Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30580 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30580 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Catania del 6.2.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6.2.2024 il Tribunale di Catania ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro l’ordinanza con cui il GIP del capoluogo etneo, in data 20.12.2023, ravvisando a carico dell’odierno ricorrente gravi indizi di colpevolezza in merito ai delitti associazione a delinquere dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione, finalizzata alla cessione a terzi, di sostanza stupefacente, aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., nonché le relative esigenze cautelari non altrimenti fronteggiabili, aveva applicato al predetto la misura della custodia cautelare in carcere;
ricorre per cassazione NOME AVV_NOTAIO tramite il difensore di fiducia che deduce:
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione quanto ai gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui al capo 12) della rubrica: rileva che i Tribunale, per confermare la ipotesi accusatoria, si è limitato a richiamare le conversazioni del 26.10.2019 e del 18.4.2020 inidonee a delineare una condotta caratterizzata dalla stabilità e differenziare la ipotesi della partecipazione al sodalizio rispetto a quelle del concorso nel reato; segnala che i giudici di merito non hanno considerato che, a fronte di un sodalizio che si contesta avere operato tra il giugno del 2019 ed il dicembre del 2020 con a capo NOME COGNOME, tratto in arresto nel maggio del 2020, non erano emersi contatti tra il ricorrente e gli altri coindagati né con coloro che avevano assunto il ruolo direttivo già facente capo al COGNOME risultando invece l’assenza del predetto ricorrente in occasione degli episodi evidenziati nei paragrafi 2, 3 e 4 della CNR;
2.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.: rileva che il Tribunale, come di fatto anche il GIP, non ha motivato in alcun modo circa i presupposti fattuali della aggravante contestata che, tenuto conto della sua natura soggettiva, non può essere ritenuta automaticamente integrata;
2.3 motivazione insufficiente in ordine all’insussistenza di esigenze cautelari ed alla idoneità di misure gradate: rileva che il richiamo alla doppia presunzione di cui all’art. 275 comma terzo, cod. proc. pen., non può di per sé giustificare il ricorso alla misura detentiva non avendo considerato che proprio l’arresto del COGNOME, zio del ricorrente, aveva interrotto ogni contatto tra costui ed il mondo degli stupefacenti, tanto da dar luogo ad una perquisizione domiciliare negativa né, per altro verso, il tempo trascorso dai fatti;
in data 16.5.2024 la difesa ha trasmesso motivi aggiunti deducendo:
3.1 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al delitto di cui all’art. 74 DPR 309 del 1990: rileva che l’ordinanza impugnata non ha motivato sulla rilevanza delle conversazioni telefoniche del 26.10.2019 e del 18 aprile 2020 come espressione di una condotta associativa piuttosto che di un’ipotesi di concorso nel reato; osserva, infatti, che, dopo le predette conversazioni, intercorse tra il COGNOME e lo zio COGNOME, non sarebbero intercorsi più rapporti tra i due come dimostrato dalle conversazioni n. 21280 del 28.03.2020 e n. 24704 del 18.04.2020 intervenute con lo RAGIONE_SOCIALE; aggiunge che la mancanza di gravi indizi di colpevolezza in merito alla imputazione associativa emerge dall’assenza di rapporti tra il COGNOME e gli altri coindagati dopo l’arresto dello zio COGNOME; richiama ancora la conversazione con lo COGNOME sottolineando come dal suo tenore emerga l’attività di spaccio svolta dal COGNOME in forma esclusivamente individuale e non già per conto del gruppo; ribadisce come l’ordinanza avrebbe dovuto motivare adeguatamente sulla esistenza della affectio RAGIONE_SOCIALE;
3.2 violazione di legge e vizio di motivazione sull’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.: rileva che dal contenuto delle conversazioni valorizzate dai giudici di merito non risulta altro che il rapporto tra il COGNOME e lo zio COGNOME richiama le conversazioni del 26.10.2019 intercorse entrambe tra il COGNOME ed il COGNOME e dal cui contenuto emerge esclusivamente la commissione di un episodio in concorso con lo zio COGNOME NOME e non una finalità mafiosa, non configurabile per il solo fatto che il delitto è stato commesso in concorso con il COGNOME NOME posto che non può in alcun modo presumersi che un presunto appartenente ad un’associazione commetta sempre e tutti i delitti al fine di favorire l’associazione mafiosa;
4. la Procura AVV_NOTAIO, nonostante la richiesta di trattazione orale, ha trasmesso una requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso: rileva che la difesa, con il primo ed il secondo motivo di ricorso, relativi rispettivamente alla “stabilità dell’accordo”RAGIONE_SOCIALE” ed alli “aggravante mafiosa”, lamenta rispettivamente la insufficienza delle conversazioni valorizzate dai giudici della cautela e l’assenza di motivazione, ponendosi tuttavia in termini di differente apprezzamento circa il giudizio di complessiva, elevata significatività delle risultanze (pur numericamente e temporalmente limitate) ripercorse nell’ordinanza del Tribunale; quanto al terzo motivo, osserva che la ricorrenza di esigenze cautelari di massimo è stata coerentemente riferite alla mancanza, anche in ragione delle valutate “modalità seriali e sintomatiche di specifica professionalità … relazioni interpersonali” di indicazioni effettivamente utili superare la “presunzione” legale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
1. Non è inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in questa sede, dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si denunci il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice di legittimità di vagliare la adeguatezza delle ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Va anche ricordato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.) ma solo
la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; questo Collegio, in particolare, condivide la tesi secondo cui “in tema di misure caute/ari personali, la nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia all stesso modo con cui il termine indizi inteso viene utilizzato quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 cod. pro pen., comma 2, come si desume dall’art. 273 cod. proc. pen., comma ibis, che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (cfr., Sez. 5, n. 36079 del 5.6.2012, COGNOME; Sez. 4, n. 6660 del 24.1.2017, COGNOME; Sez. 4, n. 53369 del 9.11.2016, COGNOME; conf., ancora, Sez. 4, n. 17247 del 14.3.2019, COGNOME, in cui la Corte ha ribadito i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma 1-bis, cod. proc. pen.; conf., sul punto, e tra le altre, Sez. 1, n. 43258 del 22.5.2018, Tantone; Sez. 2, n. 22968 dell’8.3.2017. Carrubba).
Esula, inoltre, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30.4.1997, COGNOME; Sez. 4, n. 4842 del 2.12.2003, COGNOME; Sez. 6, n. 49153 del 12.11.2015, secondo cui la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura).
2. Tanto premesso, rileva il collegio che, nel caso di specie, il Tribunale ha dato conto, in termini esaustivi e con motivazione immune da profili di manifesta
illogicità ovvero di intrinseca o estrinseca contraddittorietà, delle ragioni per l quali ha ritenuto allo stato validabile l’ipotesi accusatoria compendiata nel provvisorio capo di incolpazione n. 12), unico attinto dal riesame, e relativo al delitto di cui all’art. 74 DPR 309 del 1990, evocante la partecipazione del COGNOME al sodalizio organizzato intorno alla figura di NOME COGNOME a capo sia del sodalizio di stampo mafioso di cui al capo 1) (non contestato all’odierno ricorrente) che al gruppo dedito al traffico di stupefacenti, condotto con la fattiva collaborazione del suo “braccio destro” NOME COGNOME e quella, tra gli altri, del nipote NOME COGNOME e di NOME COGNOME sempre attivi nell’attività di reperimento di sostanze e forniture di stupefacente.
2.1 Va in primo luogo precisato che il ricorrente non ha mai contestato l’esistenza di un sodalizio dedito al traffico di stupefacenti quanto, piuttosto, la sua partecipazione al gruppo.
Con il primo motivo del ricorso, dunque, la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione rilevando, in sostanza, che gli elementi valorizzati dai giudici di merito non sarebbero idonei a delineare una condotta partecipativa ma, al più, un concorso del COGNOME in singoli episodi di acquisto, cessione o detenzione, unitamente allo zio COGNOME.
È consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 DPR n. 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (cfr., Sez. 6 – , n. 17467 del 21/11/2018, dep. 23/04/2019, Noure, Rv. 275550 – 01).
Il Tribunale ha ritenuto di poter trarre conferma non soltanto dell’esistenza del sodalizio ma della partecipazione del COGNOME, dal tenore delle conversazioni del 26.10.2019 (intercorsa tra il COGNOME, il COGNOME e, per l’appunto, lo stesso COGNOME), da cui ha ricavato la prova dell’esistenza di una cassa comune di cui il ricorrente era perfettamente a conoscenza (cfr., pag. 2 dell’ordinanza in verifica); ma, anche, dalle conversazioni del 29.11.2019 e del 22.5.2020 tra il COGNOME e lo COGNOME, da un lato, e tra lo COGNOME ed il COGNOME dall’altro (cfr., pagg. 2dell’ordinanza).
Ha chiarito che dagli elementi così acquisiti era emersa la operatività del sodalizio nel quartiere Picanello ove era ubicata la stalla di INDIRIZZO, che,
unitamente all’abitazione del COGNOME, rappresentava la base logistica ed operativa del gruppo per la detenzione dello stupefacente ed il luogo di incontro tra sodali e trafficanti.
I giudici di merito hanno inoltre valorizzato l’utilizzo di un linguaggio “in codice” e la prassi di comunicare via ws oppure utilizzando schede telefoniche intestate a stranieri con nomi fittizi con la continua sostituzione di schede e cellulari; da ultimo, l’occultamento frazionato dello stupefacente consegnato agli spacciatori in piccole quantità.
Altro elemento congruamente evidenziato a testimonianza dell’esistenza del sodalizio è la prosecuzione dell’attività del gruppo anche successivamente all’arresto del COGNOME.
Ed è in questo contesto che il Tribunale ha ritenuto di poter confermare la partecipazione del COGNOME al gruppo: in tal senso ha valorizzato il tenore della conversazione dell’1.10.2019 nel corso della quale il COGNOME, insieme a COGNOME, COGNOME e COGNOME, discutevano della qualita di una partita di “skunk” procurata da COGNOME (cfr., pag. 4); il COGNOME, dichiaratosi soddisfatto della qualità dello stupefacente come del prezzo, aveva perciò incaricato lo stesso COGNOME di fissare un incontro con il fornitore (tale “NOME” n.m.i.) in vista di un acquisto consistente; lo stesso COGNOME aveva inoltre valutato la possibilità di ottenere un pagamento dilazionato.
In termini non manifestamente illogici i giudici della cautela hanno considerato questa conversazione nel contesto della operatività del gruppo, avendo essa ad oggetto l’acquisto di una consistente partita di stupefacente, destinata, pertanto, ad alimentare la attività di spaccio nell’ambito territoriale di riferimento del sodalizio; altrettanto congruamente, hanno perciò apprezzato la partecipazione del COGNOME a conversazioni di questo tenore come emblematica della sua piena adesione e partecipazione al gruppo, avendo egli formulato le proprie considerazioni sul prezzo dello stupefacente comparato a quello della marijuana di provenienza albanese (cfr., ivi, pag. 6).
Analogamente, il Tribunale ha potuto apprezzare la partecipazione del COGNOME alla discussione con il COGNOME ed il COGNOME, captata in data 26.10.2019, avente ad oggetto un ulteriore “affare” cfr., pagg. 7-8 dell’ordinanza) riguardante il procacciamento di quantità di marijuana e hashish (cfr., ancora, pagg. 8-9 dell’ordinanza); la medesima conversazione è stata inoltre giudicata rilevante anche nella parte in cui i tre discutevano della “cassa comune” e delle somme da attingervi ed utilizzare nell’interesse del gruppo (cfr., ancora, pag. 10 dell’ordinanza).
Alla luce degli elementi così riassunti, il Tribunale ha pertanto potuto concludere nel senso che il COGNOME fosse “… pienamente inserito nelle dinamiche criminali del sodalizio di riferimento” aggiungendo che “… lo stesso … era messo al corrente del prezzo individuato dal COGNOME per concludere delle trattative inerenti anche a grosse partite di sostanza stupefacente, compartecipava a saggiare la qualità ella sostanza stupefacente onde decidere se concludere un affare e a quali condizioni, accedeva alla cassa comune, era pienamente consapevole che il traffico di sostanza stupefacente rientrava nelle attività destinate a sostenere la famiglia mafiosa … seguiva pedissequamente le direttive del COGNOME …” (cfr., pag. 10).
La difesa ha incentrato le sue considerazioni su una diversa “lettura” delle conversazioni sopra richiamate ponendosi, pertanto, su un terreno estraneo al perimetro delle questioni deducibili in sede di legittimità.
È inoltre appena il caso di ribadire che l’interpretazione e la “lettura” delle conversazioni intercettate, come del linguaggio usato dai soggetti interessati, è una questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cfr., tra le tante, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, R.v. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv 254439).
2.2 Il secondo motivo è precluso.
Come è possibile rilevare dal tenore della memoria depositata all’udienza camerale, nessun rilievo, in punto di aggravante “agevolativa”, era stato sollevato dalla difesa del COGNOME in sede di riesame.
E’ allora opportuno ribadire che, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti “de libertate”, pur nella peculiarità del contesto decisorio del giudizio di riesame resa manifesta dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., il ricorrente ha l’onere di specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sull fonti di prova e sulla relativa valutazione) onde provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, sulle quali la Corte di cassazione può essere chiamata ad esprimersi; ne consegue che, in mancanza di tale devoluzione, è inammissibile il ricorso che sottoponga alla Corte di legittimità censure su tali punti, che non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere, in relazione ai limiti del
giudizio COGNOME di COGNOME cassazione, COGNOME ex COGNOME art. COGNOME 606 COGNOME cod. COGNOME proc. COGNOME pen. COGNOME (cfr., COGNOME così, Sez. 3 – , n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505 – 03; conf.,
2.3 Manifestamente infondato è, da ultimo, il terzo motivo.
Ed in effetti, il Tribunale ha motivato al di là della presunzione, sia pure relativa, sull’esistenza di un pericolo di recidiva concreto ed attuale legato alla natura dei fatti commessi – realizzati con modalità “seriali” e sintomatiche di professionalità – con un contesto di relazione interpersonali in grado di riattivarlo ove rimesso in libertà.
Tanto premesso, e tenuto conto del tenore del provvedimento impugnato, va allora anche in questa occasione ribadito che il nuovo testo dell’art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (cfr., Sez. 5, n. 49038 del 4.6.2017, COGNOME; Sez. 1, n. 45659 del 13.11.2015, COGNOME; Sez. 1, n. 37839, del 2.3.2016, COGNOME).
In questo contesto il Tribunale ha anche escluso la praticabilità di una restrizione extramuraria presidiata dall’utilizzo del “braccialetto elettronico” (cfr pag. 11).
Si è chiarito, a tal proposito, che l’apprezzamento sulla radicale inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, “assorbe” e sostanzialmente “preclude” quello sulla impossibilità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275bis cod. proc. pen. (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 31572 dell’8.6.2017, COGNOME; Sez. 3, n. 43728 dell’8.9.2016, L.).
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 31.5.2024