Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13579 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13579 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/10/2023 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 06/10/2023, il G.i.p. del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE applicava a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato dei reati, in concorso con NOME COGNOME, di: a) rapina pluriaggravata (dall’essere stata la minaccia commessa con armi e da più persone riunite) di cui al capo A) dell’imputazione provvisoria, commessa nella notte del 04/09/2023 ai danni della RAGIONE_SOCIALE; b) detenzione e porto illegali di un’arm comune da sparo di cui al capo B) dell’imputazione provvisoria; c) ricettazione di un motociclo di cui al capo C) dell’imputazione provvisoria; d) furto aggravato di uno scooter di cui al capo D) dell’imputazione provvisoria.
I
Con ordinanza del 25/10/2023, il Tribunale di Roma, investito della richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME contro la menzionata ordinanza del 06/10/2023 del G.i.p. del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE: a) annullava tale ordinanza nei confronti di NOME COGNOME con riferimento ai reati di cui ai capi B), C) e D) dell’imputazione provvisoria; b) confermava la stessa ordinanza con riferimento al reato di rapina pluriaggravata di cui al capo A) dell’imputazione provvisoria.
2. Avverso l’indicata ordinanza del 25/10/2023 del Tribunale di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione e l’inosservanza dell’art. 273 cod. proc. pen. con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di rapina pluriaggravata in concorso di cui al capo A) dell’imputazione provvisoria.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Roma: a) non sarebbe stato in grado di indicare, sulla base degli acquisiti elementi indiziari – in particolare, de indumenti che erano stati sequestrati nella sua abitazione, posti a raffronto con quelli che, sulla base del filmato delle telecamere di videosorveglianza della RAGIONE_SOCIALE rapinata, erano stati indossati dai rapinatori – se egli si dovesse identificare nel rapinatore che era entrato nella RAGIONE_SOCIALE o in quello che, minacciando con la pistola una delle due dipendenti di essa, era rimasto all’esterno del locale; b) non avrebbe adeguatamente considerato il lasso di tempo che era intercorso tra la rapina e il menzionato sequestro degli indumenti – lasso di tempo che il Tribunale di Roma aveva indicato in «poche ore» – atteso che la rapina era stata commessa alle ore 00:30 del 04/09/2023 mentre l’accesso presso la sua abitazione era avvenuto alle ore 10:30 circa dello stesso giorno; c) sul fallace implicito presupposto che il COGNOME fosse, sul piano indiziario, uno degli autori della rapina, aveva valorizzato il fatto che lo stesso COGNOME era stato rinvenuto presso l’abitazione del COGNOME, con ciò considerando il rapporto di ospitalità, dello stesso COGNOME nei confronti del COGNOME, «quale elemento di congiunzione delle due posizioni», ciò che sarebbe manifestamente illogico, atteso che «un rapporto di ospitalità né coincide con un concorso ex art. 110 c.p. né è in grado di assurgere a prova indiretta»; d) posto che il suddetto implicito presupposto che il COGNOME fosse uno degli autori della rapina non poteva essere desunto dal menzionato filmato della telecamera di videosorveglianza – «altrimenti ci sarebbe, nella motivazione, la indicazione specifica di quale dei due soggetti debba intendersi essere il COGNOME» – e che, pertanto, lo stesso presupposto non poteva essere stato tratto che dalla dichiarazione autoaccusatoria del COGNOME (poi ritrattata) «circa il furto del ciclomotore e dal sequestro degli indumenti e dei caschi», l’ordinanza
impugnata «non fuga il dubbio sulla obiettiva ipotesi alternativa secondo la quale possa essere stato il COGNOME a portare le cose sequestrate dentro l’abitazione del COGNOME. Non è motivata quindi la esclusione della deduzione alternativa a mente della quale gli indumenti “compatibili” e i caschi abbiano trovato ingresso nell’abitazione del COGNOME attraverso l’attività e la figura del COGNOME, circostanza che non implicherebbe, quindi, sul piano della necessità logica, il concorso del COGNOME»; e) non avrebbe valutato i «requisiti legali degli indizi, vale a dire la loro “gravità” e la loro “precisione” nonché la loro individualizzazione», con la conseguente contraddittorietà e manifesta e illogicità della motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo è manifestamente infondato.
Occorre preliminarmente rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 21582801).
Tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, perciò, dare continuità, è stato ribadito anche in pronunce più recenti della Corte di cassazione (tra le altre: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460-01; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012-01).
Da ciò consegue che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 dello stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato (tra le altre: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400-01, la quale, in motivazione, ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito).
La Corte di cassazione ha altresì chiarito che, ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari «gravi indizi di colpevolezza» non corrispondono agli «indizi» intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – giacché il comma 1 -bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281019-01: Successivamente, in senso analogo: Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299-02).
3. Nel caso in esame, il Tribunale di Roma ha motivato la gravità indiziaria a carico del COGNOME sulla base dei seguenti elementi indiziari: a) il rinvenimento, poche ore dopo la rapina (si tratta, effettivamente, di poco più di dieci ore della notte e del primo mattino del 04/09/2023), nell’abitazione del COGNOME, dove si trovava anche il COGNOME, di due caschi (uno grigio tipo “Jet” con parasole nero e uno di colore scuro con visiera trasparente e la scritta “Scooter”) e di indumenti (un paio di scarpe da ginnastica marca “Nike-Air” taglia 45 e un paio di calzini di spugna bianchi e neri con il logo “Robe di Kappa”) compatibili con quelli che, dalla visione del filmato della telecamera di videosorveglianza, erano stati indossati da ciascuno dei due rapinatori; b) il rinvenimento, sempre a poche ore dal fatto, nel cortile condominiale sotto il palazzo dove abita il COGNOME, dì un cappellino da baseball anch’esso compatibile con quello che era stato indossato, sotto il casco, da uno dei due rapinatori; c) il rinvenimento, nelle vicinanze dell’abitazione del COGNOME (a circa 30 metri di distanza dalla stessa), di un ciclomotore di marca Honda modello TARGA_VEICOLO di colore grigio argento, provento di furto, che, anche in quanto privo della mascherina anteriore, era pure esso compatibile con quello, anch’esso privo di mascherina anteriore, che, come risultava dal più volte menzionato filmato, era stato utilizzato dai rapinatori per commettere la rapina.
Tale valutazione degli elementi indizianti a carico del ricorrente appare, ad avviso del Collegio, congruente rispetto sia ai canoni della logica, sia ai ricordati principi di diritto che governano l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, negli indicati corretti termini di una qualificata probabilità di colpevolezza.
A fronte di ciò, le doglianze del ricorrente, lungi dall’evidenziare effettive violazioni dei suddetti canoni logici e principi di diritto, si traducono, nella sostanz ad avviso del Collegio, nella sollecitazione di una diversa valutazione della rilevanza e concludenza degli elementi indiziari che sono stati valorizzati dal
Tribunale di Roma o nella prospettazione di ipotesi alternative del tutto congetturali (come quella secondo cui «possa essere stato il COGNOME a portare le cose sequestrate dentro l’abitazione del COGNOME»), ciò che non è possibile fare in questa sede di legittimità.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma, 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 06/02/2024.