Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23749 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23749 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Roma il 04/08/1988, avverso l’ordinanza in data 30/01/2025 del Tribunale di Roma, Sezione per il riesame;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
sentito il difensore dell’imputato, avv.to NOME COGNOME che ha chiesto, in accoglimento del ricorso proposto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 30/01/2025, il Tribunale di Roma, Sezione per il riesame, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero presso la locale Procura della Repubblica avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, il precedente 24/04/2024, aveva rigettato l’istanza cautelare, ha disposto, nei confronti di NOME COGNOME, la misura della custodia in carcere in relazione ai delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (indicato al capo 1) e di tentata
estorsione (indicato al capo 34), ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del COGNOME avv.to NOME COGNOME che ha articolato due motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 273, 310 e 192 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e di tentata estorsione.
Sostiene, in primis, che, nella decisione impugnata, l’affiliazione al sodalizio dell’indagato e la sua attiva partecipazione al tentativo di estorsione sarebbero stati illogicamente inferiti dal compendio probatorio raccolto nell’ambito del procedimento n. 26389/2018 e da ulteriori elementi indiziari successivamente acquisiti, senza tener conto del fatto che, nel diverso procedimento indicato, il predetto era stato indagato solo per taluni delitti-fine in materia di droga e che la condanna per il diverso delitto di tentata estorsione non era ancora divenuta irrevocabile; rileva, ancora, con precipuo riguardo al delitto-fine di tentata estorsione, che le risultanze dell’attività captativa svolta, per il momento in cui la stessa s’era interrotta, attesterebbero la mera partecipazione dell’indagato alle fasi iniziali della ricerca di COGNOME NOME, soggetto che doveva restituire al coindagato NOME una cospicua somma di danaro, sicché la sua condotta integrerebbe, al più, un tentativo non punibile; aggiunge, poi, con riguardo al delitto-mezzo di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, che gli elementi acquisiti in esito all’attività di intercettazione non risulterebbero univocamente indicativi della sua intraneità al sodalizio, essendo rimasti del tutto indimostrati lo stabile inserimento nella struttura organizzativa e la sussistenza di “affectio societatis”, posto che: a) non sarebbe stata corretta l’interpretazione delle captazioni effettuata dal Tribunale distrettuale per affermare la sua attiva partecipazione, nelle date del 27/05/2020 e del 28/05/2020, alla collocazione di una partita di droga in precedenza acquistata, non potendosi desumere dalle risultanze della citata attività di intercettazione l’avvenuto utilizzo, per lo smistamento della sostanza, di auto di cui il predetto aveva la concreta disponibilità in ragione dell’attività svolta; b) non sarebbe stata corretta l’interpretazione di altre captazioni effettuata dal Tribunale distrettuale per sostenere il suo diretto coinvolgimento, in qualità di acquirente,
nella compravendita di un’ulteriore cospicua partita di stupefacente, avvenuta tra il 23/06/2020 e il 30/06/2020 (delitto-fine rubricato al capo 12, a lui non contestato nel procedimento in oggetto), non foss’altro che per il fatto che, in relazione a tale vicenda, il predetto era stato assolto, con pronunzia non ancora definitiva, nell’ambito del menzionato procedimento n. 26389/2018; c) non sarebbe stata corretta l’interpretazione di ulteriori captazioni effettuata dal Tribunale distrettuale per sostenere il suo coinvolgimento, in qualità di incaricato del reperimento di un immobile in cui incontrarsi con i fornitori, nella compravendita di stupefacente avvenuta il 28/11/2020, emergendo dalle conversazioni intercettate la sola intenzione di alcuni affiliati di contattarlo a ta fine.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274, 275, 310, 192, 195, 271, 278, 280 e 287 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Assume, in specie, che, nel provvedimento del Tribunale distrettuale, la ritenuta sussistenza di esigenze di cautela correlate al pericolo di condotte recidivanti sarebbe stata argomentata con il mancato superamento della presunzione relativa, sancita ex lege per il caso di affermata ricorrenza di gravità indiziaria in ordine al delitto associativo oggetto di contestazione, così, per un verso, immotivatamente obliterando la valutazione di significative circostanze di segno contrario, quali l’intervenuta disarticolazione del sodalizio già a far data dal gennaio del 2022 e la condizione di restrizione in cui versava, dalla stessa epoca, l’indagato e, per altro verso, irragionevolmente valorizzando un fattore, quale l’accertata disponibilità di un telefono cellulare all’interno del carcere da parte di soggetto contiguo all’organizzazione, in tesi privo di specifica rilevanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Destituito di fondamento è il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 273, 310 e 192 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di tentata estorsione e di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, sostenendo, con precipuo riguardo al delitto-fine, che le risultanze
dell’attività captativa, per il momento in cui questa s’era interrotta, attestavano il diretto coinvolgimento del COGNOME nella sola fase iniziale della ricerca di COGNOME NOME, debitore nei confronti del coindagato NOME di una somma di rilevante importo, sicché la sua condotta avrebbe potuto integrare, al più, un tentativo non punibile e, con riguardo al delitto-mezzo, che gli elementi acquisiti in esito all’attività di intercettazione non risultavano univocamente indicativi dell’intraneità al sodalizio del predetto, in quanto sarebbero rimasti indimostrati il suo stabile inserimento nell’organizzazione e la sussistenza della prescritta “affectio societatis”, posto che alle captazioni riguardanti gli accadimenti del 27/05/2020-28/05/2020, del 23/06/2020-30/06/2020 e del 28/11/2020, per l’intrinseca equivocità del tenore dei colloqui, avrebbe dovuto più correttamente riconoscersi un diverso significato.
Rileva in primis il Collegio che la vigente disciplina cautelare non preclude affatto la possibilità di adottare, nei confronti di persona già in precedenza assoggettata a una misura coercitiva, un nuovo vincolo della medesima o di diversa tipologia per la ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine a reati diversi e di concrete ed attuali esigenze preventive, mercè la valorizzazione, in uno a sopravvenienze indiziarie, anche di elementi presenti in atti al momento dell’adozione del primo presidio.
Tanto premesso, si ritiene che la decisione impugnata, diversamente da quanto dedotto, non presenti vizi motivazionali che ne impongano, in questa sede, la caducazione.
In particolare, le argomentazioni del Tribunale distrettuale a fondamento della ritenuta sussistenza di gravità indiziaria in ordine al delitto-fine di tenta estorsione (rinvenibili, in specie, alle pagg. 10 e 11 dell’ordinanza genetica) risultano lineari, coerenti e tutt’altro che contraddittorie, essendosi evidenziato, con chiarezza, che le intercettazioni telefoniche disvelavano l’attivo coinvolgimento del COGNOME, dapprima, nella ricerca del COGNOME, soggetto che doveva al Demce una somma di danaro di importo rilevante e, poi, nelle ripetute e non amichevoli intimazioni di immediato pagamento del dovuto rivolte al menzionato debitore.
D’altro canto, corretta appare anche la qualificazione giuridica dei fatti, costituendo principio consolidato quello secondo cui «In tema di delitto tentato, anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi del tentativo punibile, purché univoci, ossia rivelatori, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e quod plerumque accidit”, del fine perseguito dall’agente» (in tal senso: Sez. 6, n. 46796 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285566-01, nonché, in precedenza, Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, COGNOME e altro, Rv. 269932-01).
Analoghe considerazioni valgono per il delitto-mezzo di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, del quale si è ritenuta sussistente la gravità indiziaria, a carico del COGNOME, con argomentato logico e non contraddittorio (rinvenibile, segnatamente, alle pagg. 11-14 dell’ordinanza genetica), nel quale si è evidenziato che rivelavano la sua intraneità al sodalizio, oltre al concorso, in qualità di stretto fiduciario del Demce, nella tentata estorsione sopra esaminata, anche l’attivo coinvolgimento in tre vicende delittuose relative a compravendite di grosse partite di droga, in un caso in qualità di fornitore dell’auto con cui effettuarne il trasporto, in un altro in veste acquirente e in un altro ancora in qualità di incaricato del reperimento di un appartamento “sicuro”, al cui interno effettuare lo scambio merce/danaro.
Al riguardo, deve, peraltro, porsi in rilievo che l’interpretazione delle numerose conversazioni captate, grazie anche all’uso, da parte dei collocutori, di un linguaggio chiaro ed esplicito, risulta effettuata dai giudici della cautela in conformità a criteri di logica e di ragionevolezza, circostanza che ne preclude un nuovo sindacato in sede di legittimità, trovando applicazione il principio secondo cui «In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (così, da ultimo, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337-01, nonché, nello stesso senso, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389-01, Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, P.G., COGNOME e altri, Rv. 258164-01 e Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784-01).
3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274, 275, 310, 192, 195, 271, 278, 280 e 287 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, assumendo che, nell’ordinanza impugnata, l’argomento speso per affermare che ricorresse un concreto pericolo di reiterazione sarebbe consistito nel mancato superamento della presunzione relativa, sancita ex lege per il caso di affermata ricorrenza di gravità indiziaria in ordine al delitt associativo oggetto di contestazione, giustificazione che, tuttavia, si vuole soffra, per un verso, dell’omessa valutazione di significative circostanze di segno contrario – quali l’intervenuta disarticolazione del sodalizio già a far data dal mese di gennaio del 2022 e la condizione di restrizione in cui versava, dalla stessa epoca, l’indagato – e, per altro verso, dell’irragionevole valorizzazione di
un fattore – quale l’accertata disponibilità, all’interno del carcere, di un telefono cellulare da parte di soggetto contiguo all’organizzazione – asseritamente privo di specifica rilevanza.
Ritiene al riguardo il Collegio che la ritenuta sussistenza di esigenze di cautela, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, sia stata argomentata in maniera compiuta, lineare e tutt’altro che illogica e che sia stata fatta, peraltro, corretta applicazione delle evocate norme processuali, nell’ermeneusi offertane dalla giurisprudenza di legittimità, stante l’operatività, nella subiecta materia, della duplice presunzione relativa sancita dal disposto dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
E invero, i giudici della cautela, nell’accogliere l’appello proposto dal pubblico ministero, hanno correttamente rilevato che non risultavano agli atti, né erano stati successivamente offerti dalla difesa elementi da cui inferire il superamento della menzionata duplice presunzione (di sussistenza delle esigenze di cautela e di adeguatezza al loro contenimento del solo presidio intramurario), evidenziando altresì, in maniera del tutto logica, che il pericolo di recidiva non poteva ritenersi cessato per effetto del tempo trascorso dai fatti e dell’avvenuta disarticolazione della consorteria criminosa, in quanto la sua sussistenza risultava correlata allo stabile inserimento dell’indagato in circuiti malavitosi e alla possibile commissione, da parte sua, di reati costituenti espressione di una peculiare professionalità criminale, attestata, peraltro, dallo specifico precedente penale e dal recente precedente giudiziario esistenti a suo carico e dalla ridotta capacità di autocontrollo manifestata in occasione dei contatti avuti con il coindagato NOMECOGNOME all’epoca ristretto agli arresti domiciliari, mentre, per converso, non assumeva rilievo alcuno la sua attuale sottoposizione ad analoga misura, stante l’intrinseca temporaneità di tal genere di vincoli.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod.
proc. pen.
Così deciso il 17/06/2025