Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21585 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21585 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 11/03/2025
R.G.N. 42893/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a Gaildorf (Germania) il 28/02/1970 avverso l’ordinanza del 28/10/2024 del Tribunale del Riesame di Palermo udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 28 ottobre 2024 il Tribunale del riesame di Palermo ha respinto la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 11 ottobre 2024, con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha applicato al predetto la misura cautelare della custodia in carcere per i delitti di cui agli artt. 110, 56-575, 577, comma 1 n. 3, cod. pen., e 2, 4 e 7 legge n. 895/1967 commessi il 29/01/2024, per avere compiuto, in concorso con il proprio figlio NOME COGNOME atti idonei ad uccidere NOME COGNOME esplodendo almeno sei colpi di pistola contro la sua abitazione, ove egli si trovava, con un’arma illegalmente detenuta e portata in pubblico.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, dedotti in primo luogo dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa circa le ragioni di astio di NOME COGNOME verso suo figlio NOME e la sua intera famiglia, e circa le minacce ricevute, poco prima degli spari, da un giovane che, dalla strada, gli aveva intimato di scendere con una frase offensiva, e che egli non aveva riconosciuto, pur non potendo escludere che si trattasse di NOME COGNOME. L’ordinanza ha indicato la sussistenza di altri indizi nel ritrovamento, sul telefono del COGNOME, di un video postato su TikTok in cui NOME COGNOME, figlio di NOME COGNOME, rivolge ingiurie e minacce di morte ad un soggetto chiaramente identificabile in NOME COGNOME; nelle chiamate effettuate dalla vittima NOME COGNOME ad NOME COGNOME poco prima della sparatoria; nelle intercettazioni svolte a carico della famiglia COGNOME, da cui Ł emersa anche un’aggressione compiuta da NOME COGNOME a carico di NOME COGNOME negata però dall’aggredito; infine
nelle dichiarazioni della teste de relato della sparatoria, NOME COGNOME riscontrata, quanto alla responsabilità di questo indagato, dalla telefonata intercorsa tra lui e la vittima circa un’ora prima degli spari, in cui l’indagato avrebbe minacciato la vittima di volersi recare presso la sua abitazione per ‘fargliela pagare’. Ulteriori riscontri di questa testimonianza sarebbero costituiti da una intercettazione successiva al fatto in cui il COGNOME, parlando con un terzo, fa riferimento ai suoi aggressori come ‘padre e figlio’, e dall’aggancio di una cella prossima all’abitazione del COGNOME da parte del telefono di NOME COGNOME la sera del fatto, in orario compatibile con la sparatoria.
Il Tribunale ha valutato l’azione idonea e univocamente diretta ad uccidere la vittima, secondo un giudizio ex ante, nonchØ aggravata dalla premeditazione, stante la telefonata di minaccia intercorsa un’ora prima con il predetto NOME COGNOME e sussistenti gli indizi anche del delitto di detenzione e porto illegale di una pistola.
Infine ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari per il pericolo di reiterazione dei reati, stante la personalità violenta dell’indagato, già pregiudicato anche per reati contro la persona, e stante la sua spregiudicatezza nel compiere, con la complicità del figlio, una sparatoria nella pubblica via, mettendo in pericolo tutte le persone presenti; ha ritenuto altresì necessaria la misura della custodia in carcere, per la pervicacia dimostrata, che rende inadeguate misure meno afflittive, compresa quella degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, misura che non impedirebbe il contatto con altre persone e l’allontanamento da casa, essendo impossibile l’intervento in tempi rapidi, nel caso della sua violazione.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME quale sostituto dell’avv. NOME COGNOME articolando due motivi
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 273 cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata non ha risposto alle doglianze difensive. In primo luogo non ha valutato che la teste COGNOME la stessa persona offesa e sua moglie hanno dichiarato con certezza che l’autore degli spari non era il ricorrente. Le dichiarazioni della teste COGNOME, poi, non sono credibili e sono prive di riscontro, in quanto descrivono una dinamica della sparatoria smentita dagli altri testi, avendo la teste parlato di tre aggressori giunti con un’auto, mentre gli altri testi hanno parlato di due soli aggressori, allontanatisi a bordo di un ciclomotore, e hanno descritto l’autore degli spari come una persona di giovane età, oltre a non riferire la presenza sul posto di NOME COGNOME. Non Ł stata presa in esame la circostanza, evidenziata dalla difesa, secondo cui l’utenza cellulare del ricorrente non ha mai agganciato la cella telefonica della zona in cui si trova l’abitazione della vittima, diversamente da quella di un altro soggetto, nØ Ł stata valorizzata la spiegazione data dal ricorrente, di essersi quella sera recato in una casa di sua proprietà sita a breve distanza dal luogo della sparatoria.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen.
L’ordinanza Ł errata laddove ha ritenuto sussistenti i gravi indizi del delitto di tentato omicidio, invece del solo delitto di danneggiamento. Dalle testimonianze raccolte risulta che i colpi sono stati esplosi contro la veranda dell’abitazione della vittima solo dopo che questa era rientrata all’interno, per cui l’azione non era idonea a cagionarne la morte, neppure sulla base di una valutazione ex ante. Deve anche escludersi che l’autore degli spari abbia agito con il dolo di uccidere, avendo sparato quando era consapevole che la persona offesa non era piø presente nel luogo in cui lui stava indirizzando i colpi. L’autore degli spari, infatti, dapprima ha attirato la vittima sul balcone, intimandole di uscire da casa, e solo dopo che questa ha dichiarato che sarebbe scesa in strada, e si Ł ritirata all’interno, ha sparato nella sua direzione.
L’ordinanza non ha spiegato perchØ tale condotta avrebbe i connotati del grave indizio della
idoneità dell’azione ad uccidere e della volontà omicida dell’agente, risultando perciò manifestamente illogica.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso Ł fondato, e deve essere accolto.
Il ricorrente sostiene la manifesta illogicità dell’ordinanza impugnata, perchØ il Tribunale ha ritenuto sussistenti a suo carico i gravi indizi di colpevolezza, senza valutare adeguatamente che tali indizi consistono nelle sole dichiarazioni della teste COGNOME che non sono riscontrate e sono anzi smentite da quelle dei vari testimoni, compresi la persona offesa e sua moglie, i quali rappresentano la fonte di conoscenza della COGNOME stessa, e non sono supportate da alcun elemento oggettivo.
In merito alla valutazione di un vizio motivazionale di un’ordinanza cautelare deve ribadirsi l’insegnamento contenuto già nella sentenza Sez. U, n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828, secondo cui «in tema di misure cautelari personali, allorchØ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie». Tale verifica deve anche tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, Rv. 264213, tra le molte).
L’orientamento di questa Corte non Ł del tutto univoco circa la natura necessaria per gli indizi che possono consentire l’emissione di un misura cautelare, non sussistendo un pieno accordo tra l’indirizzo maggioritario, secondo cui Ł sufficiente la sussistenza di indizi «gravi», come richiesto letteralmente dall’art. 273, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., che volutamente non richiama l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (così, tra le piø recenti, Sez. 5, n. 7092 del 19/11/2024, dep. 2025, Rv. 287532; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, Rv. 284299; Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Rv. 281019), e quello di alcune pronunce, secondo cui la valutazione della gravità degli indizi richiede un esame anche della loro precisione e concordanza (così Sez. 5, n. 55410 del 26/11/2018, Rv. 274690; Sez. 4, n. 25239 del 05/04/2016, Rv. 267424; Sez. 4, n. 31448 del 18/07/2013, Rv. 257781). Nel presente caso, peraltro, anche alla luce del piø rigoroso indirizzo interpretativo maggioritario, l’ordinanza impugnata appare non adeguatamente motivata, perchØ la valutazione della sussistenza di indizi «gravi» non tiene conto conto della loro limitatezza e della loro scarsa fondatezza.
2.1. Non vi sono dubbi che, come affermato da questa Corte, «In tema di misure cautelari personali, un indizio può definirsi “grave” qualora sia pertinente rispetto al fatto da provare, idoneo ad esprimere una elevata probabilità di derivazione del fatto noto da quello ignoto e dotato di un elevato grado di capacità dimostrativa del fatto da provare» (Sez. 6, n. 26115 del 11/06/2020, Rv. 279610).
L’ordinanza impugnata attribuisce tale gravità alle dichiarazioni della teste COGNOME che ha indicato l’autore degli spari in un giovane che gli inquirenti hanno individuato essere tale NOME
COGNOME, figlio del ricorrente, il quale a dire della teste era accompagnato dal padre e da un altro giovane, che lo attendevano a bordo di un’auto, parcheggiata presso il vicino incrocio. Tale dichiarazione sarebbe riscontrata, quanto al coinvolgimento nel fatto di NOME COGNOME dalla minaccia da questi formulata contro il COGNOME, poco prima della sparatoria, da un’intercettazione in cui il COGNOME descrive i suoi aggressori come ‘padre e figlio’, e dall’aggancio di una cella prossima all’abitazione del COGNOME da parte del telefono del ricorrente, in orario compatibile con il fatto.
Tale valutazione non tiene, però, in adeguato conto il fatto che la teste COGNOME dichiaratamente riferisce informazioni ricevute «la sera stessa dei fatti» dalla persona offesa e da sua moglie, i quali però non hanno mai affermato di avere visto sul posto il ricorrente, al momento della sparatoria, avendo il COGNOME dichiarato con sicurezza che egli non Ł l’autore degli spari, e non avendo egli neppure menzionato la presenza di altri soggetti, oltre all’agente. Tale contraddizione non mina l’attendibilità della teste, ma la diversità tra quanto la persona offesa avrebbe dichiarato a costei ed anche al terzo con cui ha intrattenuto la conversazione citata nell’ordinanza, e quanto egli ha dichiarato agli inquirenti, richiede una valutazione piø approfondita ed esaustiva circa la credibilità della indicazione circa la presenza del ricorrente sul luogo della sparatoria, in occasione del reato. L’ordinanza sembra non tenere conto del fatto, sottolineato nel ricorso, che tale indicazione appare provenire solo dal COGNOME in quanto i testimoni oculari, abitanti nella zona e presenti alla sparatoria, le cui dichiarazioni non sono state riportate nel provvedimento impugnato, avrebbero riferito della presenza di due soli attentatori, fuggiti a bordo di un ciclomotore: una simile testimonianza contrasta insanabilmente con quanto riferito dalla COGNOME, e impone pertanto una specifica valutazione, da parte del Tribunale del riesame, della gravità indiziaria dell’accusa della teste, alla luce di tale rilevante difformità. Erroneamente, poi, l’ordinanza indica quali riscontri alle dichiarazioni della teste COGNOME la minaccia telefonica fatta dal ricorrente al COGNOME, poco prima della sparatoria, e l’aggancio di una cella telefonica prossima all’abitazione di quest’ultimo da parte del telefono del ricorrente. Quest’ultimo indizio non Ł stato sufficientemente approfondito, dal momento che l’ordinanza stessa parla dell’aggancio non della cella corrispondente all’abitazione della vittima, ma di una cella solamente «sita in prossimità» di questa, senza chiarire se Ł possibile che tale aggancio sia avvenuto nonostante il ricorrente si trovasse, come affermato dalla teste COGNOME, all’angolo della strada, ovvero se la lontananza della cella dal luogo della sparatoria implica che egli fosse, in realtà, in una zona diversa da quella asserita. La minaccia telefonica, poi, Ł un indizio rilevante circa l’esistenza di gravi contrasti tra il COGNOME e il COGNOME, tali da confermare la tesi accusatoria di un’aggressione portata da membri della famiglia COGNOME, ma non Ł idoneo a supportare l’ipotesi della diretta partecipazione ad essa di NOME COGNOME, anche perchØ in tale telefonata egli avrebbe minacciato il COGNOME di «prenderlo a bastonate», e quindi di voler compiere un atto punitivo ben diverso rispetto ad un agguato compiuto mediante l’uso di armi da sparo.
2.2. La motivazione dell’ordinanza impugnata in merito alla gravità degli indizi a carico di NOME COGNOME circa la sua diretta partecipazione al fatto, e quindi anche al porto della pistola usata per la sparatoria, appare, pertanto, carente e illogica, avendo valutato credibile il contenuto della testimonianza della COGNOME, senza tenere conto dell’assenza di riscontri sia da parte di coloro che costituiscono la fonte delle sue conoscenze, sia da parte dei testimoni oculari che, secondo quanto indicato nel ricorso, avrebbero riferito circostanze incompatibili con l’asserita presenza del ricorrente a bordo di un’auto, ed avendo ritenuto probanti di tale presenza anche indizi generici, ovvero dimostrativi solo dell’esistenza di un grave stato di conflitto tra le famiglie del ricorrente e della vittima, che può avere determinato l’aggressione, ma da parte di altri membri della famiglia COGNOME, avendo l’ordinanza stessa ricordato che il figlio del ricorrente, NOME COGNOME Ł indagato quale autore degli spari.
L’ordinanza deve, pertanto, essere annullata sul punto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di NOME COGNOME per entrambi i delitti a lui ascritti, e rinviata al Tribunale del riesame per una nuova valutazione.
Il secondo motivo di ricorso, invece, Ł infondato e deve essere rigettato. La qualificazione giuridica dell’azione come un tentativo di omicidio, e non come un mero danneggiamento, Ł adeguatamente motivata, nei limiti richiesti dalla presente fase cautelare, alla luce delle sue concrete modalità esecutive.
L’arma usata, il numero dei colpi e la loro direzione verso la veranda da cui l’agente stesso aveva fatto affacciare la vittima, raggiunta da almeno quattro proiettili, sono stati logicamente ritenuti dimostrare sia l’astratta idoneità dell’azione ad uccidere, sia la volontà omicida dell’autore degli spari stessi. Non Ł fondata l’obiezione del ricorrente, secondo cui l’agente avrebbe atteso che la persona offesa facesse rientro in casa, allontanandosi dalla veranda, prima di iniziare a sparare, potendo così essere certo di non cagionarne neppure il ferimento: il COGNOME ha dichiarato che gli spari iniziarono pochissimi secondi dopo che egli si era ritirato dalla veranda, addirittura «due-tre secondi dopo». Un tempo così breve Ł stato logicamente valutato come non tale da dimostrare l’inidoneità dell’azione, ben potendo il COGNOME trovarsi ancora dietro i vetri della veranda stessa, così da poter essere raggiunto dai colpi, nØ l’autore di questi ultimi poteva essere certo che, in quel punto e in quel momento, non vi fosse nessuno dei vari occupanti della casa.
La motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto Ł priva, quindi, dei vizi dedotti, e non Ł suscettibile di censura.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve pertanto essere accolto, con specifico riferimento al primo motivo di ricorso, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale del riesame di Palermo per un nuovo giudizio in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del ricorrente, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
La presente decisione non comporta la rimessione in libertà del ricorrente; pertanto deve disporsi la trasmissione di copia del provvedimento, a cura della cancelleria, al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 11/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME