Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12121 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12121 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal COGNOME Maurizio nato a Catania il 30/12/1999; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la ordinanza del 13/08/2024 del tribunale di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr.ssa NOME COGNOME ch chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Catanzaro, a nell’interesse di Altavilla Maurizio avverso la ordinanza del gip del tribun Cosenza del 13.8.2024, con cui era stata applicata la misura cautelare degli ar domiciliari in relazione alle ipotesi di reato di cui all’art. 73 del DPR rigettava l’istanza.
Avverso la predetta ordinanza Altavilla Maurizio, mediante il propri difensore, ha proposto, con tre motivi, ricorso per cassazione.
Deduce con il primo vizi di violazione di legge anche processuale e di motivazione in ordine alla sussistenza di un grave quadro indiziario a caric ricorrente. L’ordinanza impugnata non consentirebbe di comprendere in quale punto della ordinanza del gip, censurata per totale assenza di motivazione relazione agli artt. 273, 274 e 292 comma 2 cod. proc. pen., emergerebbe la pro
del convincimento del gip stesso e della sua valutazione critica rispetto al quadro offerto con la richiesta di applicazione della misura. E si contesta la ordinanza del tribunale per insufficienza di motivazione sugli indizi a carico. A fronte di indiz costituiti da sole dichiarazioni dei terzi acquirenti, le valutazioni del gip avrebber meritato migliore attenzione per mancanza di ogni riscontro. In particolare, le dichiarazioni di terzi non permetterebbero di individuare con certezza la tipologia di stupefacente, il quantitativo ceduto, il prezzo pagato, il numero di episodi di cessione e il tempus commissi delicti. Sarebbe insufficiente la tesi del tribunale per cui le dichiarazioni degli acquirenti troverebbero riscontro reciproco. Neppure sarebbe dirimente il riconoscimento fotografico. Si ribadisce, quindi, il vizio dell’ordinanza genetica per carenza di autonoma motivazione né in merito a tale censura sarebbe convincente la risposta del tribunale, che elencherebbe precedenti giurisprudenziali non conformi al caso di specie. E a conforto delle carenze della ordinanza genetica si citano i contenuti relativi ai capi 62, 76, 84, 338, in cui il gip si sarebbe limitato ad elencare gli elementi di indagine senza aggiungere nulla sulla loro valenza in tema di gravità indiziaria. E si aggiunge come le giustificazioni del tribunale non trovino riscontro nel percorso argomentativo effettivamente seguito dal Gip. In proposito si richiama a titolo eminentemente esemplificativo, la trattazione dei capi 72, 73, 74, 75, 76, fondata sulle dichiarazioni di COGNOME. In tali ipotesi non vi sarebbe considerazione critica delle condotte degli indagati ma si riporterebbe solo il capo di imputazione e lo stralcio degli elementi di indagine da cui deriverebbe poi l’incolpazione.
GLYPH Con il secondo motivo deduce la violazione di legge processuale per eccessiva genericità dei capi di incolpazione. Essi non consentirebbero di conoscere precisamente le accuse sollevate. Con violazione dell’articolo 292 comma due lettera b) del codice di procedura penale. In particolare, le imputazioni dei capi 62, 76, 84, 338, non fornirebbero la possibilità di verificare il tennpus commissi delicti, il quantitativo di droga ceduto, il tipo di droga, il corrispettivo pagato.
NOME Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di omessa motivazione per la mancata riqualificazione dei fatti ai sensi dell’articolo 73 comma 5 del DPR 309/90. Si sostiene che pur a fronte degli elementi valorizzati dal tribunale per escludere la riqualificazione, come la protrazione temporale, la costante disponibilità dello stupefacente e l’ipotetico inserimento in un contesto delinquenziale e strutturato, si sarebbe comunque potuto agevolmente pervenire al riconoscimento della fattispecie invocata. Si sottolinea come la stessa giurisprudenza sia perfino giunta ad ammettere l’applicazione della fattispecie in parola pur in presenza di un’attività di spaccio inserita in un’attività criminal organizzata o professionale, con la precisazione che si tratti di piccolo spaccio. Si
osserva che, altresì, la valorizzazione della contiguità con il contesto di commercio della droga, elaborata dal tribunale, offrirebbe una definizione generica e inidonea a definire la concreta offensività della condotta. Si sottolinea come nel caso in esame gli episodi accertati sarebbero solo quattro e sarebbero riferibili a droghe leggere senza alcuna preventiva struttura organizzata finalizzata ad individuare acquirenti. Peraltro, non sarebbe superato il limite fissato giurisprudenzialmente per le droghe leggere al fine di escludere la fattispecie di speciale tenuità. Inoltre, i singoli episodi singolarmente considerati potrebbero rientrare nell’ambito di applicabilità del quinto comma in parola e si contesta che per casi analoghi a quelli attribuiti al ricorrente vi sarebbe poi stata l’applicazione della fattispecie discussione.
6. GLYPH Il primo motivo è manifestamente infondato per violazione del principio per cui (cfr. Sez. 3 – n. 57524 del 17/04/2018 Rv. 274704 – 01) quando viene dedotta l’inosservanza dell’art. 309, comma 9, ultimo periodo, cod. proc. pen., è onere del ricorrente allegare al ricorso non solo il provvedimento genetico ma anche (e sopratutto) la richiesta del pubblico ministero nella loro integralità al fine di consentire alla Corte di cassazione di esaminare direttamente l’eccezione e valutarne la fondatezza. E’ noto, infatti, che, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e) del citato articolo, quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Rv. 220092).
Peraltro, la lettura del provvedimento impugnato, del Tribunale del riesame, permette di ritenere, anche in assenza dell’adempimento degli oneri di cui sopra, la ampiezza ed esaustività della motivazione del provvedimento del Gip, laddove si evidenzia non solo la struttura del percorso motivazionale ma anche e soprattutto la sussistenza di valutazioni della valenza, a fini indiziari, degli element di indagine. Analogamente deve dirsi quanto alla evidenziazione della cura del Gip nel rinvenire le ragioni a fondamento del pericolo di recidiva. Quanto al dedotto autonomo vizio di motivazione della ordinanza impugnata, emerge una mera rivalutazione del merito – inammissibile, come noto, in questa sede – a fronte per giunta di osservazioni del tribunale che, oltre a richiamare e condividere le notazioni del Gip, sottolinea la peculiare valenza delle dichiarazioni degli acquirenti, già in punto di diritto, per cui, condivisibilmente, i reati di detenzio a fini di spaccio e di spaccio sul piano probatorio non necessitano di sequestri della sostanza stupefacente, così che ben possono trovare fondamento su o
tranquillizzanti dichiarazioni accusatorie, come nel caso di specie si rinvengono, siccome precise circa i termini essenziali delle vicende, prive di profili di apparente inattendibilità, senza che vi siano sul punto specifiche confutazioni, nonché effettivamente tra loro riscontrate nella misura in cui fanno riferimento a temi, comuni, ovvero analoghi, del contesto spazio temporale, quantitativi ed economici delle singole cessioni. Si noti che già la valorizzazione della precisione delle dichiarazioni e della assenza di elementi in grado di inficiare l’attendibilità appaiono profili di per sé in grado di fondare adeguati elementi dichiarativi supportanti ipotesi di reato, tanto più in sede cautelare, alla luce del principio secondo il quale, in tema di misure cautelari personali, la nozione di ‘gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273 cod. proc. pen., non si atteggia allo stesso modo del termine “indizi” inteso quale elemento di prova, idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto’ ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato, in ordine ai reati addebitatigli, e g indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen., come si desume dall’art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen., che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma secondo dello stesso articolo, che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi, ma anche precisi e concordanti) (cfr. Sez. 4, n. 18589 del 14/02/2013 Rv. 255928 – 01; Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012 Rv. 253511 – 01). Quanto ai riscontri come citati dal tribunale, oltre a non essere richiesti per le ragioni sopra immediatamente esposte, va evidenziato che è tale (Sez. 4, n. 3501 del 02/02/1996 Rv. 204657 01) qualsiasi elemento desumibile dagli atti che si ponga, logicamente, nella stessa direzione della chiamata in correità (ovvero, per quanto qui interessa, della dichiarazione accusatoria del soggetto informato), senza pretendere di costituire da solo la prova, per cui non è scorretta la valorizzazione, in termini di riscontri, operata dai giudici della cautela, di elementi che, pur non confermando, in via individualizzante, i contenuti delle dichiarazioni, li confermano, sul piano logico, attraverso la ripetitività narrativa da parte di più soggetti di circostanz comportamentali del medesimo presunto autore, seppur ricondotte a episodi distinti sia cronologicamente che anche soggettivamente, sotto il profilo dell’acquirente. Si tratta, in altri termini, essendosi in presenza, lo si ripete, dichiarazioni di persone informate sui fatti che non necessitano ex lege di riscontri bensì richiedono un giudizio di validazione della attendibilità, realizzabile senza forme tipiche, di elementi logici di conforto della attendibilità delle stesse. Non va poi dimenticato che nella misura in cui si contesta, in sostanza, l’ipervalutazione di dichiarazioni reputate invece insufficienti, è necessario, in questa sede, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
procedere alla relativa completa allegazione, secondo il noto principio di autosufficienza del ricorso, non intervenuta nel caso in esame.
Anche il secondo motivo è inammissibile, per carenza di specificità estrinseca: il giudice della cautela ha correttamente rappresentato che, alla luce della ordinanza genetica – condivisa, oltre che ulteriormente integrata dal collegio della cautela, nella quale si è dato atto delle incolpazioni e si è fornita altres “concreta specificazione delle condotte di spaccio per come emerse dalle dichiarazioni dei consumatori” ( che lo si ripete, devono reputarsi adeguate e attendibili) – il ricorrente ha avuto contezza piena del merito degli addebiti, in aderenza al condivisibile indirizzo di legittimità per cui in materia di misure cautelari, ai fini dell’osservanza del disposto di cui all’art. 292, comma 2, lett. b) cod. proc. pen., la «descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate», può avvenire mediante indicazione sintetica delle condotte quando di queste sia data concreta specificazione tanto nella richiesta del pubblico ministero quanto nel contesto motivazionale dell’ordinanza applicativa della misura cautelare. (Sez. 3 – , n. 25995 del 22/07/2020 Cc. (dep. 15/09/2020) Rv. 279898 – 01). Rispetto a tale motivazione il ricorrente non si è confrontato, limitandosi a reiterare la sola censura dei contenuti propri dei capi di incolpazione.
Quanto al terzo motivo, sulla mancata riqualificazione, esso è meramente rivalutativo, a fronte di una motivazione che congruamente valorizza modalità della condotta, quali la non modesta protrazione temporale, la costante disponibilità del prodotto in un contesto strutturato attraverso la intercambiabilità del pusher, in applicazione del principio secondo il quale in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della fattispecie del fatto lieve entità, il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze GLYPH stupefacenti GLYPH oggetto GLYPH della GLYPH condotta GLYPH criminosa), GLYPH dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entità” (Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015 Rv. 264491 – 01).
GLYPH Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in
data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.