Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35609 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35609 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: MELE NOME
Data Udienza: 05/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/03/2025 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI PALERMO Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, il quale si riporta al ricorso ed insiste per l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza in data 6 marzo 2025 il Tribunale del riesame di Palermo ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME, avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, che aveva applicato nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, ritenendolo gravemente indiziato del reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen.
Secondo l’imputazione provvisoria, NOME è indiziato di avere partecipato al RAGIONE_SOCIALE mafioso di ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, occupandosi di far applicare le regole imposte dal sodalizio nel settore dei reati contro il patrimonio, di impedire la
collaborazione con la giustizia di NOME COGNOME e di provvedere al mantenimento in carcere del nucleo familiare del sodale NOME COGNOME.
Il Tribunale ha rinvenuto gravi indizi di colpevolezza circa il pieno e stabile inserimento dell’indagato nella RAGIONE_SOCIALE mafiosa sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, ritenuto intrinsecamente credibile, essendo la sua attendibilità non solo attestata nell’ambito di diversi procedimenti penali, ma altresì comprovata dalle conferme al suo narrato rinvenute nelle conversazioni intercettate nel corso delle indagini, dalle quali emergeva altresì il coinvolgimento di Fi lippone nei settori illeciti dell’RAGIONE_SOCIALE, quali il traffico di stupefacenti e la gestione abusiva di giochi e scommesse.
Il ricorso presentato avverso tale ordinanza dal difensore dell’indagato si articola in tre motivi, di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione agli artt. 191, 407, comma 3, 247 e ss., 267, comma 3 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen. Secondo il ricorrente, gli elementi indiziari a suo carico -e specificamente la conversazione telematica del 29 marzo 2024 e la conversazione del 30 aprile 2024 -sarebbero successivi alla scadenza dei termini di durata massima delle indagini, i quali decorrerebbero dal primo momento in cui il pubblico ministero ha acquisito la notitia criminis , e cioè in occasione dell’interrogatorio reso dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME in data 28 luglio 2021, ed ancor prima da quello in data 25 maggio 2021, ovvero ancora dalle sommarie informazioni dal medesimo rese il 4 febbraio 2021.
Sarebbe da tale momento che NOME avrebbe in concreto assunto la qualità di soggetto indagato e, pertanto, il suo nome avrebbe dovuto essere iscritto nel registro delle notizie di reato. Ne conseguirebbe la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti fino al momento della effettiva iscrizione del suo nome in detto registro, nonché delle indagini successive alla scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, 273 e 546 cod. proc. pen. e all’art. 416 -bis cod. pen. Il Tribunale del riesame, nel valutare le dichiarazioni del collaboratore COGNOME, avrebbe omesso di considerare che egli non è un associato del sodalizio criminoso, che le sue dichiarazioni accusatorie sarebbero progressive e contraddittorie, nonché erronee nella parte in cui indicano tra coloro che lo avevano aggredito, oltre al COGNOME, anche NOME, definendolo come genero di NOME COGNOME, mentre la difesa aveva documentato che costui non ha un genero con tale nome. Inoltre, l’ordinanza impugnata avrebbe omesso di replicare
alle deduzioni difensive con cui si evidenziava la diversità delle dichiarazioni rese dal collaboratore nell’interrogatorio del 28 luglio 2021, rispetto a quanto dichiarato in quello del 25 maggio 2021.
Il ricorrente contesta inoltre l’interpretazione che il Tribunale ha dato alla conversazione del 29 marzo 2024 tra l’indagato e NOME COGNOME, indicata come riscontro alle dichiarazioni del collaborante in ordine al mantenimento garantito dall’associazion e al nucleo familiare di costei.
Analoghe censure vengono svolte avverso l’interpretazione di due conversazioni intrattenute dal ricorrente nell’aprile 2024 con NOME, che secondo la difesa non sarebbero dimostrative della appartenenza dell’indagato all’RAGIONE_SOCIALE mafiosa.
2.3. Il terzo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, il Tribunale avrebbe omesso di indicare quali prove sarebbero agg redibili dall’indagato, posto che gli elementi a suo carico sono costituiti dalle intercettazioni di conversazioni. Inconsistente sarebbe il pericolo di reiterazione del reato e la possibilità di contatto con esponenti mafiosi, posto che l’indagato non ave va avuto incontri con costoro, a parte il COGNOMECOGNOME il quale tuttavia era stato allontanato dall’organizzazione criminosa, mentre il suocero, NOME COGNOME, era da anni detenuto e non erano stati documentati contatti con costui. L’ordinanza avrebbe al tresì omesso di considerare che, nell’ampio arco temporale oggetto di contestazione, l’indagato avrebbe assunto un ruolo marginale.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con memoria in data 2 settembre 2025, il ricorrente ha richiamato talune pronunce emesse in procedimenti diversi, da cui emergerebbe la mancanza di riscontri alle chiamate di reità effettuate dal collaborante NOME COGNOME.
Considerato in diritto
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Il primo motivo, che denuncia vizio di violazione di legge quanto alla inutilizzabilità degli atti di indagine, è inammissibile.
Occorre al riguardo evidenziare che tale censura risulta prospettata per la prima volta con il ricorso per cassazione. Invero, dal testo dell’ordinanza e dagli atti del processo -cui la Corte ha accesso in ragione della natura processuale della
censura -non emerge, né è stato altrimenti evidenziato che la questione sia stata sottoposta al Tribunale in sede di riesame.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, benché la presentazione dei motivi a sostegno della richiesta di riesame contro una misura cautelare personale (o reale) sia del tutto facoltativa, la mancata proposizione ha conseguenze sulla evoluzione del procedimento. Deve, infatti, ritenersi preclusa la possibilità di prospettare in sede di legittimità motivi di censura non sollevati in sede di riesame, ove essi non siano rilevabili d’ufficio, in applicazione del principio AVV_NOTAIO ricavabile dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui il giudice di legittimità non può decidere su violazioni di legge quando queste non siano già state dedotte davanti al giudice di merito di secondo grado, a meno che non siano rilevabili d’ufficio o non siano oggetto di ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen., in quanto i relativi presupposti di fatto non sono stati già esaminati dal giudice del merito (Sez. 4, n. 44146 del 03/10/2014, Parisi, Rv. 260952 -01; Sez. 2, n. 11027 del 20/01/2016, NOME, Rv. 266226 -01).
Nel caso in esame, la denunciata inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini non è rilevabile d’ufficio, ma soltanto su eccezione di parte immediatamente dopo il compimento dell’atto o nella prima occasione utile, con la conseguenza che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità (Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, Pg, Rv. 274996 – 03).
Il secondo motivo, con cui si contesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, è infondato.
3.1. È necessario preliminarmente precisare che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, allorché con ricorso per cassazione sia denunciato vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di cassazione spetta il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; nel medesimo senso, ex multis , Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME NOME, Rv. 276976).
Il controllo del giudice di legittimità, quindi, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
3.2. Quanto alla nozione di gravi indizi di colpevolezza questa Corte ha più volte chiarito che la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura, invero, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 ((Sez. 5, n. 7092 del 19/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287532 -01; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 -02; Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683). Deve, peraltro, ribadirsi che la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e che, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, dep. 2014, Ungureanu, Rv. 258677; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Liana, Rv. 255460).
3.3. Venendo ad esaminare le censure del ricorrente, si rileva che esse si appuntano sui plurimi elementi su cui il giudice del riesame ha basato la propria valutazione, e che sono costituiti dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, dalle intercettazioni ambientali, nonché da alcuni messaggi.
Le doglianze relative alla affermata attendibilità del collaborante NOME COGNOME e alla mancanza di riscontri esterni alle sue dichiarazioni sono prive di pregio.
Conviene al riguardo richiamare la condivisa giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, nella fase delle indagini preliminari, i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, che devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede, possono fondarsi sulla dichiarazione di un collaborante, se precisa, coerente e circostanziata, che abbia trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, tali da rendere verosimile il contenuto della dichiarazione (Sez. 2, n. 16183 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269987; Sez. 1, n. 16792 del 09/04/2010, COGNOME, Rv. 246948). Peraltro, in proposito si è condivisibilmente rilevato che,
essendo la verifica in esame pertinente ad una fase segnata dalla ‘fluidità’ dell’incolpazione, in cui non è richiesta certezza della colpevolezza ed è invece sufficiente al riguardo un consistente grado di probabilità, la ‘individualizzazione’ del riscontro può essere anche solo tendenziale o parziale (Sez. 4, n. 22740 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 279515 -01; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, COGNOME, Rv. 230755).
Il Tribunale del riesame di Palermo si è adeguato ai suddetti principi, ancorando il proprio giudizio ad elementi specifici risultanti dagli atti, tanto da trarre dalla loro valutazione globale un giudizio in termini di elevata probabilità circa l’attribuzione del reato all’indagato, superando le doglianze del ricorrente sulla base di considerazioni pienamente logiche, non suscettibili di censura in questa sede.
In primo luogo, quanto all’attendibilità intrinseca del chiamante, l’ordinanza impugnata evidenzia come la stessa sia stata vagliata positivamente in diversi procedimenti penali attinenti a delitti posti in essere dalla stessa RAGIONE_SOCIALE mafiosa del RAGIONE_SOCIALE; né la documentazione prodotta tardivamente dal ricorrente, e che non era nella disponibilità del Tribunale, è idonea ad inficiare, da sola, tale conclusione.
Al contempo il RAGIONE_SOCIALE riesame ha disatteso le censure difensive -riproposte in questa sede – che facevano riferimento alla circostanza per cui il COGNOME, nel riferire della colluttazione avuta con il NOME e tale NOME, indicava costui come genero di NOME COGNOME, mentre in realtà la difesa aveva documentato che il COGNOME non aveva un genero con tale nome; neppure avrebbe replicato al rilievo per cui le dichiarazioni del collaboratore in ordine al numero delle persone che si erano recate a casa sua lo stesso giorno era diverso rispetto a quello indicato dalla madre, NOME COGNOME. Il Tribunale, in modo logico e coerente, ha superato tali rilievi, evidenziando come si trattasse di circostanze di dettaglio inidonee a incrinare la valutazione di credibilità del collaborante, la quale trovava conferma nel contenuto delle conversazioni captate, che attestavano la piena e stabile partecipazione del COGNOME al sodalizio criminoso.
Indicativa in tal senso è stata ritenuta la conversazione telematica intercorsa tra l’odierno indagato e NOME COGNOME, moglie dell’esponente di vertice mafioso NOME COGNOME, all’epoca detenuto, e nel corso della quale il NOME, in risposta alle lamentale della donna circa il suo mancato sostentamento, la rassicurava riferendole che all’esito di una riunione si era convenuto di affidare il compito di provvedervi ad altra persona (NOME COGNOME). Da tale conversazione il Tribunale ha logicament e desunto non solo l’inserimento del ricorrente nel sodalizio mafioso, ma altresì il suo coinvolgimento in uno dei compiti associativi precipui, consistenti appunto nel sostentamento dei familiari dei sodali detenuti.
Analoga conclusione vale in ordine al radicato inserimento del NOME nell’organizzazione mafiosa e nelle sue dinamiche, che il giudice del riesame ha desunto dalla captazione della conversazione in data 17 aprile 2024, intercorsa tra l’indagato e il sodale ‘NOME COGNOME, nel corso della quale i due commentavano la struttura organizzativa dell’RAGIONE_SOCIALE, il ruolo svolto da NOME COGNOME, incaricato del sostentamento economico del detenuto mafioso NOME COGNOME, e criticavano quegli associati che si lamentavano per le lievi condanne subite.
L’interpretazione di tali conversazioni fornita dal Tribunale, in quanto non manifestamente illogica, si sottrae alle critiche del ricorrente, ove si consideri che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte regolatrice, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; in termini, ex multis , Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389 – 01).
3.4. Analoghe considerazioni valgono con riguardo all’interpretazione della richiamata conversazione del 17 aprile 2024, nella parte in cui l’ordinanza impugnata ha desunto dal racconto del COGNOME che egli aveva appreso da un medico dell’ospedale , presso cui egli lavorava, di avere in cura NOME COGNOME, moglie e sorella di mafiosi, e che lo aveva sollecitato a fermare i propositi di collaborazione che la donna aveva manifestato.
Le obiezioni difensive svolte sul punto si risolvono nel sollecitare a questa Corte di legittimità una inammissibile rivalutazione degli elementi probatori per trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, e dunque ad elaborare un giudizio di fatto che non gli compete.
In conclusione, il complesso degli elementi sopra ricordati comprova l’esistenza di un quadro di gravità indiziaria circa la partecipazione del ricorrente al sodalizio, intesa quale prestazione di un contributo di qualsivoglia genere, purché non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all’esistenza o al rafforzamento dell’RAGIONE_SOCIALE (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 – 01, in motivazione).
Il terzo motivo, che attiene al giudizio sull’esistenza delle esigenze cautelari, è infondato.
Il ricorrente trascura di considerare che, nel caso di indiziato di RAGIONE_SOCIALE mafiosa, tutte le esigenze cautelari indicate dall’art. 274, lett. a), b) e c), cod. proc. pen., compresa quella correlata al pericolo di inquinamento probatorio, sono
presunte (Sez. 3, n. 12485 del 28/01/2025, COGNOME NOME, Rv. 287813 – 03) e che spetta eventualmente all’indagato indicare gli elementi contrari che depongono per l’insussistenza certa dell’esigenza; onere che nella specie il ricorrente non ha soddisfatto. In ogni caso, anche laddove il Tribunale del riesame avesse negativamente valutato la tenuta dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, quanto ad una o due delle esigenze di cui all’art. 274 cod. proc. pen., ben avrebbe potuto comunque confermarla per uno solo dei pericula libertatis (Sez. 3, n. 15980 del 16/04/2020, COGNOME, Rv. 278944 – 02; Sez. 3, n. 35973 del 03/03/2015, COGNOME, Rv. 264811 – 01).
In ogni caso, il ricorrente trascura di considerare che l’ordinanza impugnata, non arrestandosi alla presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e alla mancata allegazione di elementi contrari da parte dell’indagato, contiene una motivazione in positivo, evidenziando la durata pluriennale del vincolo che lega il COGNOME al sodalizio mafioso e la particolare intensità dello stesso per come attestata dalla eterogeneità e delicatezza dei compiti dal medesimo svolti, circostanze che attesterebbero non solo la sussistenza del pericolo di reiterazione, ma altresì il pericolo di inquinamento probatorio, stante la capacità intimidatrice del sodalizio mafioso.
Il ricorso deve essere, quindi, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Giacché dal presente provvedimento non discende la rimessione in libertà del detenuto, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all’, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, il 05/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME