Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6581 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 6581  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Paola il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 06-06-2023 del Tribunale di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di fiducia dell’indagato, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi. 
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 giugno 2023, il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava l’ordinanza emessa il 6 aprile 2023 dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, con la quale, nell’ambito di un articolato procedimento penale a carico di una pluralità di indagati, era stata applicata la custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME, in quanto gravemente indiziato dei delitti di associazione a delinquere di tipo mafioso (capo 1), di quattro episodi del reato di trasferimento fraudolento di valori (capi 3, 4, 5 e 13), di quattro episodi del reato, consumato e tentato, di estorsione (capi 14, 23, 24 e 27), di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (capo 62) e di quattro episodi del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 63, 64, 65 e 70).
Avverso l’ordinanza del Tribunale calabrese, COGNOME, tramite i suoi difensori di fiducia, ha proposto due distinti ricorsi per cassazione.
2.1. Con il primo ricorso, sono stati sollevati sei motivi.
Con il primo, la difesa contesta la valutazione della gravità indiziaria rispetto al reato associativo di cui al capo 1, evidenziando che, al di là della contestata partecipazione dell’indagato a taluni reati fine, non sono emersi elementi probatori a carico del ricorrente nell’ottica associativa, essendo risultate generiche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, i quali non hanno fatto mai espresso riferimento alla figura di NOME COGNOME, essendosi pronunciati genericamente sui “COGNOME” e, al più, su NOME COGNOME, il cui nominativo in effetti compare più volte nella ricostruzione operata dal Tribunale del Riesame.
Con il secondo motivo, sono stati eccepiti il vizio di motivazione e l’inosservanza della legge penale ai reati fine di cui agli art. 512 bis e 416 bis.1 cod. pen. (capi 3, 4, 5 e 13), avendo i giudici cautelari omesso di motivare sia in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, sia su quanto dedotto dalla difesa in sede di riesame; in particolare, con riferimento ai capi 3 e 4, si obietta che una conversazione con un ipotetico cliente non è in grado di provare il ruolo addebitato al ricorrente, dimostrando al più una prestazione lavorativa svolta da COGNOME per la ditta, avendo la difesa puntualmente ricostruito la storia dell’azienda di NOME COGNOME, rispetto alla quale doveva escludersi un ruolo gestorio occulto del ricorrente, che fu solo assunto quale addetto alle vendite.
Anche rispetto all’attività commerciale “RAGIONE_SOCIALE” alcuna gestione di fatto era ascrivibile a COGNOME, non ravvisandosi i presupposti oggi disciplinati dall’art. 2639 cod. civ., ovvero l’esercizio continuativo e significativo dei poter tipici inerenti alla qualifica e alla funzione dell’amministratore di diritto, n sussistendo in ogni caso il dolo specifico del reato in esame, integrato dal consapevole perseguimento della finalità di eludere le misure di prevenzione o di commettere reati di riciclaggio, il che, ancor prima, presuppone la necessità di
provare la provenienza illecita dei capitali investiti nell’azienda. Lo stesso discorso vale per il capo 13, rispetto al quale la difesa aveva spiegato che si era in presenza non di una interposizione fittizia, ma di un contratto di locazione.
A ciò si aggiunge che, in ogni caso, COGNOME non aveva motivo di commettere il reato contestato, atteso che egli il 12 luglio 2017 era stato già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, poi revocata il 25 settembre 2019, per cui, essendo stata già disposta una misura di prevenzione, non si comprende il motivo per il quale il ricorrente avrebbe dovuto temere l’applicazione di altra misura, non risultando quindi configurabile il dolo specifico richiesto dalla norma.
Il terzo motivo è dedicato al giudizio sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bisl cod. pen. riferita ai capi 3, 4, 5 e 13, non avendo il Tribunale del Riesame spiegato se, come e quando gli introiti delle attività commerciali sarebbero effettivamente confluiti nelle casse della consorteria e se di tale specifica finalità COGNOME fosse consapevole, oltre che diretto partecipe.
Con il quarto motivo, la difesa censura valutazione degli indizi riferiti al reato di estorsione di cui ai capi 14, 23, 24 e 27, osservando, quanto al capo 14, che la conversazione citata dal Tribunale è del tutto priva di valenza ai fini della ammissione di responsabilità da parte del ricorrente, mentre, quanto ai capi 23, 24 27, vengono in rilievo dialoghi tra terzi che avrebbero richiesto meccanismi di motivazione rafforzata non applicati nell’ordinanza impugnata, non essendo stato in ogni caso delineato il ruolo che in tali vicende avrebbe assunto COGNOME.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è la valutazione degli indizi riferiti ai reati ex art. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 62, 63, 64, 65 e 70), rilevandosi innanzitutto che i capi 62 e 63 riguardano una stessa vicenda, ossia l’acquisto e la cessione dello stesso stupefacente, per cui gli episodi ascritti al ricorrente si riducono a tre, a fronte delle ben più numerose condotte illecite addebitate ai sodali NOME COGNOME e COGNOME; del resto, sottolinea la difesa, il ruolo operativo del ricorrente è stato desunto da un elemento, l’acquisto di un bidone, di scarsa pregnanza indiziaria, non essendo peraltro dimostrato che il bidone acquistato era stato poi effettivamente usato per occultare la droga.
Non sarebbe stato illustrato comunque l’eventuale contributo che il ricorrente avrebbe apportato al sodalizio, avendo in realtà COGNOME svolto un ruolo del tutto marginale, venendo in rilievo sporadici e incerti episodi di “droga parlata”, rispetto ai quali non è stato svolto nell’ordinanza impugnata alcun adeguato e necessario approfondimento, fermo restando che si tratta al più di tre singoli episodi, a fronte di un’attività che ha visto un centinaio di operazioni.
Con il sesto motivo, le critiche difensive investono il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sull’adeguatezza della misura cautelare, rilevandosi che, venendo meno la fattispecie associativa, viene meno anche la duplice presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., per cui sarebbe stata
necessaria una valutazione in termini di concretezza e attualità dei peri enucleati dall’art. 274 cod. proc. pen. quali requisiti applicativi della misura
2.2. Con il secondo ricorso, sono stati sollevati cinque motivi che censura la valutazione degli indizi per ciascuna delle fattispecie ascritte al ricorrent considerazioni in larga parte analoghe a quelle sin qui esposte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, tra loro sovrapponibili, sono infondati.
1. In via preliminare, occorre innanzitutto richiamare la consolida affermazione di questa Corte (ex multis cfr. Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Rv. 281019 e Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Rv. 253511), secondo cui la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza fi Al fine dell’adozione della misura è infatti sufficiente l’emersione di qualu elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità su responsabilità dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. Pertanto, tali ind devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di dall’art. 192 comma 2 cod. proc. pen., ed è per questa ragione che l’art. comma 1 bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richied precisione e concordanza degli indizi. Quanto ai limiti del sindacato di legitti deve essere ribadito (sul punto tra le tante cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05 Rv. 255460) che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denuncia con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevole alla Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controlla congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indiziant rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che gove l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità deve rima quindi “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a u diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione de elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spess degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche sogge dell’indagato, in ciò rientrando anche l’apprezzamento delle esigenze cautelar Corte di Cassazione – copia non ufficiale
delle misure adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto al solo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, ovvero: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo dell’atto impugnato.
1.1. Alla luce di tali condivise premesse ermeneutiche, occorre ribadire che il giudizio sulla gravità indiziaria formulato dal Tribunale del riesame (e prima ancora dal G.I.P.) rispetto a ciascuna delle fattispecie oggetto delle imputazioni provvisorie non presta il fianco a censure di irragionevolezza.
Ciò vale, in primo luogo, per le doglianze riferite alla partecipazione di NOME COGNOME all’associazione ex art. 416 bis cod. pen. (capo 1).
E invero, nel ripercorrere le risultanze investigative, il Tribunale del riesame, ha innanzitutto illustrato ampiamente i tratti salienti della RAGIONE_SOCIALE operante sul territorio di San Lucido e zone limitrofe, le cui attività illecite son state delineate sia dagli esiti delle intercettazioni disposte durante le indagini che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; è stato quindi evidenziato che di tale sodalizio doveva essere ritenuto partecipe NOME COGNOME, il quale si occupava di riscuotere “il pizzo” presso le vittime, di concorrere nell’esecuzione delle condotte estorsive, di eseguire i danneggiamenti e gli atti intimidatori, e di gestire e controllare le attività economiche riconducibili alla RAGIONE_SOCIALE mafiosa, come desumibile dalla pluralità dei reati fine in cui lo stesso è risultato coinvolto, tu orientati alla realizzazione e al consolidamento del programma associativo.
La ricostruzione dei giudici cautelari è scaturita da una esauriente e razionale rassegna degli elementi investigativi acquisiti, dei quali la difesa propone una differente lettura che, tuttavia, non può trovare ingresso in questa sede.
Lo stesso discorso vale per le censure dedicate al giudizio sulla gravità indiziaria riferita ai delitti di trasferimento fraudolento di valori contestat NOME COGNOME ai capi 3, 4, 5 e 13 delle imputazioni provvisorie. Le doglianze difensive, invero, non si confrontano in termini adeguatamente specifici con le pertinenti considerazioni dell’ordinanza impugnata che, rispetto a ciascuna vicenda, ha operato un’attenta ricostruzione del ruolo del ricorrente.
In particolare, quanto ai capi 3 e 4, riguardanti la gestione occulta da parte di NOME COGNOME di un’impresa attiva nel settore del legname dapprima sotto la denominazione “RAGIONE_SOCIALE” intestata all’omonimo titolare e successivamente denominata con la ragione sociale “RAGIONE_SOCIALE“, intestata a NOME COGNOME, moglie del ricorrente, il Tribunale ha richiamato i dialoghi da cui si evince che COGNOME era il reale gestore dell’impresa, occupandosi egli di
concludere le vendite e di prendere appuntamenti con i fornitori e con i clienti, molti dei quali erano consapevoli del fatto che egli fosse il referente dell’impresa. Analogamente, in ordine al capo 5, concernente l’impresa “RAGIONE_SOCIALE“, l’ordinanza impugnata ha indicato le conversazioni (tra cui quelle di cui ai progr. 117532 e 117795), da cui risulta che COGNOME curava personalmente i rapporti con le maestranze e si occupava attivamente della gestione della pescheria.
Parimenti, rispetto al capo 13, avente ad oggetto l’intestazione fittizia alla concessionaria “RAGIONE_SOCIALE” di NOME COGNOME della Mercedes GLA targata TARGA_VEICOLO, è stato sottolineato l’utilizzo costante fatto da NOME COGNOME e dalla moglie del veicolo, subito dopo la formale intestazione alla concessionaria.
Non è stata accolta al riguardo l’obiezione difensiva secondo cui l’autovettura de qua era oggetto di un contratto di noleggio con la concessionaria, mancando valida documentazione volta a provare l’effettivo pagamento delle rate.
Tutte le descritte condotte illecite sono state ritenute sorrette dal dolo specifico, essendo il ricorrente un potenziale destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale, essendo stato già sottoposto nel 2017 a una misura di prevenzione personale, a nulla rilevando che quest’ultima misura sia stata revocata nel 2019, non escludendo ciò l’applicazione della misura patrimoniale, che peraltro era ben suscettibile di potenziale applicazione in ragione delle nuove indagini in corso.
3.1. In relazione ai reati ex art. 512 bis cod. pen., risulta inammissibile la doglianza riguardante la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416 bisl cod. pen., dovendosi sul punto rilevare che, se è vero che la motivazione del Tribunale sul punto risulta carente, è altrettanto vero che la difesa non ha illustrato, con il necessario livello di specificità, quali ripercussioni concrete abbi subito l’indagato da tale difetto di motivazione, dovendosi richiamare sul punto il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Rv. 284489), secondo cui, in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull’ “an” o sul “quomodo” della misura, profilo questo che, come detto, non risulta oggetto di specifico approfondimento nei ricorsi.
Passando alle vicende estorsive contestate ai capi 14, 23, 24 e 27, deve rilevarsi che alle stesse è stato dedicato adeguato scrutino alle pag. da 15 a 23 dell’ordinanza impugnata, nella quale, per ciascuna imputazione provvisoria, sono state valutate, in maniera critica, le singole risultanze investigative acquisite, con argomenti non illogici e dunque non censurabili in questa sede. In particolare, quanto al capo 14, concernente l’estorsione ai danni della ditta RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale ha ricostruito diffusamente i passaggi della vicenda, culminata
nella consegna da parte dell’NOME NOME COGNOME della somma di
15.000 euro a NOME COGNOME e ad NOME COGNOME all’esito di una pluralità di minacce e condotte intimidatorie, tra cui la collocazione di una bottiglia in plastica contenente liquido infiammabile presso il cantiere allestito dalla ditta.
Le conversazioni intercettate hanno altresì consentito di delineare il ruolo avuto dalla vicenda da NOME COGNOME, il quale risulta essere stato il primo a relazionarsi con la vittima, anche se con un approccio giudicato troppo morbido.
E tuttavia dai dialoghi captati (in particolare dalla conversazione di cui al progr. 148 del 14 giugno 2019) si evince che il ricorrente ha difeso il suo operato, sostenendo che non avrebbe potuto fare più di quello che ha fatto, mostrando così di sapere bene di concorrere con i sodali nel compiere un atto estorsivo.
Con riferimento al capo 23, avente ad oggetto la tentata estorsione in danno dell’NOME NOME COGNOME, i giudici dell’impugnazione cautelare hanno richiamato le conversazioni intercettate, da cui è emerso che NOME COGNOME era stato mandato dal fratello NOME a chiedere “il pizzo” all’NOME COGNOME e che era in attesa di riscuotere il pagamento, essendosi correttamente rilevato in proposito che le parole di NOME, sebbene rivolte a rimproverare il fratello per la sua scarsa efficienza, ne sottolineano in realtà il pieno coinvolgimento della vicenda, e ciò a prescindere dallo scarso piglio mostrato dal ricorrente, le cui iniziative, in questo come in altri casi, si muovevano chiaramente nel contesto associativo, al quale egli forniva comunque un apporto non secondario.
Rispetto al capo 24, relativo al tentativo di estorsione posto in essere ai danni di NOME COGNOME, è stata valorizzata la conversazione di cui al progr. 872 del 20 febbraio 2019, nella quale NOME COGNOME e NOME COGNOME commentano il fatto che l’NOME NOME COGNOME si era spontaneamente offerto di pagare “il pizzo” a NOME COGNOME per lo svolgimento di alcuni lavori (la mancata prova dell’esecuzione del pagamento ha imposto la contestazione della fattispecie in forma tentata), essendo stato ragionevolmente rimarcato che in tal caso è emersa non una minaccia esplicita o una condotta violenta, ma una iniziativa spontanea di COGNOME, che si è subito informato del prezzo da pagare per poter lavorare, ciò a riprova della dimensione ambientale del meccanismo estorsivo posto in essere dai COGNOME, il cui obiettivo era proprio quello di incutere negli imprenditori locali la consapevolezza di dover fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale radicato, facendo in modo che fossero gli stessi imprenditori a ricercare i referenti criminali, come avvenuto nel caso di specie, in cui è emerso peraltro che il primo approccio con l’NOME fu tenuto da NOME COGNOME, di cui evidentemente COGNOME aveva riconosciuto il ruolo di “riscossore della tangente” per conto della RAGIONE_SOCIALE di appartenenza.
In ordine al capo 27, riguardante la tentata estorsione ai danni della RAGIONE_SOCIALE, è stata infine rimarcata la portata minatoria dei messaggi acquisiti, di cui NOME COGNOME era il mandante e NOME COGNOME era latore, unitamente
ad NOME COGNOME, replicandosi il medesimo modus operandi consistente nella convocazione forzata dell’NOME al cospetto del capoRAGIONE_SOCIALE per regolare la sua posizione per lavorare, rivelando le espressioni adoperate (“bussare alla casa degli altri…dover venire prima da me”) l’intolleranza dei COGNOME nei confronti dell’impresa che ne sottovalutava la caratura criminale. Non è stata ritenuta invece dirimente la circostanza che l’indagato non figurava tra gli interlocutori diretti delle conversazioni richiamate, posto che nei dialoghi captati concernenti i fatti di causa il ricorrente veniva chiamato per nome (con il diminutivo “NOME“).
Anche rispetto ai reati in tema di stupefacenti, deve ritenersi che la valutazione sulla gravità indiziaria compiuta dai giudici dell’impugnazione cautelare non presenti vizi di legittimità o profili di incoerenza argomentativa.
Nell’ordinanza impugnata sono state innanzitutto ripercorse le risultanze investigative delineatesi rispetto ai reati-fine di cui ai capi 63, 64 e 65, aventi a oggetto, rispettivamente, l’acquisto di 30 kg. di marijuana al prezzo di 30.000 euro da NOME COGNOME (capo 63), la cessione di parte dello stupefacente acquistato da COGNOME a NOME COGNOME (capo 64) e l’acquisto di un chilo di cocaina da altri soldali (capo 65); in tal senso sono stati valorizzati gli esi dell’attività intercettiva comprovanti il ruolo operativo tenuto da NOME COGNOME nelle operazioni cristallizzate ai capi 63, 64 e 65, la prima delle quali risulta anche aggravata ai sensi dell’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, in ragione dell’ingente quantità dello stupefacente acquistato.
Partendo dalla disamina dei reati fine, il G.I.P. prima e il Tribunale poi sono pervenuti alla coerente conclusione dell’inserimento di COGNOME nell’associazione ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 contestata al capo 62, associazione nella quale il ricorrente ha assunto la veste di organizzatore, occupandosi egli di pianificare gli arrivi dei carichi delle partite di droga e i relativi occultamenti.
Si è rilevato in proposito, in maniera pertinente, che il ruolo di organizzatore attribuito a COGNOME non è inconciliabile con il fatto che egli riceveva le direttiv dal fratello, ben potendo l’organizzatore agire secondo le istruzioni del capo clan, essendo l’organizzazione attività diversa da quella di direzione del sodalizio.
Ad assumere rilievo, pertanto, era il dato, emerso dalle fonti investigative disponibili, che NOME COGNOME ha consapevolmente agito al fine di concorrere all’attuazione del programma criminoso dell’associazione, occupandosi in particolare dell’acquisto, della detenzione e della vendita al dettaglio della droga.
6. In definitiva, almeno per quanto riguarda la valutazione indiziaria tipica della fase cautelare e fatti salvi ovviamente gli eventuali sviluppi probatori nel prosieguo del procedimento penale in corso, occorre evidenziare che la valutazione sui gravi indizi di colpevolezza rispetto ai reati oggetto di imputazione provisoria, in quanto fondata su considerazioni razionali e allo stato coerenti con le acquisizioni investigative, resiste alle censure difensive, che
invero sollecitano sostanzialmente una lettura alternativa delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che non può trovare ingresso in sede di legittimità, dovendosi in tal senso ribadire l’affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Rv. 269884), secondo cui il ricorso per cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero, come nella vicenda in esame, si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
 Ugualmente immune da censure è, infine, il giudizio sulle esigenze cautelari e sulla scelta della misura di massimo rigore.
E invero il Tribunale del Riesame ha ragionevolmente ritenuto non superata la presunzione sulla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., rimarcando (pag. 27 dell’ordinanza impugnata) la notevole potenzialità delinquenziale dimostrata da NOME COGNOME, l’intensità del dolo, nonché l’assenza di elementi idonei a provare l’effettivo e irreversibile allontanamento dall’ambiente criminale in cui sono maturate le vicende illecite e dai fattori causale dei suoi comportamenti, concorrendo ciò a delineare un concreto e attuale pericolo di condotte recidivanti: con tali considerazioni, non manifestamente illogiche, il ricorso non si confronta adeguatamente, per cui deve ritenersi che anche in punto di esigenze cautelari e di scelta della misura, non vi sia spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, i ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME devono essere rigettati, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali,
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 07/11/2023