Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23746 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23746 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Locri il 29/12/1987,
Strangio NOMECOGNOME nato a Locri il 06/05/1991, avverso l’ordinanza in data 11/02/2025 del Tribunale di Roma, Sezione per il riesame;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il difensore degli indagati, avv.to NOME COGNOME che ha chiesto, in accoglimento del ricorso proposto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11/02/2025, il Tribunale di Roma, Sezione per il riesame, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero presso la locale Procura della Repubblica avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, il precedente 24/04/2024, aveva rigettato l’istanza cautelare, ha disposto, nei confronti di COGNOME NOME, la misura della custodia in carcere e, nei confronti di COGNOME Guido, quella degli arresti domiciliari in relazione al delitto di illecita cessione di sostanz
stupefacente di ingente quantità (indicato al capo 21), ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorsi per cassazione il difensore del Nirta e dello COGNOME, avv.to NOME COGNOME che ha articolato un unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con tale motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 273 e 274 cod. proc. peri, e il vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari.
Sostiene, in primis, che, nella decisione impugnata, non sarebbe stata adeguatamente argomentata la ritenuta sussistenza di gravità indiziaria in ordine al delitto in contestazione, posto che, a fronte di un compendio intercettativo di tenore quantomai vago, riguardante, peraltro, il solo COGNOME NOME, si sarebbe inopinatamente attribuito ad entrambi gli indagati il ruolo di intermediari nella compravendita di una grossa partita di sostanza stupefacente.
Aggiunge, altresì, che la pronunzia del Tribunale distrettuale presenterebbe analoghe criticità anche nella parte valutativa delle esigenze cautelari, essendosi erroneamente ritenuta operativa nei confronti dei predetti, indagati solo per un delitto-fine di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, la presunzione di sussistenza delle stesse, in quanto non risulterebbe apprezzata, come sarebbe stato, invece, doveroso fare, l’attualità del pericolo di recidivanza di cui si era affermata la sussistenza e si sarebbero indebitamente svalutate l’incensuratezza dello Strangio e la non particolare gravità dell’unico precedente esistente a carico del Nirta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi presentati nell’interesse di COGNOME NOME e di COGNOME NOME sono manifestamente infondati per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Destituito di fondamento è l’unico motivo dei ricorsi de quibus, con cui si lamenta l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 273 e 274 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, sostenendo che, nella decisione impugnata, non sarebbero state adeguatamente argomentate né la ritenuta sussistenza di gravità indiziaria in ordine al delitto-fine contestato, in quanto si sarebbe inopinatamente attribuito
ad entrambi gli indagati il ruolo di intermediari nella compravendita di una partita di droga, a fronte di un compendio intercettativo di tenore vago, riguardante, peraltro, il solo COGNOME NOME, né, tantomeno, l’affermata ricorrenza di esigenze cautelari, atteso che si sarebbe erroneamente ritenuta operativa, nei confronti dei predetti, la presunzione di sussistenza sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non si sarebbe tenuto conto della non attualità del pericolo di condotte recidivanti e sarebbero state immotivatamente svalutate la condizione di incensuratezza dello Strangio e la non particolare gravità del precedente esistente a carico del Nirta.
Rileva preliminarmente il Collegio che, nella materia cautelare, costituisce consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui «L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato» (così, ex multis, Sez. F, n. 47748 dell’11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01), atteso che il controllo della Suprema Corte non attiene alla ricostruzione dell’accaduto e non si risolve, per l’effetto, in un nuovo apprezzamento degli elementi probatori già effettuato dal giudice del fatto, sicché risultano inammissibili quelle censure che, pur attingendo formalmente la motivazione, si sostanziano nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già scrutinate dall’anzidetto giudicante.
D’altro canto, la giurisprudenza di legittimità ha altresì chiarito che «In caso di ribaltamento, da parte del tribunale del riesame, in funzione di giudice dell’appello “de libertate”, della precedente decisione del primo giudice, reiettiva della domanda cautelare, non è richiesta una motivazione rafforzata, in ragione del diverso “standard cognitivo” che governa il procedimento incidentale, ma è necessario un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale» (in tal senso, da ultimo, Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, COGNOME, Rv. 284982-04, nonché, in precedenza, Sez. 5, n. 28580 del 22/09/2020, M., Rv. 279593-01).
Perimetrato nei termini esposti l’ambito del giudizio di legittimità nella materia cautelare personale, è a dirsi che la doglianza dedotta con il motivo in oggetto non coglie nel segno.
Ciò perché non inficia la decisione assunta dal Tribunale distrettuale né la prospettata inosservanza delle evocate norme processuali, delle quali, per
contro
, s’è fatta applicazione in perfetta aderenza all’ermeneusi offertane dalla Suprema Corte, né, tantomeno, l’ipotizzato vizio motivazionale.
I giudici cautelari hanno infatti scrupolosamente valutato (alle pagg. 6-9 dell’ordinanza impugnata) il compendio indiziario a fondamento dell’avanzata richiesta cautelare, di cui, peraltro, era stato, in precedenza, omesso ogni scrutinio, giungendo ragionevolmente alla conclusione che la messagistica acquisita mercè l’intercettazione di criptofonini in uso a soggetti inseriti i maniera stabile nella consorteria criminale capeggiata dal coindagato NOME o, comunque, gravitanti nel medesimo contesto avesse disvelato, tra l’altro, la compravendita di una grossa partita di cocaina, del peso di 6 kg circa, avvenuta in data 28/11/2020, operazione rispetto alla quale gli indagati avevano funto da intermediari tra i venditori, identificati negli affiliati al sodalizio compratori, individuati in personaggi provenienti dalla Calabria.
Orbene, l’interpretazione delle plurime comunicazioni intercettate, grazie anche all’utilizzo da parte dei collocutori di un linguaggio per nulla criptico, risulta effettuata dai giudici della cautela in maniera del tutto logica e per nulla irragionevole, il che ne preclude, in radice, un nuovo sindacato in sede di legittimità, in ossequio al consolidato principio secondo cui «In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (così, da ultimo, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337-01, nonché, nello stesso senso, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389-01, Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, P.G., COGNOME e altri, Rv. 258164-01 e Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257784-01).
Analoghe considerazioni valgono per l’effettuata disamina del profilo preventivo, posto che i giudici dell’appello cautelare hanno motivatamente ribaltato la decisione gravata, con esplicita confutazione del percorso argomentativo del primo giudice che, illo tempore, aveva valorizzato la non attualità delle esigenze di cautela, rilevando, in specie, che la rilevanza dei traffici cui avevano preso parte gli indagati e le negative personalità degli stessi – attestata, quanto al Nirta, anche dal precedente penale esistente a suo carico – rendevano, oltre che concreto, anche attuale il pericolo di reiterazione, che risultava, peraltro, di intensità tale da richiedere, per quest’ultimo, l’applicazione del vincolo intramurario e per il coindagato Strangio la sottoposizione al meno afflittivo presidio autocustodiale.
D’altro canto, la decisione appare conforme al prevalente orientamento della
Suprema Corte che, nella subiecta materia,
ha avuto modo di precisare che
«In tema di misure caute/ari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto
dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del
giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che
tenga conto delle modalità realizza tive della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale e che deve essere tanto più
approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non deve altresì contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza»
(così, ex multis,
Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991-01).
Da ultimo, va poi evidenziato che correttamente, nella decisione del
Tribunale distrettuale, non si è attribuito rilievo alcuno alla duplice presunzione – di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza al loro contenimento del
solo presidio intramurario – prevista dal disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non riguardando essa il delitto-fine di cui si era ritenuta sussistente, a carico degli indagati, la gravità indiziaria.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che ciascuno dei ricorrenti versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 17/06/2025