Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37250 Anno 2025
RITENUTO IN FATTO Penale Sent. Sez. 4 Num. 37250 Anno 2025 Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
1. Il difensore di NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso il 12 maggio 2025 con cui il Tribunale di Napoli ha rigettato la Data Udienza: 10/09/2025
richiesta di riesame, avanzata nell’interesse del predetto, avverso l’ordinanza emessa il 16 aprile 2025 dal AVV_NOTAIO per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie di furti di tabacchi e di ‘gratta e vinci’, contestata al capo 1) della rubrica provvisoria.
1.1. Secondo la ricostruzione operata dai Giudici della cautela, il sodalizio agiva nelle province di Caserta e di Napoli con un articolato modus operandi, messo in atto solo a seguito di intere giornate dedicate all’espletamento di sopralluoghi finalizzati alla buona riuscita del colpo. Ed invero, in maniera reiterata e con una perfetta ed articolata sinergia, il gruppo effettuava sopralluoghi presso le rivendite da derubare; studiava la conformazione delle serrature dei locali per poi procedere alla riproduzione delle chiavi; si muniva di targhe adesive contraffatte e noleggiava ovvero in altro modo procurava i veicoli con i quali compiere le attività di sopralluogo oppure i furti.
1.2. Principali fonti di prova sono costituite dalle risultanze emerse da operazioni di intercettazione telefonica, dal monitoraggio tramite GPS dei veicoli utilizzati dai correi, dall’acquisizione delle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza presenti presso le rivendite di tabacchi, dai servizi di o.c.p., dai sequestri a carico degli indagati e dall’analisi della copia forense del contenuto dei telefoni cellulari sequestrati nel corso delle indagini.
1.3. Allo COGNOME è contestato il ruolo di partecipe, preposto ad effettuare personalmente i sopralluoghi presso gli esercizi poi oggetto di furto; in alcuni casi, egli procurava le targhe contraffatte da applicare su quelle originali e realizzava materialmente i furti.
2. Il ricorso consta di due motivi:
2.1 Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 292 e 274 cod. proc. pen., nonché in relazione all’art. 416 cod. pen. Il difensore richiama la memoria depositata in udienza nella quale, a suo dire, si evidenziava la carenza della gravità indiziaria sulla base degli elementi riportati anche nel presente ricorso. Si rappresentava, in particolare, come non fosse affatto dimostrata l’utilizzazione da parte dell’indagato dell’utenza già ritenuta in uso al COGNOME e come fosse priva di supporto istruttorio l’affermazione secondo cui nell’intercettazione ambientale citata, il ‘NOME‘ chiamato in causa da COGNOME fosse realmente lo COGNOME. Evidenziava altresì la difesa che non risultava provato che l’indagato avesse preso parte stabilmente alla contestata consorteria con il compito di reperire targhe contraffatte e
di partecipare alla realizzazione materiale dei reati fine. La difesa ricorda come nella memoria difensiva si fosse contestata la tesi, formulata dalla polizia giudiziaria, della compatibilità delle sembianze di uno dei soggetti ritratti nelle immagini di videosorveglianza con una foto segnaletica dello COGNOME risalente al 2019. Sul punto, il Tribunale non avrebbe fornito risposta. Né l’essere stato colto in presenza degli altri asseriti partecipi all’associazione può ritenersi prova dell’intraneità dell’indagato alla stessa. Per nulla adeguata sarebbe poi la motivazione nella parte riguardante l’identificazione del prevenuto. La difesa rammenta di avere contestato la circostanza che fosse lo COGNOME ad interloquire con NOME COGNOME . Apparente poi sarebbe la motivazione con riguardo al riconoscimento del timbro vocale operato dalla polizia giudiziaria, tenuto conto che alla data del 13 giugno 2024 il cellulare del ricorrente non risultava ancora sottoposto ad intercettazione. L’ordinanza impugnata non avrebbe illustrato le ragioni della stabilità anche nel tempo dal sodalizio;
2.1. Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e mancanza di motivazione rispetto alle ravvisate esigenze cautelari, il cui apprezzamento non avrebbe tenuto conto dei ruoli ascritti ai singoli partecipi, essendo stato operato sulla scorta della gravità dei reati in contestazione, ritenuta per tutti gli indagati, sebbene la posizione del prevenuto fosse la meno gravata rispetto a quella di altri soggetti. Sarebbe mancata in conseguenza una valutazione concreta della sua personalità e non sarebbe stato assolto l’obbligo motivazionale imposto dalla risalenza nel tempo del contestato reato associativo. Il Tribunale non avrebbe illustrato le ragioni che fondano, in termini di attualità e concretezza, la permanenza di esigenze preventive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo si appalesa manifestamente infondato, ripropositivo di motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito – dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex multis , Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour Sami, Rv. 277710) -, nonché esplicitamente volto ad investire profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico -giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum . Giova ricordare che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di
sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428).
Occorre preliminarmente ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno già avuto modo di chiarire che «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828. In motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza).
Questa Corte, inoltre, ha più volte chiarito che, in tema di misure cautelari, la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 17247 del 14/03/2019, COGNOME NOME, Rv. 276364; Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683;
Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576). Invero, al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (per questa ragione l’art. 273, comma 1bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192, commi 3 e
4, medesimo codice, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi). Deve, peraltro, ricordarsi che la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e che, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana , Rv. 255460).
Deve poi ribadirsi che, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali in materia, il AVV_NOTAIO a quo ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, la quale è sorretta da motivazione
lineare e coerente essendo, pertanto, sottratta ad ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.
La Corte di appello ha affermato la sussistenza di un grave quadro indiziario sulla base di una valutazione complessiva e coordinata di plurimi elementi, illustrati con motivazione congrua e non manifestamente illogica. Le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, di alcuni singoli elementi di fatto e delle risultanze di indagine che il Tribunale del riesame giudicava idonei ad integrare il compendio probatorio, senza valutare l’esauriente e logica ricostruzione operata nella sentenza impugnata.
Quanto all’identificazione vocale dello COGNOME, va premesso che il riconoscimento informale della voce dell’imputato, operata da un teste in dibattimento dopo aver ascoltato una telefonata registrata, costituisce un accertamento di un dato fattuale, utilizzabile nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (Sez. 6, n. 27911 del 23/09/2020, Mura, Rv. 279623); la ricognizione di voce costituisce un valido indizio quando è ritenuta attendibile la deposizione di colui che, avendo ascoltato la voce dell’imputato, afferma di identificarlo con sicurezza (Sez. 1, n. 35011 del 08/05/2013, NOME, Rv. 257209). La Suprema Corte ha più volte chiarito che sono utilizzabili, salva la verifica di attendibilità del teste da compiersi nel dibattimento, i verbali di riconoscimento vocale dell’identità degli interlocutori delle conversazioni intercettate, da parte degli ufficiali di polizia che avevano ascoltato le telefonate (Sez. 1, n. 22722 del 06/03/2007, Grande Aracri, Rv. 236763). Qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di taluni imputati (Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME, Rv. 252712), alla stessa stregua in cui può utilizzare qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, COGNOME, Rv. 269900; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259478).
Ciò posto sui principi operanti in materia, nella fattispecie, la Corte di appello ha fornito adeguata risposta ai dubbi sollevati dalla difesa in ordine all’identificazione personale, attribuendo rilievo alle dichiarazioni rese dagli agenti di polizia giudiziaria, che avevano ascoltato le numerose conversazioni captate nonché alle utenze in uso agli imputati. Il prevenuto, peraltro, in sede di interrogatorio di garanzia, non aveva contestato l’attribuzione a sé medesimo dei dialoghi riportati nell’ordinanza. Il Collegio rileva che il ricorrente reitera le generiche censure già prospettate in sede di riesame, senza neanche tentare di confutare le predette risultanze e senza fornire elementi utili a smentire
l’impianto accusatorio, ma limitandosi a formulare prospettazioni di natura congetturale e a contestare il riconoscimento vocale da ritenere pienamente valido ed utilizzabile alla luce dei principi giurisprudenziali sopra riportati. Né viene prospettata la necessità di espletare di una perizia fonica.
La sentenza impugnata dà poi conto di come il compendio indiziario non sia costituito esclusivamente dalle mere frequentazioni dello COGNOME con vari soggetti inseriti nell’associazione de qua , accertate in occasione dei controlli di polizia giudiziaria o verificate in conseguenza dell’audizione delle intercettazioni. I Giudici della cautela hanno fornito una dettagliata ricostruzione del contenuto delle conversazioni captate, che contenevano precisi riferimenti alle dinamiche preparatorie dei furti ai danni delle tabaccherie, tra le quali l’organizzazione e l’esecuzione d ei sopralluoghi presso gli esercizi da colpire, i luoghi di sosta da prescegliere, la verifica di eventuali ulteriori esercizi nelle vicinanze in posizioni tali da sconsigliare l’espletamento dell’attività illecita, l’apposizione di targhe false sui veicol i adoperati dal gruppo.
L’attendibilità degli indizi non può essere rapportata a tutte le conclusioni astrattamente compatibili con i fatti noti, avendo quindi l’indagato, l’onere, onde evitare che il giudice compia la verifica di attendibilità degli indizi nella sola prospettiva dell’ipotesi formulata dall’accusa, di proporre una plausibile ricostruzione alternativa (Sez. 3, n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, Marotta, Rv. 281047). In sostanza, a fronte dell’esistenza di conclusioni logicamente infinite compatibili co n fatti noti, l’accusato non può limitarsi ad offrire le possibili interpretazioni dei fatti, ma ha l’onere di proporre una plausibile ricostruzione alternativa, se vuole evitare che il giudice compia la verifica di attendibilità degli indizi nella sola prospettiva dell’ipotesi formulata dall’accusa (Sez. 3, n. 26968 del 10/03/2022, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 2471 del 31/10/1995, Annis, Rv. 203391).
In proposito l’ordinanza impugnata in esito alla coerente lettura del materiale acquisito -ha puntualmente negato plausibilità alla diversa ipotesi difensiva che, in definitiva, si è limitata a fornire, quanto alle circostanze di fatto evidenziate, spiegazioni separate, non intrinsecamente connesse le une con le altre e prive di qualsivoglia riscontro. La valutazione di non plausibilità delle ipotesi alternative, siccome formulata dall’ordinanza impugnata, si presenta certamente non irragionevole e anzi dotata di ben sufficiente logicità. Tanto più che, proprio ai fini dell’accertamento di responsabilità , è invero necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il percorso argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un’ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237). In specie, invero, non è certamente viziato il percorso argomentativo, del tutto idoneo invece a fondare il
giudizio di qualificata probabilità, di cui alla sede cautelare (Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Kumbulla, Rv. 281019).
La sentenza impugnata ha illustrato adeguatamente l ‘apporto stabile fornito dallo COGNOME all’associazione criminosa e alla realizzazione degli scopi illeciti perseguiti , evidenziando come, a lla luce dell’interpretazione del tenore e dell’epoca dei colloqui intercettati nonché della pluralità di circostanze in cui è emersa la compresenza dello COGNOME con i complici, la sua partecipazione non possa essere circoscritta a meri rapporti familiari con il presunto parente COGNOME.
Quanto al secondo motivo di ricorso, giova ricordare che il pericolo di reiterazione del reato deve essere non solo concreto – fondato cioè su elementi reali e non ipotetici – ma anche attuale, nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita; tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice, che, invece, deve effettuare un’analisi accurata della fattispecie concreta, della quale deve darsi atto, appunto, compiutamente in motivazione (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, dep. 2017, Verga, Rv. 269684; Sez. 2, n. 53645 dell’08/09/2016, COGNOME, Rv. 268977).
La Corte di cassazione (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242, Rv. 277242) è ormai ferma nel ritenere che, in tema di misure cautelari, il requisito dell’attualità del pericolo, previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c ), cod. proc. pen., non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale.
In altri termini, il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta (Sez. 2, n. 47891 del 07/09/2016, COGNOME, Rv. 268366; Sez. 2, n. 44946 del 13/09/2016, COGNOME, Rv. 267965), poiché la valutazione di attualità cautelare si risolve nella verifica di una congrua e coerente motivazione sulla “attuale”, permanente sussistenza dell’esigenza di disporre o tenere ferma la misura cautelare per il pericolo di reiterazione del reato. Tanto premesso, nella fattispecie in esame il Tribunale del riesame ha correttamente riconosciuto la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. in ragione della minuziosa organizzazione del sodalizio, d ell’attività illecita organizzata in forma preordinata e seriale, del collaudato modus operandi , dell’elevato numero di sopralluoghi indicativo di costante proiezione verso gli obiettivi da prendere di mira, della programmazione dei furti in più parti del territorio campano, dell’adozione
di tecniche idonee a rendere difficoltosa l’interpretazione dei dialoghi e dei numerosissimi precedenti penali dello COGNOME (due precedenti per associazione a delinquere, quaranta precedenti per furto, ricettazione, rapina, detenzione di stupefacenti ed evasione).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle pese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 10 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME NOME COGNOME