Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2066 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2066 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME COGNOME nato a Pisa il 14/08/1986, avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà di Firenze del 17/09/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME cui il P.G. si è riportato in udienza, che ha concluso per il rigetto del ricorso. udito, per l’imputato, l’Avv. NOME COGNOME del Foro di Prato, che si è riportato al ricors chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa il 17/09/2024, il Tribunale del riesame di Firenze rigettava la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Livorno del 16/08/2024 in ordine al reato di cui all’articolo 73 d.P.R. 309/1990.
Avverso l’ordinanza l’indagato propone, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione.
2.1. Con un primo motivo, deduce violazione vizio di motivazione in relazione alla omessa effettuazione di perizia tossicologica sullo stupefacente di cui al capo A).
All’indagato viene contestata l’importazione non autorizzata di sostanza stupefacente di tipo mescalina (3,540 kg. e 82 gr.).
Tuttavia, il sequestro del maggior quantitativo è stato eseguito il 15 maggio 2023 in Francia e solo quello degli 82 grammi in Italia. Per la sostanza sequestrata in Francia è stato eseguito esclusivamente il c.d. “narcotest”, che non restituisce la composizione qualitativa del prodotto, denominato “Nopal penca de tuna”, che ha una bassissima percentuale di principio attivo ed è un mero estratto di cactus.
L’indagato, in sede di interrogatorio, chiariva di avere acquistato, sempre tramite canali operanti in chiaro su intemet, la sostanza “Nopal”, oltre a dell’incenso, liberamente venduta on line come sostanza non stupefacente.
A seguito del mancato arrivo delle prime due spedizioni, aveva iniziato a indicare il nome della madre come destinataria, ma anche in questo caso niente era stato consegnato.
Il Tribunale del riesame ritiene sussistenti i gravi indizi di colpevolezza alla luce d quantitativi sequestrati nelle varie spedizioni, sicuramente superiori alle necessità di un consumo personale, e ha ritenuto, illogicamente, che non si trattava di Nopal, che è prodotto liberamente acquistabile su intemet, senza bisogno di importarlo dal Perù.
Tale motivazione appare radicalmente smentita proprio dalle due relazioni di consulenza tecnica disposte dal pubblico ministero, le quali evidenziano che la bassissima percentuale di mescalina rinvenuta sugli 82 grammi sequestrati in Italia (0,32%) è pienamente compatibile con il cactus denominato Nopal, noto per le sue proprietà antiossidanti, ed è cosa completamente diversa dal “peyote”, di cui invece si fa un uso allucinogeno.
Inoltre, la quantità di principio attivo contenuto nella sostanza sequestrata è di molto inferiore alla dose giornaliera di mescalina detenibile.
Anche in riferimento ai quantitativi sequestrati in Francia, che il Tribunale del riesame ritien analogamente composti in ragione delle modalità di confezionamento, del mittente e del destinatario, il ragionamento – secondo cui qui viene sicuramente superato il quantitativo massimo detenibile – è fallace poiché la sostanza non viene utiiizzata tutta assieme, in quanto i “beveroni” che si fanno con essa si ottengono mischiandone qualche cucchiaiata con acqua.
2.2. Con una seconda censura lamenta vizio di motivazione in relazione al capo B) (cessione a tale COGNOME NOME).
Evidenzia come dagli atti di indagine non risulta affatto – come invece dichiarato dal COGNOME in occasione del suo fermo – che fosse stato il COGNOME a cedere l’hashish all’amico, bensì il COGNOME, che a sua volta si era rifornito da tale COGNOME e che il COGNOME limitato a mettere in contatto i due.
Erra quindi il Riesame a fare riferimento alla conversazione progr. n. 1330 del R.I.T. 278/23, non confrontandosi con l’annotazione di polizia giudiziaria, che ricostruisce l’incontro come
avvenuto prima tra COGNOME e COGNOME e poi tra loro due e COGNOME, scansione temporale da cui si capisce perfettamente come entrambi gli amici abbiano acquistato da quest’ultimo.
Né può parlarsi di intermediazione, posto che all’indagato è contestata la vendita.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione in riferimento alle esigenze cautelari e in particolare alla mancata concessione degli arresti domiciliari con il braccialett elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
2. In riferimento ai primi due motivi di doglianza, riferiti ai «gravi indizi di colpevolezza» premette che questa Corte ha più volte chiarito (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576) che la relativa nozione non è omologa a quella ‘ che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale.
Al fine dell’adozione della misura, invero, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stes criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per que ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1 -bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi).
La stessa Corte costituzionale ha del resto chiarito (sentenza n. 121 del 2009) che «la gravità indiziarla richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. si propone come un criterio il cui metro di accertamento è eterogeneo rispetto a quello della sostenibilità dell’accusa in giudizio: per certi aspetti anche più rigoroso, per certi altri più debole, in ragione sia della possibilità che tal degli atti di indagine unilateralmente acquisiti dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero considerati per la misura cautelare risultino inutilizzabili in sede di giudizio, sia per l’eventu che la loro valenza e il loro significato cedano o si trasformino, in uno o altro senso, attravers la dialettica dell’assunzione probatoria dibattimentale».
Ne deriva, quindi, che «ai fini delle misure cautelari, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezz non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 27 comma 1 -bis, cod. proc. pen.» (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269179 – 01;
conformi, ex multis: Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, deo. 2023, Pino, Rv. 284262 01; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 02).
3. Ciò premesso, il primo motivo è infondato.
L’ordinanza precisa che l’indagine trae avvio dal sequestro, operato in Francia, di un pacco contenente due chilogrammi di sostanza stupefacente di tipo “mescalina” (ancorché il pacco riportava la dicitura “incenso”) proveniente dal Perù presso l’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, indirizzato a NOME, madre del ricorrente, reale destinatario del pacco.
Avviate le intercettazioni telefoniche, emergeva subito, oltre a quella del ricorrente, la figur del COGNOME, figura di spicco del narcotraffico locale, che doveva recarsi in Spagna per l’acquisto di una partita di stupefacente (31 kg. di hashish, sequestrati dagli operanti il 23/03/2024).
Accertamenti effettuati tramite la RAGIONE_SOCIALE consentivano di rinvenire due precedenti spedizioni dal Perù, con destinatario l’odierno indagato, l’una del 25/03/2023 (3,540 kg.) e l’altra dell’11/05/2023 (2,260 kg.), entrambe avente lo stesso mittente, tale COGNOME NOMECOGNOME
Venivano anche tracciati i pagamenti effettuati dal COGNOME e si accertava che, per il primo pacco, il COGNOME aveva pagato la somma di 673 USD e l’acquisto era stato effettuato su una sezione del sito “Tribematses” denominata “San Pedro”, che consentiva l’acquisto di mescalina (il San Pedro è un cactus, diverso dal Nopal, che cresce tra Perù ed Ecuador e contiene mescalina).
Veniva poi fermata presso la dogana di Milano una quarta spedizione di 82 grammi di sostanza etichettata come Nopal e 100 sigarette di sostanza vegetale, in cui però non veniva rinvenuta sostanza stupefacente (stessa provenienza e stessa etichetta del primo plico sequestrato in Francia).
La consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero evidenziava che per quanto concerne l’ultimo plico, la quantità di mescalina contenuta nel c.d. “Nopal” non raggiungeva la dose media giornaliera.
Nel frattempo, il COGNOME era andato in viaggio in Messico e Perù, e al ritorno veniva trovato in possesso di sostanza stupefacente rientrante nella tabella I (mitraginina, principio attivo estratto dal “kratom”, pianta che cresce nel sud-est asiatico e produce effetti simili alla cocaina).
L’ordinanza, dalla congerie investigativa, ricava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, oltre che dalla costante occupazione del COGNOME nella ricerca di stupefacenti di diverso tipo, alla luce del ricorrere congiunto dei seguenti elementi:
identità di mittente e destinatario dei vari plichi;
identità di etichetta della confezione (Nopal);
presenza nell’unico plico sequestrato di mescalina;
presenza di mescalina nel plico sequestrato in Francia, sia pure solo tramite narcotest, da cui si inferisce l’identità della sostanza sequestrata nelle due occasioni e anche nelle precedenti spedizioni;
quantitativi di sostanza nei primi tre plichi che sicuramente implicavano un superamento della dose giornaliera di mescalina ed escludevano la destinazione al consumo personale;
incoerenza di un acquisto diretto dal Perù, in quanto, se effettivamente si fosse trattato di Nopal, ossia sostanza estratta dal cactus appartenente alla famiglia del fico d’India, senza effetti droganti, esso avrebbe potuto essere acquistato liberamente in Europa.
La valutazione effettuata dal Tribunale del riesame non presenta profili di manifesta illogicità o contraddittorietà, ma anzi fa buon governo delle regole di valutazione della gravità indiziaria illustrate al par. 2.
Il motivo è pertanto infondato e va rigettato.
La seconda doglianza è inammissibile in quanto meramente rivalutativa del compendio indiziario concordemente analizzato dai giudici della cautela, i quali hanno fondato il giudizio di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sull’analisi congiunta delle conversazioni intercettate, dei servizi di osservazione, delle dichiarazioni rese dal COGNOME e dall’analisi forense d telefono cellulare dell’indagato (pagg. 10-14).
Come noto, nel giudizio di legittimità (v. da ultimo Sez. 3, n. 8466 del 17/01/2023, COGNOME, n.m.) sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Ciò determina l’inammissibilità di tutti quei profili che concernono la valutazione degli elementi di prova, quali il linguaggio contenuto nelle intercettazioni telefoniche o la valutazione delle immagini riprese, in cui si contesta la «lettura» degli elementi di prova da parte dei giudic del merito, che sono pertanto inammissibili, posto che si chiederebbe alla Corte di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, operazione preclus salvo che si deduca un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale; ed infatti, il vizio della motivazione, come vizio denunciabile, è coltivabile solo ove esso sia «evidente», cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i (Sez. U., n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005 – 01, cit.), circostanza certamente non ricorrente nel caso di specie.
La censura secondo cui al ricorrente sarebbe contestata la cessione e non l’intermediazione è poi manifestamente infondata.
Da tempo, nella giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 49054 del 23/06/2017, COGNOME) è stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta a
accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi i ordine all’oggetto dell’imputazione (cfr., ex multis, Sez. U., n, 16 del 19/06/1996, COGNOME).
Proprio in applicazione di tale autorevole affermazione si è ritenuto che non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza.
Si sottolinea, al riguardo, come l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di “fatto” contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata, infatti, con que funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, po che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 2, 16/09/2008, n. 38889, D.; Sez. 5, 13/12/2007, n. 3161, P., Rv. 238345).
Peraltro, nella fase cautelare, l’obbligo di specificità della contestazione è attenuato in quanto frutto delle acquisizioni delle indagini in corso di svolgimento, e come tale suscettibile d approfondimenti e specificazioni nel corso delle ulteriori attività investigative.
L’imputazione, infatti, come si ricava dall’articolo 292 cod. proc. pen., è in tale fas caratterizzata da maggiore «fluidità» (Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, COGNOME, Rv. 230755), tanto da essere richiesta, a pena di nullità dell’ordinanza, la soia «descrizione sommaria del fatto» (evocando la regola ex art. 292, comma 2, lett. b) cod. proc. pen.).
Il contraddittorio in sede di riesame è comunque garantito dalla completa valutazione del materiale, già sottoposto all’esame del Giudice che ha emesso l’ordinanza, e degli eventuali ulteriori elementi che le parti abbiano offerto in sede di proposizione dell’impugnazione o nel corso dell’udienza, a condizione che ne sia assicurata la tempestiva conoscenza o la concreta possibilità di esame (Sez. 3, n. 36531 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 264871; Sez. 3, n. 22137 del 06/05/2015, COGNOME).
La condotta di intermediazione è, così come la cessione, sanzionata dall’articolo 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, e per costante giurisprudenza di legittimità «è punibile anche quando il destinatario della sostanza stupefacente conosca personalmente e direttamente il fornitore, posto che è sufficiente ad integrarla qualsiasi contributo di ordine materiale e psicologico destinato a collegare venditore e acquirente» (Sez. 6, n. 46367 del 11/10/2023, S., Rv. 285882; Sez. 3, n. 38569 del 10/06/2022, Attinà, Rv. 283697 – 01; Sez. 4, n. 2394 del 13/12/2011, dep.2012, COGNOME, Rv. 251752 – 01).
Si è anche affermato che integra il reato di intermediazione per la cessione di sostanza stupefacente, nella forma consumata, e non tentata l’attività svolta per procurare a terzi una partita di droga, risultando indifferente se materialmente questa sia stata o meno consegnata ai destinatari (Sez. 3, n. 38535 del 12/05/2015, Di COGNOME, Rv. 264633).
Il nucleo materiale del fatto è dunque in entrambi i casi la cessione a terzi (in un caso “diretta”, nell’altro “indiretta”) di sostanza stupefacente, per cui non è ravvisabile – soprattut nella fase cautelare – alcuna immutatio libelli.
Il motivo è pertanto manifestamente infondato.
La terza doglianza, relativa alle esigenze cautelari, è del pari inammissibile.
Il Tribunale del riesame, a fronte di analoga doglianza sollevata con i motivi di riesame, evidenzia (pag. 19) come i fatti sono stati commessi dall’odierno ricorrente, gravato da diversi precedenti penali specifici, in un contesto temporale ravvicinato, mentre si trovava in affidamento in prova ai servizi sociali proprio per una di tali condanne, e che lo stesso ha gestito l’attività di spaccio proprio dalla abitazione di residenza, elementi già di per sé sufficienti, presenza di gravità indiziaria, a giustificare una prognosi sfavorevole in ordine alla idoneità di misure alternative al carcere a soddisfare l’esigenza cautelare special-preventiva.
La doglianza è quindi inammissibile per genericità, in quanto non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato.
Il ricorso va in conclusione rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 03/12/2024.