitamente ai coindagati COGNOME e COGNOME, il Tribunale non ha identificato la condotta contestata a costui mancando ogni riferimento, nella motivazione dell’ordinanza impugnata, alla data del presunto acquisto da fornitori, alle modalità dell’accordo e al prezzo.
Il collegio della cautela ha valorizzato la conversazione telefonica n. 171 del 7 marzo 2024 (ritenuta dimostrativa della vendita e del contributo causale reso da Soto Rojas) che, tuttavia, è postuma rispetto alla data della transazione la quale, in tesi accusatoria, si sarebbe perfezionata in epoca antecedente al 2 marzo e che, in ogni caso, dà comunque conto di come il cessionario si identifica in una sola persona.
Il tessuto motivazionale finisce, dunque, per essere non solo carente ma anche illogico e frutto di travisamento in quanto attribuisce rilievo- sul piano della gravit indiziaria per il reato di cui al capo C) – a dati che vanno in senso diametralmente opposto.
-che, quanto agli addebiti D), F) e G), la condotta non risulta individuata; -che, quanto ai capi K), L), O) e P), le emergenze investigative “militano per una significatività storica in contrasto con quanto ritenuto dal Tribunale” e, con
riferimento in particolare al capo L), la “narrazione della persona offesa costituisce la prova contraria della sussistenza della gravità indiziaria”, così testualmente si legge nel ricorso.
Con memoria depositata in data 05/06/2025, qualificata dalla stessa difesa come esposizione a sostegno del ricorso e di replica alle conclusioni scritte dei Procuratore Generale, si deduce che il Tribunale ha sussunto le vicende relative alla violazione della legge stupefacenti nello schema legale dell’art. 73 Dpr 309/90, pur in assenza dell’accertamento relativo alla esistenza dell’oggetto del reato, alla effettiva realizzazione della trattativa e della cessione, oltre che della reale messa in vendita della sostanza stupefacente, così violando i principi di determinatezza e di offensività tutelati dall’art. 25 Cost., dall’art. 7 CEDU, dagli artt. 49 e 52 de Carta di Nizza, avendo il collegio della cautela “anticipato la soglia di lesività sociale alla mera intenzione priva dell’oggetto del reato”.
Si sollecita pertanto questa Corte, così si legge testualmente nella memoria, “a procedere ad una interpretazione secondo il principio di legalità e quindi ad ancorare la condotta alla certa esistenza della sostanza stupefacente; in via alternativa si chiede che venga sollevata questione di costituzionalità dell’art. 73 Dpr 309/90 con riferimento agli art. 24, 3, 117 Cost. e all’art. 7 CEDU, ovvero questione di pregiudizialità per violazione della normativa interna con l’art. 7 CEDU
2.6. Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 275 e 309, comma 9, cod. proc. pen. per non avere il Tribunale annullato l’ordinanza genetica applicativa della custodia in carcere per assenza grafica di motivazione in ordine al profilo di adeguatezza della misura cautelare applicata e della inidoneità di altre meno afflittive e per avere, invece, supplito a tale vizio di nullità confezionando una motivazione ex novo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte ha più volte affermato , anche recentemente, il principio, che il collegio condivide e ribadisce, secondo cui l’obbligo per l’autorità giudiziaria procedente di trasmettere al tribunale del riesame gli atti posti a fondamento dell’ordinanza impositiva di una misura coercitiva può essere adempiuto anche comunicando la loro avvenuta trasmissione per analoghe procedure precedentemente svolte, purché in tale comunicazione siano specificati gli estremi delle procedure medesime e gli atti siano ancora depositati presso la cancelleria del tribunale del riesame, onde consentirne l’agevole individuazione e
consultazione (Sez. 3, n. 12485 del 28/01/2025, COGNOME, Rv. 287813; Sez. 3, n. 49417 del 02/12/2009, COGNOME, Rv. 246007; Sez. 1, n. 5046 del 13/07/2000, COGNOME, Rv. 217010; Sez. 1, n. 4306 del 17/10/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218443-01; Sez. 3, n. 1455 del 20/04/1999, COGNOME, Rv. 213759; Sez. 1, n. 1100 del 08/02/1999, COGNOME, Rv. 212965); in particolare, nel caso di procedimenti con più indagati, quale è appunto quello odierno, la disposizione di cui al comma 5 dell’art. 309 cod. proc. pen. si deve ritenere osservata allorché gli atti siano stati trasmessi a tale autorità a seguito di altra precedente richiesta d riesame avanzata da coimputati e il Pubblico Ministero comunichi che gli atti si trovano presso il medesimo tribunale, in quanto, appunti, già trasmessi relativamente al procedimento di riesame concernente un altro indagato.
Nel caso di specie, facendo buon governo dei canoni ermeneutici sopra indicati, il collegio della cautela ha evidenziato che gli atti di cui la difesa ave lamentato l’omessa trasmissione erano tutti contenuti nel fascicolo informatico Tiap che il Pubblico Ministero, con propria nota, comunicava di avere già inviato gli stessi il 27/01/2025 relativamente al procedimento di riesame TL 84/2025 concernente il coindagato NOME COGNOME ha altresì precisato che in tale CD erano contenuti gli atti fondanti l’applicazione della misura cautelare e cioè l’informativa finale del 24/06/2024 (con relativi allegati, tra cui gli esiti della attività capta di cui erano trascritti ampi stralci), le annotazioni di polizia giudiziaria c riguardavano gli addebiti in materia di armi e di rapina, i sotto fascicoli contenenti i decreti di autorizzazione alle operazioni di intercettazione telefonica e di proroga, unitamente alle richieste del Pubblico Ministero e alle informative di polizia giudiziaria a supporto delle stesse, nonché i provvedimenti di autorizzazione al ritardato deposito.
Va pertanto esclusa la lamentata trasmissione di atti rilevanti ai sensi del combinato disposto dei commi 5 e 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. che la difesa ricorrente lamenta anche in questa sede, senza in alcun modo confrontarsi con le compiute e corrette argomentazioni sviluppate nell’ordinanza impugnata (pagg. da 5 a 7) ove si evidenzia che, nella nota di trasmissione della Procura della Repubblica di Velletri, era stato puntualmente indicato il procedimento (e, quindi, anche il “luogo”) nel quale gli stessi atti erano contenuti.
Nessun rilievo, pertanto, assume la circostanza che i medesimi non fossero fisicamente inseriti nel fascicolo relativo al presente procedimento, atteso che l’inefficacia si produce esclusivamente nel caso in cui gli atti non pervengano al tribunale entro il quinto giorno, ovvero non se ne conosca la collocazione.
L’indicata nota della Procura della Repubblica di Velletri assicurava pertanto al difensore la possibilità di esercitare appieno il proprio ministero e di garantire, conseguentemente, una piena “assistenza” all’indagato.
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Quanto alla lamentata mancata trasmissione dei verbali ex art. 268, comma 1, cod. proc. pen., premesso che il procedimento penale a carico dell’odierno ricorrente è stato iscritto in data successiva al 31/08/2020, correttamente il collegio della cautela ha evidenziato che essi erano depositati presso l’archivio di cui all’art. 269, comma 1, cod. proc. pen., con facoltà del difensore di accedere allo stesso archivio e di ascoltare le conversazioni registrate, successivamente al deposito, non essendovi un obbligo specifico di allegare i suddetti verbali alla richiesta di misura cautelare e neppure di trasmetterli al tribunale del riesame, atteso che, a norma del comma 5 dell’art. 309 cod. proc. pen., a tale autorità devono essere trasmessi solo gli atti posti a fondamento della richiesta di misura.
Manifestamente infondato, oltre che del tutto generico è anche il secondo profilo di censura che attiene alla mancata messa a disposizione della difesa, che ne aveva fatto richiesta, delle immagini registrate dalla telecamera Ros 4/24.
L’ordinanza impugnata (pagg. da 9 a 12) ha escluso la lamentata violazione del diritto di difesa con richiamo ad una serie di circostanze che il ricorso qui proposto non contesta minimamente nella loro obiettiva consistenza, pur reiterando ugualmente il denunciato vulnus, così finendo per palesarsi sul punto del tutto a-specifico.
Il Tribunale del riesame ha infatti osservato come – a fronte della richiesta difensiva di visione dei filmati – il Pubblico Ministero aveva fornito in dat 28/01/2025, tramite PEC, risposta scritta comunicando al legale che le conversazioni intercettate, ugualmente richieste, erano a disposizione per il ritiro, mentre per la visione dei filmati, da effettuarsi presso la polizia giudiziaria occorreva inoltrare specifica richiesta alla propria segreteria; tale istanza, tuttavia era stata formulata irritualmente (cioè utilizzando il diverso canale del portale deposito atti penali) ed anche tardivamente perché proposta a distanza di ben quindici giorni dalla esecuzione della misura coercitiva e due giorni dopo la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza per la trattazione dell’istanza di riesame.
Si tratta di un argomentare del tutto conforme ai principi declinati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di misure cautelari personali, la difesa che deduca la nullità di ordine generale a regime intermedio per non aver ottenuto l’accesso ai supporti magnetici o informatici contenenti le registrazioni di conversazioni telefoniche o di riprese audiovisive, utilizzate per l’emissione di una misura cautelare personale, è gravata dal duplice onere di provare sia la tempestiva richiesta rivolta al pubblico ministero, esplicitamente finalizzata all’utilizzo dei supporti in vista del giudizio di riesame, sia l’omesso o il ritard rilascio della documentazione richiesta (Sez. 2, n. 51935 del 28/09/2018, COGNOME, Rv. 275065; Sez. 4 n. 29645 del 20.4.2016, Ragusa, in motivazione; Sez. 2 n. 43772 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257304).
In applicazione di tali principi, al di là del profilo di tempestività o meno dell richiesta di accesso, deve escludersi che, nella fattispecie in esame, possa configurarsi un “ingiustificato ritardo” addebitabile al Pubblico Ministero rispetto alla evasione dell’istanza medesima.
3.Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
Del tutto insussistente è la dedotta violazione degli art. 335 e 314 doc. proc. pen. con conseguente inutilizzabilità degli atti di indagine afferenti gli addebiti d imputazione provvisoria sub A) e D) in quanto contenuti nell’ambito di due procedimenti iscritti a carico di ignoti e poi definiti con provvedimento di archiviazione per i quali non era stato emesso il necessario decreto di riapertura indagini da parte del Giudice per le indagini preliminari.
La doglianza poggia su un presupposto di fatto del tutto erroneo e cioè sulla supposta intervenuta archiviazione dei procedimenti a carico di ignoti n. 4951/24 e n. 4554/24.
Come è stato rilevato dal Tribunale – e come è stato riscontrato anche dal Collegio – i “provvedimenti” di archiviazione dei suddetti procedimenti depositati dalla difesa dell’indagato (documenti n. 3 e 5 introdotti nella procedura camerale) erano atti giuridicamente inesistenti in quanto mere fotocopie delle copertine interne in uso alla procura della Repubblica per le iscrizioni a carico di ignoti recanti un modello di richiesta di archiviazione con in calce il decreto di archiviazione del giudice per le indagini preliminari che erano privi di data e di sottoscrizione sia del Pubblico Ministero che del Giudice. Tale circostanza fattuale non è minimamente confutata nel ricorso (pagine 23-25) che si limita a reiterare sic et simpliciter la censura di violazione degli art. 335 e 414 cod. proc. pen.
Del resto, il Tribunale del riesame ha evidenziato che , dopo l’instaurazione di un primo procedimento a modello 44 per il ferimento di NOME COGNOME avvenuta la notte del capodanno 2024, si procedeva in data 15/02/2024 e senza alcuna soluzione di continuità ma con un passaggio del fascicolo da “ignoti” a “noti”, alla iscrizione nel registro degli indagati di vari soggetti, tra i quali anche NOME COGNOME poiché le indagini svolte avevano dato conto di come tale evento violento fosse maturato nell’ambito di un contrasto per la spartizione del territorio insorto tra due gruppi contrapposti dediti allo spaccio di stupefacenti ( di cui uno facente capo proprio all’odierno ricorrente); le successive captazioni, accompagnate da ulteriori proficue investigazioni, facevano emergere via via le ulteriori ipotesi di reato oggetto delle imputazioni provvisorie.
Va, in ogni caso, ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato il principio che, nel procedimento contro ignoti, non è richiesta l’autorizzazione del Giudice alla riapertura delle indagini dopo il provvedimento di
archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato, in quanto il regime autorizzatorio prescritto dall’art. 414 cod. proc. pen. è diretto a garantire l posizione della persona già individuata e sottoposta a indagini, mentre nel procedimento contro ignoti l’archiviazione ha la semplice funzione di legittimare il congelamento delle indagini, senza alcuna preclusione allo svolgimento di ulteriori, successive attività investigative, ricollegabili direttamente al principi dell’obbligatorietà dell’azione penale (Sez. U, n. 13040 del 28/03/2006, in proc. contro ignoti, Rv. 233198, successivamente Sez. 2, n. 42655 del 13/10/2015, Sabato, Rv. 265128; Sez. 1, n. 42518 del 14/07/2022, COGNOME, Rv. 283686).
4. Analoga manifesta infondatezza si ravvisa con riferimento al terzo motivo di ricorso che, peraltro, presenta anche evidenti profili di genericità reiterando in questa sede la doglianza (ampiamente disattesa dal giudice della cautela) relativa alla tecnica del “copia-incolla” utilizzata, in punto di gravi indizi di colpevolezz nell’ordinanza cautelare genetica della quale, pertanto, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto dichiarare la nullità.
Da tempo i giudici di legittimità hanno chiarito che l’ordinanza cautelare deve possedere un chiaro contenuto indicativo della concreta valutazione della vicenda da parte del giudicante, con la conseguenza che si deve ritenere nulla, ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen., il provvedimento privo di motivazione o con motivazione meramente apparente poiché non esplicativa dell’apprezzamento del materiale indiziario; si è precisato che l’onere di necessaria autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza (come anche della sussistenza di esigenze cautelari) è adempiuto anche quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto; tuttavia, in presenza di posizioni analoghe o di imputazioni descrittive di fatti commessi con modalità “seriali”, non è necessario che il giudice ribadisca ogni volta le regole di giudizio alle quali si è ispirato, potendo ricorrere a una valutazione cumulativa purché, dal contesto del provvedimento, risulti evidente la ragione giustificativa della misura in relazione ai soggetti attinti e agli addebiti, di volt volta, considerati per essi sussistenti (Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, Vizzì, Rv. 273658; Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016, COGNOME, Rv. 267350; Sez. 6, n. 40978 del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 264657).
Posti tali principi, questa Corte ha affermato che sussiste il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura qualora questo sia assistito da una motivazione che enunci
le ragioni della cautela, anche in forma stringata ed espressa per relationem in adesione alla richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione del tutto priva di vaglio critico dell’organo giudicante mancando, in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti (Sez. 6, 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272596; Sez. 5, n. 3581 del 15/10/2015, dep. 2016, 13 RAGIONE_SOCIALE, Rv. 266050; Sez. 3, n. 49175 del 27/10/2015, COGNOME, Rv. 265365).
È stato inoltre statuito che il ricorrente per cassazione che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274760) ed è tenuto anche ad allegare al ricorso il provvedimento genetico e la richiesta del pubblico ministero, nella loro integralità, onde consentire al giudice di legittimità il vaglio della censura (Sez. 3 n. 10400 del 19/11/2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 287827).
Il Tribunale del riesame, in aderenza a tali indicazioni ermeneutiche che questo collegio ribadisce, ha correttamente escluso (pagg. 8 e 9) che la motivazione dell’ordinanza genetica fosse mancante o meramente apparente, cioè priva dell’autonoma valutazione degli indizi e semplicemente adesiva della richiesta cautelare.
Posto che la violazione della prescrizione della necessaria autonoma valutazione, da parte del giudice, determina una violazione di legge processuale da parte del provvedimento, che legittima la Corte di cassazione a un accesso diretto allo stesso, divenendo essa, in tali casi, giudice del fatto (Sez. 6, n. 53940 del 19/09/2018, COGNOME, Rv. 274584-01), l’esame dell’ordinanza geneticaacquisita da questa Corte- consente di affermare che essa non rappresenta il cosidetto “copia-incolla” della richiesta del Pubblico Ministero, ma contiene non solo una ricostruzione delle risultanze investigative ma- quel che più rilevaproprie considerazioni sia in punto di valutazione del materiale indiziario sia in punto di diritto, all’esito delle quali è stata anche esclusa la sussistenza del requisito di cui all’art. 273 cod. proc. pen. con riferimento ad alcuni capi di incolpazione.
Con tali peculiari connotazioni, obiettivamente esistenti come evidenziato dal collegio della cautela, la difesa non si confronta limitandosi nel presente ricorso (al quale non sono neppure compiegati il provvedimento genetico e la richiesta cautelare) ad esporre astratti principi di diritto in tema di autonoma valutazione da parte del giudice dei gravi indizi di colpevolezza (pagine da 26 a 32) e ad
affermare apoditticamente l’assenza di tale critico approccio per quanto concerne la posizione dell’indagato ” Policella” e cioè una persona fisica diversa dall’odierno ricorrente (32 e 35), nulla è indicato, del resto, in merito agli specifici aspetti de motivazione affetti dalla dedotta omissione e alla loro concreta incidenza causale sulla determinazione cautelare.
Il quarto motivo di ricorso non è consentito e, in ogni caso, è privo di specificità in relazione a plurimi profili.
Si deduce la violazione la violazione degli artt. 273 cod. proc. pen , 110, 628, 629, 648 cod. pen., 73 Dpr 309/90, 10 e 14 legge 497/1974 in punto di giudizio di gravità indiziaria e, dunque, di sussumibilità della condotta dell’odierno ricorrente nello schema legale delle fattispecie contestate in imputazione provvisoria, nonché il vizio di motivazione.
Ritiene il Collegio – in ragione della natura delle doglianze proposte – di dover chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti restritti della libertà personale.
Allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazion alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice della cautela abbia dato adeguatamente conto delle ragioni sulle quali si fonda l’affermazione di gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza del relativo costrutto argomentativo rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze investigative le quali non devono, tuttavia, assurgere a prova del reato ma è sufficiente siano idonee a fondare una qualificata probabilità di colpevolezza (SU n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 sulla cui scia si pongono, ex multis, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Ne consegue che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non concerne, invece, né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti dichiarative e la rilevanza e concludenza dei dati investigativi, onde sono inammissibili quelle doglianze che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice della cautela.
Tanto premesso, si deve rilevare in primo luogo rilevare la totale assenza di specificità in ordine alle censure in punto di gravità indiziaria dedotte con riferimento agli addebiti in materia di armi ( capi K), O) e P) rispetto ai quali l difesa ricorrente non ha articolato alcunchè, limitandosi a sostenere che ” le emergenze investigative militano per una significatività storica in contrasto con quanto ritenuto dal Tribunale” (pag. 48 del ricorso).
Altrettanto generica è la doglianza prospettata in relazione al delitto di rapina (capo L) laddove si sostiene che “la narrazione della persona offesa costituisce la prova contraria della sussistenza della gravità indiziaria” (pag. 35 del ricorso), così obliterando totalmente il giudizio formulato dal collegio della cautela che non ha desunto il requisito di cui all’art. 273 cod. proc. pen. dalle dichiarazioni dell vittima ( NOME COGNOME aveva giustificato con una caduta accidentale le lesioni derivate dall’azione predatoria), bensì dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali da cui emergeva che NOME COGNOME aveva in prima persona ideato, pianificato e diretto la realizzazione della rapina in danno di costui, materialmente commessa da altri.
Le censure dedotte in relazione agli addebiti A) e C) attinenti alla violazione legge stupefacenti si risolvono nell’evidenziare non già violazioni di legge o vizi motivazionali tali da inficiare la logica argomentativa dell’ordinanza impugnata, ma semplicemente nel sollecitare una rilettura e rivalutazione degli elementi indiziari posti a fondamento della misura coercitiva, non proponibili in questa sede.
Con riferimento al capo A) di incolpazione provvisoria, diversamente da quanto mostra di ritenere la difesa ricorrente, il Tribunale del riesame (pagine da 14 a 23 dell’ordinanza impugnata) ha reso puntuale motivazione, del tutto logica e coerente, nonché conforme alle regole che disciplinano il concorso di persone nel reato, differenziandolo dalla ipotesi di connivenza non punibile.
Il collegio ha letto ed interpretato plurimi dati investigativi, correttamente coordinandoli tra loro, ritenuti significativi, ove considerati nella loro globalità, fatto che NOME COGNOME aveva organizzato e diretto – unitamente al cognato COGNOME che era ristretto nel carcere di Velletri e con il quale comunicava tramite cellulare introdotto nell’istituto – una fiorente piazza di spaccio di stupefacenti; h evidenziato, in particolare, che l’indagato era stato costantemente presente in tale luogo ( come registrato dalle telecamere ivi installate), si era occupato dei turni affidati ai pusher e dei compensi a loro spettanti, era stato destinatario dei proventi dell’illecito commercio che aveva avuto ad oggetto varie tipologie di sostanze (come attestato dall’attività captativa).
Pur avendo il Tribunale delineato un quadro completo componendo sinergicamente le risultanze investigative (anch’esse puntualmente richiamate nel loro contenuto intrinseco), la difesa ricorrente non confuta minimamente
l’obiettiva esistenza dei dati indiziari valorizzati nell’ordinanza impugnata e neppure la logicità della lettura che ad essi è stata attribuita, limitandosi ad affermare del tutto apoditticamente che il Tribunale avrebbe omesso di “individuare il contributo concorsuale dell’agente attivo” ( pag. 44 del ricorso), senza aggiungere alcunchè.
Quanto al capo C) di incolpazione, in primo luogo la difesa ricorrente svolge deduzioni che muovono da una erronea ricostruzione dell’addebito contestato e cioè attribuisce a COGNOME la condotta di “cessionario” di 20 chilogrammi di sostanza stupefacente (pag. 46 del ricorso), quando invece, l’imputazione provvisoria, configura in capo all’indagato il diverso ruolo di cedente ed in tal senso il Tribunale del riesame ha statuito.
L’atto di impugnazione censura poi la valorizzazione, da parte del Tribunale, colloquio intercettato n. 171 del 7 marzo 2024 deducendone la irrilevanza perché intercorso in data successiva alla contestata transazione illecita di droga che nell’incolpazione provvisoria si assume realizzata in epoca antecedente al 2 marzo 2024.
Tuttavia il giudizio di gravità indiziaria trova fondamento in una conversazione (valutata unitamente alle riprese registrate dalla telecamera installata in corso di indagini presso il luogo di spaccio) che, innanzitutto, è diversa ( si tratta del progr 178 RIT 111/24 portante la data dell’ 8 marzo) e che, seppure postuma, contiene la descrizione- descritta dallo stesso COGNOME al suo interlocutore- della vendita da lui effettuata alcuni giorni prima di una partita di 20 chilogrammi di hashish (per il corrispettivo di sessantamila euro) a tre soggetti, successivamente tratti in arresto proprio nel possesso di tale quantitativo (pagg. 23-25 dell’ordinanza impugnata).
Le doglianze difensive prospettate in ordine all’addebito di cui al capo C) sono pertanto, da un lato, inconferenti laddove si prospetta che il Tribunale avrebbe valorizzato una conversazione che, invece, non risulta posta a fondamento del giudizio di gravità indiziaria e, dall’altro, prive di effettivo confronto con il r contenuto del diverso dato captativo, come richiamato dal collegio.
Manifestamente infondate sono poi le ulteriori generali argomentazioni svolte nel ricorso in relazione a tutte le imputazioni aventi ad oggetto la violazione legge stupefacenti con le quali si deduce che non vi sarebbe prova della esistenza dell’oggetto del reato, nonché della effettiva ricezione e conseguente detenzione di droga in capo a Soto Rojas, con conseguente difetto della necessaria offensività in concreto della condotta che, in relazione al reato di cui all’art. 73 del d.p.r. 309 del 1990, implica anche la necessità di verificare l’idoneità della sostanza a produrre in concreto un effetto drogante.
E’ principio consolidato che, ai fini della configurabilità di una delle condotte contemplate nell’art. 73 del d.p.r. n. 309 del 1990, non è indispensabile un accertamento peritale della qualità e quantità della sostanza (che sarebbe impossibile nel caso in cui non si sia proceduto al sequestro), ben potendo essere valorizzati altri elementi indiziari che si rivelino univocamente indicativi dell effettiva esistenza della stessa, della sua entità e tipologia.
L’ordinanza impugnata, per ciascuno dei capi di incolpazione aventi ad oggetto la detenzione e cessione di stupefacente ed attinti da titolo cautelare, argomenta diffusamente in ordine alla effettiva esistenza dei quantitativi di droga detenuti e commercializzati dal gruppo gestito e diretto in prima persona dall’odierno ricorrente che, in alcune occasioni, sono anche stati materialmente sequestrati.
Più in particolare, quanto al capo A) il Tribunale del riesame ha osservato come le videoriprese installate presso la piazza di spaccio avevano attestato gli scambi droga – denaro con gli acquirenti effettuati dai pusher incaricati, mentre le operazioni di intercettazione eseguite all’interno dei veicoli in uso a Soto Rojas e NOME COGNOME avevano addirittura consentito, anche proprio per bocca dell’odierno ricorrente, di individuare la tipologia dello stupefacente (crack e cocaina), il quantitativo di volta in volta in volta ceduto, il prezzo praticato numero delle dosi ragionevolmente vendute quotidianamente e il volume d’affari complessivo, stimato in circa 4.000,00 euro al giorno.
Quanto al capo C), già si è ricordato che la valutazione sinergica della conversazione intercettata progr. 178 del giorno 8 marzo 2024 e delle videoriprese avevano consentito di ricostruire perfettamente la transazione illecita contestata con riferimento alla esistenza ed entità dello stupefacente venduto (in quanto materialmente sequestrato agli acquirenti), al prezzo praticato, e alla previa ricezione dello stesso da parte proprio di COGNOME il quale aveva poi incaricato NOME e COGNOME di consegnarlo ai compratori.
Analogamente deve dirsi in relazione agli addebiti sub D) ed F) aventi ad oggetto l’introduzione all’interno del carcere di quantitativi di cocaina ed hashish che personale della Polizia Penitenziaria trovava in possesso dei soggetti incaricati da COGNOME di accedere all’istituto di detenzione per consegnarli al destinatario.
Quanto, infine, al capo G), significativi sono gli esiti della perquisizion dell’appartamento posto nell’immobile monitorato dalle telecamere, ed ove si recavano abitualmente gli acquirenti di droga, che portava al materiale rinvenimento di stupefacente e di tutto l’occorrente per la preparazione di singole dosi, necessari e funzionali alla gestione della piazza di spaccio.
Il Tribunale del riesame, ben diversamente da quanto prospettato nel ricorso, ha quindi àncorato il giudizio di gravità indiziaria alla certa esistenza della sostanza stupefacente per ciascuna delle ipotesi di detenzione e cessione a terzi contestate
a Soto COGNOME, con conseguente corretta verifica della offensività in concreto della condotta che è stata precisamente determinata.
A ciò consegue la manifesta irrilevanza, nel caso di specie, della prospettata questione di costituzionalità e della sollecitata rimessione pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea che peraltro sono state prospettate non nel ricorso principale ma solo con la memoria difensiva depositata in data 5/06/2025 ed espressamente qualificata in termini di “memoria di replica a sostegno del ricorso”
In ogni caso, anche a volere interpretare tale censura quale motivo aggiunto, la stessa è inammissibile a mente dell’art. 585, comma 4, ultimo periodo, cod. proc. pen. perché, come sin qui illustrato, è tale il quarto motivo del ricorso principale concernente il giudizio di gravità indiziaria.
In tale senso è anche la giurisprudenza di legittimità secondo cui l’inammissibilità di un motivo del ricorso principale, cui si colleghi un motivo aggiunto, travolge quest’ultimo anche nel caso ( peraltro non ricorrente nella specie) in cui il ricorso principale contenga altri motivi fondati e comunque non inammissibili (Sez. 5 n. 2910 del 04/12/2024- dep. 2025, COGNOME, Rv. 287482; Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275158; Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262343).
Manifestamente infondato è, infine, il quinto motivo di ricorso con il quale si deduce l’assenza grafica di motivazione dell’ordinanza genetica in punto di adeguatezza della misura carceraria applicata e di inidoneità di cautele meno afflittive che il Tribunale del riesame avrebbe dovuto, pertanto, annullare.
Vanno preliminarmente richiamati, al riguardo, i principi di diritto esposti al paragrafo 4 del considerato in diritto e va ricordato che, a seguito delle modifiche che sono state apportate all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., dall’art. 3 della legge n. 47 del 2015, incombe sul giudice che emette o conferma, sia pure in sede di impugnazione, un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere il dovere di esplicitare specificamente le ragioni per le quali sono inadeguate le altre misure coercitive e interdittive (Sez. 3, n. 842 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265964).
Tanto premesso, le ragioni sottese alla scelta della misura da applicare in capo a COGNOME sono state espressamente esplicitate nell’ordinanza genetica (si vedano le pagine da 67 a 69), sicchè del tutto priva di pregio è la doglianza difensiva che denunzia l’assenza grafica di motivazione al riguardo.
Il collegio della cautela (pagine da 62 a 65 dell’ordinanza impugnata) non ha dunque integrato una motivazione graficamente assente, ma ha ritenuto corretta tale espressa valutazione evidenziando, in primo luogo, la caratura criminale di Soto Rojas, dedotta dal ruolo direttivo da questi ricoperto nella gestione di una
piazza di spaccio, dalla spregiudicata condotta di introduzione all’interno del carcere di Velletri di telefoni cellulari e di sostanza stupefacente, dalla disponibilità
di armi e dalle condotta violenta da lui ideata e progettata in danno di un pusher che doveva essere “punito” perché non vendeva abbastanza.
Tale profilo di elevata pericolosità sociale, unitamente al ravvisato pericolo di inquinamento probatorio, rendeva necessaria la misura carceraria come l’unica
idonea a garantire le esigenze cautelari sussistenti, anche in considerazione dei legami e contatti dell’indagato con l’estero, come desumibile da un episodio di
importazione di stupefacente dalla Spagna, e con fornitori la cui identità era rimasta occulta.
Si tratta di un costrutto motivazionale privo di contraddizioni e di illogicità
manifeste che, in quanto tale, si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
7. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore
della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende Così deciso il 02/07/2025