Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34011 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34011 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATI -0
Il provvedimento impugnato ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese per il furto di 4 tonnellate di stagno e piombo (per un valore di oltre 79.000 euro), di una modesta somma di denaro e di due furgoni (utilizzati per il trasporto della refurtiva), aggravato dalla violenza sulle cose, dal concorso di tre o più persone, dall’aver approfittato di circostanze di tempo (orario notturno) tali da impedire la pubblica o privata difesa, dall’aver cagionato un danno di rilevante entità e, per l’COGNOME, dalla recidiva reiterata specifica: fatto commesso tra il 26 e il 27/3/2023
presso l’azienda RAGIONE_SOCIALE di Azzo (INDIRIZZO).
L’esame di vari sistemi di rilevazione OCR del territorio e del telepass autostradale consentiva di accertare che la OPEL Corsa tg. TARGA_VEICOLO intestata a COGNOME NOME avesse anticipato di pochi secondi (facendo da “staffetta”) il passaggio dei 2 furgoni rubati, sicché, tramite un sistema di geolocalizzazione installato su tale autovettura, si rilevava come il mezzo avesse fatto soste in zone industriali, verosimilmente per sopralluoghi finalizzati alla commissione di nuovi reati.
Dai tabulati telefonici emergeva che l’utenza del COGNOME non avesse generato traffico tra le ore 20:16 del 26/3/2023 e le ore 06:33 del 27/3/2023 (e fosse dunque verosimilmente spento durante la commissione del reato).
In data 5/10/2023, dopo una perquisizione, emergevano gravi indizi a carico del COGNOME dalle conversazioni intercettate con la propria convivente, COGNOME NOME. I due si mostravano preoccupati per le indagini, concordando le versioni da fornire agli operanti (“prendo terapie, bevo, mi drogo, non mi ricordo”). Lo stesso COGNOME si diceva tranquillo in relazione al cellulare sequestrato (che diceva di non avere con sé al momento del furto), ma preoccupato perché un tale “NOME” lo avrebbe potuto chiamare su di esso, asserendo fosse necessario avvertirlo e, parlando del furto commesso a Varese, specificando che “c’era anche lui”.
Nel corso della medesima giornata, da altre conversazioni intercettate si desumeva che il COGNOME avesse discusso con la compagna sull’opportunità di avvisare “COGNOME” e gli altri complici, arrivando a concordare un appuntamento presso l’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” in Canonica d’Adda INDIRIZZO, laddove il COGNOME si portava con la NOME NOMENOME, scesa dall’auto, aveva raggiunto una ragazza seduta ad un tavolo del locale (riconosciuta dagli operanti in COGNOME NOME, che aveva dimora col padre, NOME COGNOME, a circa 350 metri di distanza dal detto locale), intrattenendosi con lei per circa 15 minuti (dopo di che NOME ritornava sull’auto del COGNOME e NOME si allontanava a piedi).
Il che consentiva di ritenere che il NOME la cui presenza era stata asserita dal COGNOME nel furto a VARESE fosse NOME NOME, che lo stesso COGNOME aveva voluto rendere edotto delle indagini in corso.
A riscontro, nel provvedimento impugnato si citano:
-una conversazione del 18/10/2023 in cui NOME NOME veniva indicato da NOME come membro di un gruppo di cinque o sei uomini dediti ai furti in danno di aziende, e in particolare veniva riferito di un precedente furto avente a oggetto una cassaforte contenente C 9.000,00 e metalli;
-una conversazione del 17/12/2023, in cui lo stesso NOME,
parlando con un certo NOME, aveva riferito di voler fare nuovi “lavori” prima di Natale (essendo fermi da due mesi).
Col ricorso a questa Corte, la difesa di NOME NOME lamenta l’inosservanza e/o l’erronea applicazione degli articoli 192, comma 2, e 273 cod. proc. pen., in relazione a quanto contestato, e la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta l’insussistenza dei gravi indizi, basati, a suo dire, su una singola conversazione e sul successivo incontro tra la persona coindagata con il ricorrente e la figlia di quest’ultimo, senza alcun ulteriore riscontro che supportasse l’ipotesi per cui il “NOME” di cui alle conversazioni ambientali intercettate fosse proprio i ricorrente (come, ad esempio, la verifica se fossero intercorsi contatti tra l’utenza cellulare posta in sequestro e quella eventualmente in possesso del ricorrente, nemmeno individuata): tanto al fine di accertare se l’incontro tra una degli indagati e la figlia del ricorrente fosse effettivamente finalizzato ad allertare quest’ultimo.
Si assume che i gravi indizi di colpevolezza necessitassero, anche in fase cautelare, degli stessi requisiti che l’articolo 192, comma 2, cod. proc. pen. prevedeva in genere per la prova indiziaria.
Il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
È anzitutto noto, in diritto, che, «”ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reat addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – giacché il comma 1-bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 de/suddetto art. 192 cod. proc. pen.” (Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Kumbulla, Rv. 281019)» (così, da ultimo, Sez. 2, n.17356 del 28/03/2024, non massimata; confronta, negli stessi termini, Sez. 5, n. 55410 del 26/11/2018 Rv. 274690; Sez. 1, n. 43258 del 22/05/2018, Rv. 275805 e Sez. 3,
n.NUMERO_DOCUMENTO del 08/03/2024, non nnassimata).
Tanto anche perché per l’adozione di una misura cautelare non occorre che sia necessariamente raggiunta la prova di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, essendo, per contro, sufficiente «l’esistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza, indipendentemente dal tipo di prova acquisita» (ancora Sez. 2, n.17356 del 28/03/2024): com’è insito, del resto, in questo giudizio (che, in fase iniziale di indagini, mira a salvaguardare le esigenze cautelari e, dunque, necessita di estrema rapidità).
Per giunta, nella specie gli elementi a carico non risultano affatto di esigua caratura ed appaiono già tendenzialmente concordanti tra loro.
Come anzidetto, infatti, non solo si evidenzia, da parte del giudice a quo, la stretta consequenzialità temporale tra la necessità manifestata dal COGNOME di avvisare il “NOMENOME suo complice e l’incontro tra la sua compagna (COGNOME NOMENOME e la figlia del ricorrente (COGNOME NOME) in un locale nei pressi dell’abitazione dello stesso indagato, ma (come anzidetto) il provvedimento censurato rammenta inoltre, logicamente, elementi ulteriori a carico, emergenti dalla suddetta conversazione del 18/10/2023 (in cui NOME ribadisce che il “NOME” sia parte di un gruppo dedito ai furti in danno di aziende, richiamandone uno avente a oggetto una cassaforte contenente C 9.000,00 e metalli) e, soprattutto, da quella del 17/12/2023, in cui è proprio l’odierno indagato a riferire di voler fare nuovi “lavori” prima di Natale (essendo fermo da due mesi).
Orbene, tali (significativi) riscontri (il secondo certamente riferibile all’odierno indagato e non ad altri “NOME“) non risultano in alcun modo neppure sfiorati dalle censure qui prospettate, che si limitano, apoditticamente ed infondatamente, ad affermare la loro generica assenza.
Al riguardo, deve ribadirsi che il ricorso è inammissibile allorché sollecita una nuova valutazione della fondatezza delle accuse, diversa da quella operata in sede di merito, senza scardinare i capisaldi della logica motivazione impugnata.
È noto che la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U., n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, COGNOME, Rv. 248192). Non integrano, infatti, manifesta illogicità della motivazione né la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali, ritenuta più logica, né minime incongruenze, né la mancata confutazione (nel
provvedimento impugnato) di un’argomentazione difensiva, non essendo tenuto, il giudice del merito, a compiere un’analisi dettagliata di tutte le deduzioni delle parti e di ogni risultanza processuale, essendo sufficiente una valutazione globale tale da esplicitare le ragioni della decisione, specie laddove queste siano incompatibili con quanto sostenuto da parte ricorrente (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 COGNOME, Rv. 226074; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105; Sez. 2, n. 33577 del 26/05/2009, COGNOME, Rv. 245238; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, COGNOME, Rv. 239789; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233187, Sez. 1, n.19769 del 10/04/2024, non massinnata).
Insomma, spetta al giudice di merito la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle prove, che resta insindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogica, contraddittoria o carente (Sez. 5, n. 38138 del 20/06/2023, non massimata).
Solo quando il dato probatorio trascurato o travisato abbia una chiara e decisiva forza demolitoria della logica del provvedimento impugnato, tale da scardinare l’intero ragionamento su cui si fonda il provvedimento impugnato, è possibile riconoscere un vizio motivazionale (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623; Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540; Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, COGNOME, Rv. 237684; Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, COGNOME, Rv. 233621).
In estrema sintesi, in sede di legittimità va posto rimedio alle carenze, alle contraddizioni o alle argomentazioni palesemente illogiche su passaggi motivazionali essenziali ai fini della decisione, non potendosi richiedere di soppesare (diversamente dal provvedimento impugnato) le prove al fine di pervenire a una diversa ricostruzione sul merito della vicenda (Sez. 1, n.19769 del 10/04/2024, non massimata, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623; Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540; Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, NOME, Rv. 237684; Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, COGNOME, Rv. 233621; Sez. 5, n.8938 del 19/01/2022, non nnassimata).
Ma, come detto, parte ricorrente sollecita una rivisitazione del logico giudizio di merito, per giunta trascurandone del tutto passaggi essenziali.
Ne deriva l’inammissibilità del ricorso con cui si miri (ancorché mascherata da una pretesa violazione di legge: vedasi, sulla corretta qualifica, la nota Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 04) a una non consentita
(in questa sede) mera rivalutazione del materiale probatorio, a fronte di una pronuncia, per quanto detto, logica ed esaustiva.
Consegue, a quanto detto, l’esito in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 6/6/2024
Il C nsigliere estensore