Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18811 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18811 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Messina il 18/04/1983 avverso l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Messina del 06/08/2024; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 2020 dal Procuratore generale, che ha concluso per la inammissibilità del ricors
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 agosto 2024 il Tribunale della Libertà di Messina pronunciandosi in relazione alla istanza di riesame avanzata dall’odierno ricorr avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Mess del 6 luglio 2024 (con cui era stata applicata a COGNOME Fabio la misura della cust
cautelare in carcere in relazione al reato di partecipazione al reato di cui al capo 1) -art. 74 d.P.R. n. 309/90, con contestazione dal novembre 2020 fino all’attualità- ed ai reati di cui ai capi 4), 5), 6) 7) e 14) -agli artt. 110 cod p 73 d.P.R. n. 309/90, nelle date partitamente indicate-) ha rigettato l’istanza confermando l’ordinanza genetica.
A mezzo del difensore di fiducia COGNOME ha proposto tempestivo ricorso, affidato ad un unico motivo con cui lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., violazione di legge -art. 273 cod.proc.pen.- e, ex art. 606, comma 1, lett e) cod.proc.pen., e correlato vizio di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 74, commi 1, 2 e 3, d.P.R. 309/90, sodalizio diretto da COGNOME NOME e organizzato da COGNOME, accertato in Messina dal novembre 2020 sino all’attualità.
Secondo prospettazione difensiva il Tribunale, dinnanzi al quale la difesa aveva criticato gli argomenti indiziari valorizzati dal giudice per le indagini preliminari peloritano in quanto generici, frutto di travisamento dei fatti illogicamente valutati, avrebbe semplicemente compendiato la motivazione del primo giudice, incorrendo nelle medesime criticità originariamente denunciate. Contesta, dunque, il travisamento dell’elemento indiziario, id est la frase “quelli del Bisconte”, in tesi erroneamente individuati nel COGNOME e nella COGNOME, da cui l’affermazione della partecipazione del ricorrente, col ruolo come sopra contestato, al sodalizio capeggiato da COGNOME sin dal 1 novembre 2020, data dell’episodio scaturigine delle indagini, l’arresto di COGNOME. Il ricorso ripercorre le fonti indizia e precisamente le conversazioni intercettate prese in considerazione dal Tribunale, onde disarticolare il percorso logico argomentativo sotteso alla affermazione dell’esistenza dell’organizzazione criminale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Giova una preliminare essenziale ricostruzione del quadro procedimentale, come risultante dall’ordinanza impugnata che, nelle 58 pagine di motivazione, da leggersi in uno con l’ordinanza genetica, ripercorre, puntualmente, le emergenze investigative su cui fonda la affermazione di sussistenza del sodalizio criminoso contestato al capo 1), descrivendo (in particolare alle pagine 7 e 8) le ragioni della individuazione di NOME quale capo, con compiti direttivi e organizzativi, per poi passare ad esaminare la posizione dell’odierno ricorrente, COGNOME che «organizzatore del gruppo criminale, organizzava le trasferte fuori sede per l’approvvigionamento della sostanza, individuava i soggetti che a tali adempimenti
dovevano partecipare, garantiva il sostentamento degli arrestati e dei loro familiari, il tutto in costante contatto con NOME con il quale tentava di rinvenire soluzioni ai problemi insorti» (cfr. pag 8 e segg della motivazione del Tribunale del riesame).
Attesta il Tribunale la sussistenza di tutti i tratti caratteristici dell’associazion in contestazione, «gruppo criminale capeggiato dall’indagato COGNOME dedito a operare nel territorio messinese, con contatti anche nel territorio calabrese e in quello catanese, per il reperimento, il trasporto, la detenzione e lo smercio di sostanza stupefacente», traendone motivo dai plurimi contatti sussistenti tra gli indagati e dall’interesse evidente di tutti costoro nelle attività compiute dall’organismo criminale.
A proposito di Arigò il Tribunale spiega come presso la di lui abitazione si tenessero i summit coi soggetti provenienti dal territorio calabrese; come presso la detta abitazione il capo non disdegnasse di cedere sostanze stupefacenti a terzi, con la partecipazione della compagna COGNOME e dello stesso COGNOME, odierno ricorrente; come la presenza ivi di COGNOME (‘compare’) fosse tutt’altro che occasionale e, confermata da servizi di o.c.p., giustificata dalla finalità organizzativa degli illeciti (dalle risultanze intercettative, in particolare quella de 20 aprile 2021, si comprende come i comuni interessi fossero centrati sui debiti, cospicui, vantati nei confronti di terzi soggetti, maturati come corrispettivo della cessione di una considerevole quantità di stupefacente) e anche dai relativi passaggi di denaro (valgano, a solo titolo esemplificativo, le emergenze del 24 aprile 2021 come compendiate nell’informativa del 4 maggio 2021); come ivi si tenessero una serie di incontri tra gli indagati quali sodali ed anche col catanese COGNOME NOME, incontri cui reiteratamente partecipava il ricorrente COGNOME; come ivi, tra l’altro, siano stati rinvenuti complessivi grammi 2.752 di marijuana, e si sia proceduto all’arresto, il 22 maggio 2021, dei coniugi COGNOME in flagranza di reato, evenienza a seguito della quale gli stessi cercavano un incontro proprio con COGNOME e COGNOME (emergenze da cui, tra l’altro, la gravità indiziaria in ordine al concorso nel reato di cui al capo 14). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le fonti investigative, anche quelle in particolare attestanti la partecipazione di COGNOME alla associazione di che trattasi, sono perciò analizzate, a partire dal fatto scaturigine dell’indagine -l’arresto di NOME NOME del 1 novembre 2020- e dal conseguente disvelamento dei rapporti tra NOME e NOME NOME COGNOME che in quella occasione, compartecipe delle operazioni inerenti la droga da lei poste in essere, la accompagnava, benchè, una volta caduta nella rete delle forze di polizia, la abbandonasse, e tra costoro e COGNOME NOMECOGNOME
E nel ripercorrere le fasi di organizzazione della trasferta della Sciuto, da parte di “quelli là del Bisconte”, il Tribunale individua costoro in COGNOME NOME, odierno
ricorrente (col quale risultano una serie di contatti telefonici dell’arrestata, via whatsapp, su applicazione Signal; oltre che ben 31 contatti tra il 1 ottobre 2020 e 1’11 gennaio 2021), e NOME, detta NOME, sua compagna di vita. Mentre, nel discutere le emergenze contestuali ai fatti dello stesso 1 novembre 2020, il Tribunale censisce ed evidenzia, durante il controllo del Papa, come «dall’esame del telefono cellulare si notavano numerosi tentativi di contatto posti in essere da un’utenza avente n. 3791869103, intestata ad COGNOME NOME ma registrata con il nome di NOME COGNOME a testimonianza dell’evidente interessamento nell’attività quel giorno compiuta, di cui si intendevano conoscere i dettagli e verosimilmente gli esiti».
Contributo alla vita associativa, quello del COGNOME (e della compagna COGNOME), desunto, anche, dalla verifica e discussione delle ulteriori fonti investigative (intercettazioni telefoniche e tabulati e tracciamento celle impegnate nel corso delle conversazioni e dei contatti tutti puntualmente indicati) relative:
-al capo 4 di contestazione, relativo alla trasferta per l’acquisto di sostanza stupefacente unitamente al Papa, contestato il 21 gennaio 2021, frutto di una capillare organizzazione risalente già agli ultimi giorni del 2020 (cfr. pag 17 e segg);
-al capo 5 di contestazione, relativo alle reiterate cessioni di stupefacente da parte della coppia NOMECOGNOME in favore della pusher COGNOME NOME, tra l’aprile e il maggio 2021 (arresto le cui circostanze risultano dalla annotazione di servizio del 4 maggio 2021 e dal controllo operato a carico della COGNOME da cui il suo arresto, cfr. pg 30 e segg: l’ordinanza indica le risultanze investigative nel contenuto delle conversazioni intercettate, dai primi di .aprile fino al maggio 2021, con la traditi° della droga, cripticamente appellata con serialità ‘profumo’, ma anche ‘conserva’ nelle conversazioni tra le due donne), cessioni assicurate proprio da NOME, talvolta in luogo pubblico (24 aprile 2021), talaltra presso l’abitazione di De Marco (4 maggio 2021), con contestuale ricezione del pagamento e immediato trasferimento del denaro da parte di COGNOME al proprio creditore, nell’occorso non identificato; la vicenda seguita in diretta dagli operanti, dava ragione dell’arresto eseguito il giorno seguente a carico di COGNOME, trovata in possesso di 200 grammi di marjivana, stupefacente di peso e tipologia corrispondente a quanto dalla donna dedotto nella conversazione del 4 maggio 2021 col COGNOME, prova dell’operatività della coppia quali piazzisti su Messina, rifornendo la COGNOME a sua volta in grado di vendere lo stupefacente nel mercato della zona di sua residenza;
-ai capi 6 e 7 di contestazione, relativamente ai quali, ancora una volta, le intercettazioni tra COGNOME e COGNOME sono alla base della ricostruzione degli accadimenti relativi al canale di smercio dagli stessi curato nella zona nord della
città di Messina, villaggio rivierasco di Acqualadroni, con riferimento a tale ‘Topolino’, soggetto parzialmente inadempiente, ed ad altro acquirente, il ‘catanese’, più affidabile (per la chiarezza degli esiti investigativi descritti i ordinanza si fa direttamente riferimento alle pagina 43 e segg).
Da tanto, si ribadisce, il Tribunale ha fondatamente tratto non solo la affermazione della gravità indiziaria per i descritti reati fine, ma, anche, riprova del diretto interessamento del ricorrente nella gestione delle attività prodromiche allo spaccio, nel piazzare la sostanza stupefacente e nella individuazione dei soggetti a ciò deputati, traendone ragione dai contatti intrattenuti con NOME (che appare sulla scena investigativa non nel maggio 2021, ma sin dal novembre 2020), proprio in ragione della «spiccata capacità organizzativa emersa …, del costante e concreto apporto … fornito all’associazione criminale, del ruolo di punto di raccordo dal predetto assunto tra i sodali e con i soggetti esterni, protagonisti a vario titolo delle vicende oggetto di esame».
Ed ha altresì dedotto la sussistenza di cogenti esigenze di cautela come specificamente indicate a pag 56 e segg della ordinanza.
Questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178).
Conseguentemente, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475).
Parametro ermeneutico centrale ai fini della delimitazione della cognizione della Corte in materia cautelare è quello secondo il quale non è conferita a questo
giudice di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi; e nemmeno è dato alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Donde l’inammissibilità delle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono in realtà nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., tra le altre, Sez.1, n.7445/2021).
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti, cioè, prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
2.1. Quanto alla nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare si è affermato come la stessa non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (cfr. ex multis Sez. 5 n. 36079 del 5/6/2012, COGNOME ed altri, Rv. 253511). Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. Ciò lo si desume con chiarezza dal fatto che l’art. 273, comma 1 bis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (così univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15.3.2013, COGNOME, rv. 256731; sez. 6 n. 7797′. del 5.2.2013, COGNOME, rv. 255053; sez. 4 n. 18589 del 14.2.2013, Superbo, rv. 255928).
2.2. Se quelli appena illustrati sono, dunque, i limiti del sindacato di questa Corte in punto di sussistenza della gravità indiziaria, la stessa lettura dei motivi del ricorso in esame palesa che ivi si propongono e sviluppano censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una proposta alternativa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, a fronte di argomentazioni spese nel provvedimento impugnato che appaiono congrue
rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, per cui quello che si chiede è proprio quello che questo giudice di legittimità non può fare, e cioè una rivalutazione nel merito del compendio indiziario.
Osserva il Collegio, comunque, che non risulta essersi verificata alcuna violazione di legge e che non risulta vizio di motivazione rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen..
La motivazione del tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria è stata prospettata, in concreto e diffusamente, in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
A fronte del descritto corposo compendio indiziario -solo sinteticamente riprodotto, nei limiti di quanto utile alla discussione dei motivi di ricorsocorrettamente interpretato in aderenza alle risultanze in atti, la motivazione resa dal Tribunale è immune, anche, dal preteso travisamento della prova indiziaria, denunciato con riferimento ad una sola espressione tratta da una sola intercettazione (che, al più, comunque, riverbererebbe sulla sola attribuibilità all’indagato dell’organizzazione dell’episodio oggetto di contestazione a COGNOME, laddove fondamento dei gravi indizi a suo carico si trae da una pletora di ulteriori fonti, neppure dalla difesa contestate, sicchè corretta è l’affermazione del Tribunale della Libertà di Messina in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza legittimanti, ai sensi dell’art. 273 cod proc pen., l’applicazione della misura cautelare al ricorrente.
3.1. Pur non potendosi parlare di «doppia conforme», le due ordinanze cautelari -genetica e del Tribunale della Libertà- pervengono a conclusioni sovrapponibili, seguendo i medesimi passaggi argomentativi, sicché esse si integrano, formando un unicum, e la prospettata censura di travisamento della prova va parametrata alla motivazione così complessivamente risultante.
Le obiezioni della difesa circa la lettura fornita dai giudici di merito della frase intercettata -“quelli del Bisconte”- attengono alla ritenuta portata dimostrativa del contenuto della conversazione stessa, che costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, COGNOME, Rv. 239724). È possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di
un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, 2018. COGNOME, Rv. 272558 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252190 – 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, COGNOME, Rv. 237994).
Tuttavia, la difesa non ha dedotto illogicità evidenti desumibili dal testo della sentenza impugnata, nè ha assolto il peculiare onere di rappresentare in modo adeguato l’eventuale vizio di travisamento della prova (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, dep. 03/10/2008, COGNOME, Rv. 241023).
Sicchè il motivo, per le ragioni sopra dedotte inammissibile, e tale anche perché non si confronta con la motivazione resa risultando perciò generico, è, anche, alla stregua di quanto risultante in atti, manifestamente infondato.
3.3. Inoltre il travisamento della prova che è consentito dedurre in cassazione può consistere: a) nella contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame; b) dall’errore cosiddetto «revocatorio», che, cadendo sul «significante» e non sul «significato» della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, PG COGNOME).
Il «travisamento della prova» è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione.
Per aversi vizio di travisamento della prova «è necessario, insomma, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice».
Tale vizio, inoltre, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a «disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato» (così anche Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085 – 01, secondo cui il vizio di motivazione rileva nei limiti in cui «possa scardinare la logica del provvedimento, creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali»).
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve, quindi, avere carattere di «decisività» (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, C., Rv. 259196).
In ogni caso, non spetta a questa Corte «rivalutare» il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01).
3.4. Nessuna delle dedotte evenienze ricorre nel caso di specie.
Inammissibili per genericità intrinseca ed estrinseca sono anche le censure svolte in tema di insussistenza della prova del consesso associativo, e della partecipazione allo stesso del ricorrente (le Sezioni Unite della Corte n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; conformi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 – 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 – 01, hanno precisato che i motivi di impugnazione sono affetti da genericità «estrinseca» quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l’atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425), e da genericità «intrinseca» quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come nel caso di appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto (ex multis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992, Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l’entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (ex multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 261094) ).
4.1. Quello di partecipazione alla associazione è reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice.
Questa Corte ha precisato che, ai fini della determinatezza dell’imputazione di condotta di partecipazione al sodalizio in oggetto, non è neppure necessaria l’indicazione dello specifico ruolo eventualmente rivestito dal partecipante. In termini Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021 Ud. (dep. 04/10/2021 ) Rv. 282139 01, laddove, se pure è stato affermato che la commissione di più reati-fine in concorso con singoli partecipi al sodalizio non è vicenda fattuale di per sé idonea ad integrare di per sé l’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla
partecipazione al reato associativo, è pur vero che rilevano rapporti -come nel caso di specie esistenti- che costituiscano forme di interazione nell’ambito di un gruppo organizzato, significative di riferimenti al ruolo esponenziale dei predetti per conto della consorteria (così Sez. 3, n. 9036 del 31/01/2022 Cc. (dep. 17/03/2022) Rv. 282838 – 01).
Fermo restando che, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell affectío di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi -come nella specie- l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato ( cfr. Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021 Cc. (dep. 22/11/2021 ) Rv. 282122 – 01).
4.2. La partecipazione del ricorrente al sodalizio è, dal Tribunale, affermata sulla base di una lettura sinergica e complessiva del compendio disponibile, valorizzato non solo nella parte in cui si sostanziano i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati fine a lui cautelarmente imputati, ma, anche relativamente alle risultanze più direttamente inerenti alla persona del capo COGNOME ed alla collaborazione prestata a lui ed alla moglie.
L’attività investigativa consistita in o.c.p., in attività intercettive dei telefo · usati dai sodali, nei sequestri eseguiti, nell’esame dei tabulati telefonici, ha provato, sia pure coi limiti della fase cautelare, l’esistenza di una stabile organizzazione dedita al narcotraffico nel territorio della provincia di Messina.
A capo del gruppo si pone certamente COGNOME NOMECOGNOME con funzioni di organizzatore logistico il ricorrente; gli altri soggetti sono indagati quali partecipi al sodalizio. Tra costoro il ricorrente, in posizione di rilievo, il quale, con il compito di organizzare le trasferte fuori sede per l’approvvigionamento della sostanza, individuava i soggetti necessari per le trasferte, garantiva il sostentamento degli associati arrestati e dei loro familiari.
Tutto ciò risulta ampiamente provato in atti e minuziosamente descritto dal Tribunale nel provvedimento confermativo. Tutto ciò evidenzia un’attività di narcotraffico che come esattamente ritenuto dal Tribunale appare essere ingente almeno stando alla ricostruzione fattuale possibile in questa prima fase cautelare.
Il ricorso deve dunque essere dichiarato, per tutte le ragioni sopra discusse, inammissibile.
Ne consegue l’onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art., 94, comma 1-ter, disp att cod proc pen.
Così deciso in Roma il 29 gennaio 2025
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Il Presidente