Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28586 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28586 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 12/12/2004
avverso l’ordinanza del 16/01/2025 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME; lettehserrtin le conclusioni del PG NOME COGNOME eiL – e – ) Le- e, (-‘n C.-kl er 0 (k, n GLYPH k) GLYPH(1,2 1 /)-0 i e, cA GLYPH , ),), 5( 2,-) Q- GLYPH ff -Q- GLYPH cyt-,9 GLYPH .e.,1 Q- eco z. vs/ z.’. GLYPH ev( ( n -k” GLYPH
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME avverso l’ordinanza in data 30/12/25 del G.i.p. del Tribunale di Crotone, con cui veniva applicata al suddetto la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al delitto di tentato omicidio di NOME COGNOME commesso il 25 dicembre 2024 in Crotone dal medesimo in concorso con altri tre stranieri, altresì indagati.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME tramite il suo difensore, deducendo vizio di motivazione in ordine ai profili di gravità indiziaria, anche come travisamento dei fatti, e alle esigenze cautelari.
Rileva il difensore di avere sostenuto l’assoluta inattendibilità della persona offesa, sulle cui dichiarazioni si fonda il compendio indiziario.
Osserva che rispetto alla vicenda per cui si procede vi è un episodio antecedente, accaduto il giorno prima, nel quale la presunta persona offesa aveva aggredito l’indagato NOME COGNOME verbalmente e NOME COGNOME anche indagato, pure con un coltello.
Aggiunge che il giorno del fatto COGNOME e COGNOME su iniziativa di quest’ultimo, si davano appuntamento ad un chiosco e, dopo un’accesa discussione verbale tra i due, il secondo aggrediva anche altri stranieri avvicinatisi con un coltello, che reagivano inseguendolo, ancora armato, e colpendolo solo con qualche pugno e calcio.
Rileva che non vi è stata una aggressione degli attuali quattro indagati, ivi compreso il ricorrente, bensì di una violenta aggressione da parte di NOME che, durante la concitazione, è stato ferito non gravemente da ignoto. Osserva che il ferimento della persona offesa non è stato grave, tanto che dopo tre giorni era di nuovo intenta alle sue attività.
Aggiunge che ad escludere i gravi indizi di colpevolezza è la circostanza che il giubbotto di NOME COGNOME altro indagato, è stato lacerato da due coltellate, e che, comunque, gli indagati si sono presentati spontaneamente in Questura riferendo di essere stati aggrediti.
Sottolinea che la presunta persona offesa non è credibile, che le sue sole dichiarazioni non possono fondare la gravità indiziaria e che non vi sono elementi per ritenere che la aggressione sia stata premeditata, che NOME COGNOME sia stato aggredito da NOME COGNOME con un corpo
tagliente e in testa dal ricorrente, che non era assolutamente presente al momento della aggressione e che sopravveniva soltanto nel corso dell’inseguimento accodandosi, poi, agli altri inseguitori, circostanza rilevabile dai filmati.
Aggiunge che, per come sono andati i fatti, non si può escludere che la ferita al costato sia dipesa da una caduta durante la fuga o da un ferimento causato dal coltello che NOME continuava ad avere nelle proprie mani e che la ferita alla testa di quest’ultimo possa essere derivata da una bottigliata. Rileva una grave carenza delle indagini, che non hanno considerato che l’inseguimento era finalizzato a disarmare la presunta persona offesa.
Osserva, infine, che non sussiste un pericolo di inquinamento probatorio, avendo l’indagato tutto l’interesse a far emergere la verità, né un pericolo di reiterazione; e che su entrambi la motivazione è con formule di stile.
La difesa insiste, alla luce delle suddette censure, per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede il rigetto del ricorso, mentre l’avv. NOME COGNOME per COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso con ogni effetto conseguenziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
In riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di misure cautelari personali, va premesso che questa Corte è priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie ( tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del
03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, COGNOME, Rv. 221001; Sez. Un., n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828), avuto, altresì, riguardo alla diversità di oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e qualificata probabilità di colpevolezza dell’indagato, rispetto a quella demandata al giudizio di merito, che è intesa invece all’acquisizione della certezza processuale della colpevolezza dell’imputato (Sez.1, n.1951 dell’1/04/2010, Rv.247206).
Orbene, la motivazione dell’ordinanza impugnata, che si salda a quella dell’ordinanza genetica, componendo insieme ad essa un unico e coerente corpo argomentativo, procede ad una valutazione completa e logica di tutto il materiale investigativo, in una visione di insieme, confrontandosi con le censure mosse dalla difesa ed in parte riproposte in questa sede ed argomentando, in modo non manifestamente illogico, sia sui gravi indizi di colpevolezza in ordine al suddetto reato sia sulle esigenze cautelari ravvisabili nella specie.
Osserva, invero, il Tribunale del riesame, a parte l’irrilevanza della lite del giorno prima, in alcun modo celata da NOMECOGNOME ai fini della valutazione del tentato omicidio per cui si procede, come niente affatto contraddittoria risulti la versione resa dal suddetto, avendo il dichiarante fornito una ricostruzione degli accadimenti sostanzialmente coerente in merito all’aggressione subita. Rileva che l’affidabilità delle dichiarazioni della persona offesa, che possono, comunque, secondo una costante giurisprudenza di legittimità, essere poste anche da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, è anzitutto comprovata dalla coerenza interna del racconto, che si snoda attraverso una prima escussione resa nell’immediatezza dei fatti e una seconda contenente specificazioni e precisazioni di rilievo, resa due giorni dopo. Sottolinea come la persona offesa abbia descritto in modo dettagliato i fatti, ricostruendo gli antecedenti e gli eventi occorsi in data 25 dicembre 2024, con puntuale indicazione dei nomi e dell’abbigliamento di alcuni dei presenti, per poi procedere al riconoscimento fotografico dei protagonisti della vicenda. E come nel dettaglio NOME abbia sostenuto sostanzialmente di avere acconsentito a partecipare ad un incontro richiestogli da NOME COGNOME per chiarire alcuni contrasti, riferendo di essere ivi giunto e avere notato che oltre al suddetto erano presenti altri quattro cittadini stranieri di sua conoscenza, e di essere stato ferito, durante la discussione da COGNOME e da NOME COGNOME rispettivamente alla
testa e al costato con qualcosa di tagliente e, inoltre, con calci e pugni unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME
Evidenzia come la lettura del narrato non individui eccessi verbali o indici di esacerbazione delle condotte altrui; e come appaia emblematico di ciò il riferimento alla presenza sul luogo dei fatti di Zahiri COGNOME rispetto al quale la persona offesa ha ammesso espressamente di non ricordare se avesse partecipato all’aggressione.
Rileva che la versione accusatoria, pur intrinsecamente credibile, trova puntuale riscontro nell’analisi delle videoriprese acquisite dalle telecamere pubbliche, di cui alla nota del 26 dicembre 2024, redatta dalla Questura di Crotone, che rende conto dell’aggressione collettiva realizzata dagli indagati ai danni di NOMECOGNOME e che, infatti, dette immagini, pur riguardando le fasi intermedie e finali della aggressione, attestano pacificamente che quest’ultimo fosse stato vittima di un pestaggio collettivo, nel corso del quale uno degli indagati, NOME COGNOME impugnava un oggetto appuntito, cercando di trattenerlo e colpirlo durante la fuga. Osserva a tele riguardo che tale sequenza in atti appare pienamente compatibile con la ricostruzione fornita dalla persona offesa nella parte relativa al ferimento con strumento da punta ad opera di NOME COGNOME e all’aggressione fisica subita per mano di tutti gli indagati.
Aggiunge che altri riscontri sono costituiti dalla documentazione sanitaria in atti (referto medico) confermativa del doppio ferimento con arma da taglio subito dalla vittima, nonché dalla consulenza medico-legale, che attesta l’uso di arma bianca nell’aggressione, verosimilmente un coltello, con causazione di due ferite, l’una in regione pettorale destra dorsale di profondità pari a 4/4,5 cm., e l’altra in regione fronto-parietale di 1,5 cm. Quanto a detta consulenza, osserva la Corte territoriale che la stessa ha confermato la compatibilità della dinamica riferita dalla vittima aggressione alle spalle con strumenti da taglio – con le risultanze medicolegali, attesa peraltro l’assenza sul corpo di COGNOME di ferite da difesa attiva e passiva.
Rileva che, a fronte di tali dati complessivi, alcuna valenza a discarico assumono le spontanee dichiarazioni rese dagli indagati e le loro propalazioni in sede di interrogatorio di garanzia.
Osserva che, quantunque le propalazioni difensive non siano prive di plausibilità nella parte relativa alla circostanza che fosse la persona offesa a detenere il coltello, per il resto appaiono alquanto confliggenti con i dati oggettivi, soprattutto con riferimento alla riferita reazione difensiva
intrapresa per disarmare COGNOME e all’allontanamento della persona offesa dal luogo dei fatti, nonché riduttive, posto che nessuno degli indagati, pur fornendo una propria descrizione degli accadimenti, riferiva alcunché sul duplice ferimento della vittima. E conclude che i dati disponibili congiuntamente letti valgono ad indicare inequivocabilmente gli indagati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME come protagonisti dell’aggressione di NOME, giacchè pacificamente riconosciuti’ dalla vittima nonché compiutamente identificati mediante le videoregistrazioni acquisite; che, del pari, appare sufficientemente chiara la dinamica dei fatti, che profila un coinvolgimento collettivo nell’aggressione fisica e degli indagati NOME COGNOME e NOME COGNOME come autori materiali dei due accoltellamenti, il secondo alla testa; e che, tenuto conto dell’arma impiegata, delle zone corporee attinte, della pluralità ed entità lesiva dei colpi inferti e dell’espressa dichiarazione da parte degli aggressori durante la sequenza fattuale del proposito omicidiario, non sussistono dubbi circa l’idoneità e l’univoca direzione degli atti a provocare la morte di NOMECOGNOME
La Corte di appello rimarca come l’esigua entità delle lesioni riportate e la conseguente breve durata della degenza ospedaliera non costituiscano circostanze idonee ad escludere l’idoneità dell’azione o l’intenzione omicida, in quanto rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente.
Sottolinea, poi, con riguardo alla dedotta legittima difesa, come, quand’anche si volesse accreditare la tesi della primigenia disponibilità dell’arma in capo a NOME, debba certamente escludersi che quella intrapresa dagli indagati possa ritenersi una reazione legittima, posta, da un lato, l’evitabilità del pericolo, tramite la fuga, e dall’altro la non necessità della difesa, poiché efficacemente riuscita la riferita azione di disarmo della vittima.
Aggiunge la Corte che pienamente ravvisabile, a livello di gravità indiziaria, è l’aggravante della premeditazione, considerate la preventiva convocazione della vittima, confermata dallo stesso NOME COGNOME nel corso delle spontanee dichiarazioni, e la predisposizione delle risorse personali e materiali necessarie alla perpetrazione del delitto, quali indici di detta aggravante, tenuto conto della componente ideologica e della non estemporaneità dell’azione.
Il Tribunale del riesame, passando poi alla valutazione delle esigenze cautelari, evidenzia come le modalità efferate con cui veniva perpetrata
l’aggressione – in pieno centro della città e in orario pomeridiano – alla vittima, oggetto di un violento pestaggio da parte di quattro persone e di un duplice accoltellamento, che avrebbero potuto avere conseguenze nefaste se solo non fosse riuscita a trovare rifugio e ad allertare i soccorsi, denotino personalità irascibili e violente, capaci di attentare alla vita altrui per meri contrasti personali; e come anche per il ricorrente, peraltro autore materiale di uno dei due accoltellamenti, il dato dell’incensuratezza è soccombente. Rileva come debba ritenersi l’assenza di qualsiasi capacità di autocontrollo in capo a Jebli, e, comunque, vada rimarcato il contegno tenuto dagli indagati, ivi compreso il ricorrente, dopo la commissione del fatto, caratterizzato dalla concertazione di una versione incompatibile con le oggettive evidenze investigative; e come tali elementi inducano a ritenere concreto e attuale il pericolo di recidiva e di inquinamento probatorio, oltre che proporzionata alla portata dei fatti e adeguata a tutelare dette esigenze cautelari la misura della custodia cautelare in carcere.
E’ evidente che, a fronte di tali ampie e logiche argomentazioni, pertanto insindacabili in questa sede, sia circa la gravità degli indizi di colpevolezza, sia circa la sussistenza delle esigenze cautelari e l’inadeguatezza di qualsivoglia misura diversa dalla custodia cautelare in carcere, assolutamente generiche, aspecifiche e non consentite in quanto rivalutative, oltre che manifestamente infondate, risultano le censure difensive.
Laddove, invero, lamentano che il Tribunale del riesame ha fondato la gravità indiziaria solo sulle dichiarazioni della persona offesa senza approfondirne la credibilità intrinseca ed estrinseca. Ovvero laddove ritornano sull’episodio del giorno precedente. Ovvero laddove insistono su una aggressione armata il giorno dei fatti ad opera della presunta vittima, sulla non gravità del ferimento e sul comportamento spontaneamente posto in essere dagli indagati, sull’insussistenza della premeditazione, sull’accidentalità delle ferite inferte a NOME e sulla tesi della legittima difesa. O, ancora, sull’apparenza motivazionale dell’ordinanza circa il pericolo di inquinamento probatorio e di recidiva, circa la concretezza e attualità di dette esigenze cautelari e la non rispondenza ai principi di proporzionalità e gradualità della misura cautelare in concreto inflitta.
Ignora il ricorrente, in tal modo, l’argomentazione dell’ordinanza che dimostra come sia impossibile configurare la legittima difesa, o ancora il passaggio del provvedimento secondo cui le riprese delle telecamere di
videosorveglianza dimostravano il pestaggio di più persone e in particolare immortalavano NOME COGNOME nell’atto impugnare un oggetto appuneto
e cercare di trattenere NOME e di colpirlo.
E, nel prospettare una
ricostruzione alternativa, peraltro sfornita di riscontri, mostra, sempre il ricorrente, di non confrontarsi, se non genericamente, con la trama
argomentativa, e di sollecitare una non consentita rivalutazione dei medesimi elementi fattuali ampiamente sviscerati dai Giudici della cautela.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della Cassa delle ammende di una sanzione
pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
Non derivando dalla presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025.