Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26435 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26435 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a ROMA il 17/01/1987
avverso l’ordinanza del 13/11/2024 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lettetserkite le conclusioni del PG NOME COGNOME i e3,–e-) cavy>
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Roma ha accolto l’appello della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma avverso l’ordinanza in data 24 maggio 2024, con la quale il G.i.p. del medesimo Tribunale rigettava la richiesta della medesima Procura di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di tentato omicidio in danno di NOME COGNOME commesso, la notte del 10 novembre 2021, ferendo la vittima con un profondo taglio alla gola, in circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolarne la privata difesa, non ravvisandovi esigenze cautelari da tutelare. Detto Tribunale, nel riformare l’ordinanza genetica, ha, invece, ritenuto la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelari, applicando all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere.
Propone ricorso, tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME
2.1. Con il primo motivo di impugnazione si deducono violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza di un compendio gravemente indiziario, fondato solo su intercettazioni ambientali.
Dalle conversazioni intercettate, secondo la difesa, emergono esclusivamente dichiarazioni tra soggetti terzi, che, in assenza di riscontri esterni, non possono considerarsi sufficienti ad integrare i gravi indizi di colpevolezza in relazione al grave delitto oggetto di imputazione provvisoria.
Osserva, inoltre, il difensore che non vi sono elementi certi per individuare l’elemento soggettivo dell’animus necandi, non sussistendo referti medico-legali attestanti un evento lesivo compatibile con l’intenzione di cagionare la morte della vittima e non documentando le immagini di videosorveglianza l’aggressione e, comunque, la responsabilità del ricorrente, né risultando dalle stesse l’entità della ferita, l’arma utilizzata e l’effettiva localizzazione della lesione provocata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso vengono denunciati violazione di legge e vizio di motivazione in punto di valutazione degli elementi che hanno condotto all’identificazione nell’indagato (individuato come “NOME COGNOME“) dell’autore della condotta criminosa.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione vengono rilevati violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla mancata applicazione
della causa di giustificazione della legittima difesa, desumibile dalle stesse intercettazioni fondanti i ritenuti gravi indizi di colpevolezza e dalla dinamica degli eventi descritti.
2.4 Col quarto motivo di ricorso, relativo alle esigenze cautelari, vengono lamentati violazione di legge e vizio di motivazione con particolare riferimento al mancato rispetto del principio di proporzionalità nella scelta della misura cautelare.
Si evidenzia che nel caso di specie l’assenza di precedenti penali specifici, la debolezza del quadro indiziario e la distanza temporale dal fatto (di circa tre anni) avrebbero dovuto orientare verso una soluzione meno afflittiva rispetto alla custodia cautelare in carcere. Ci si duole che il Tribunale non abbia chiarito per quale motivo non fossero sufficienti gli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico e il divieto di comunicazione e di incontro.
Il difensore insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Disposta la trattazione scritta, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott. NOME COGNOME con requisitoria scritta, chiede il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Infondati sono tutti i motivi di impugnazione.
Va, invero, premesso, in riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di misure cautelari personali, che questa Corte è priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti e delle esigenze cautelari rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto.
Valutata alla luce dei suddetti principi l’ordinanza in esame supera il vaglio di legittimità, avendo il Tribunale del riesame motivato in modo
logico e coerente la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza a carico di COGNOME che delle esigenze cautelari.
Nel ritenere integrata la fattispecie di tentato omicidio ha evidenziato l’idoneità e la non equivocità degli atti compiuti dall’indagato, secondo un giudizio prognostico ex ante, a cagionare la morte della vittima e ha rilevato anche la sussistenza dell’animus necandi facendo buon governo dei principi della giurisprudenza di legittimità al riguardo, puntualmente richiamati nell’ordinanza impugnata.
Sottolinea l’ordinanza come l’accadimento per cui si procede veniva alla luce, nell’ambito delle investigazioni relative a un sodalizio criminale dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti operante nel quartiere di San Basilio in Roma, solo grazie all’ascolto delle conversazioni oggetto di intercettazione ambientale, poiché la vittima dopo l’aggressione si recava a casa di NOME COGNOME per chiedere aiuto, nel tentativo di occultare la vicenda alle forze dell’ordine, essendo raggiunta da ordine di carcerazione, rifiutando di andare in ospedale e cercando altri soggetti disposti a curarla senza dover ricorrere alla sanità pubblica. Rileva che nelle conversazioni ambientali del 10 novembre 2021: – COGNOME spiega a COGNOME, all’epoca sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, dall’uscio della casa del medesimo che l’aggressore gli aveva tagliato la gola venendo da dietro; – COGNOME, parlando con la sua convivente che è in casa, descrive le gravi condizioni della vittima “con la trachea de fori” aggiungendo che teme che non possa sopravvivere e che possa morire davanti a casa loro; – Bocca parla anche dalla finestra con diverse persone presenti fuori della sua abitazione e soprattutto recrimina a Hedhili, che risulta altresì presente nei pressi della sua abitazione, la gravità di quanto compiuto, invitandolo a soccorrere la persona offesa, e lo stesso gli riferisce di essere stato a sua volta aggredito da Hodaj. Osservano ancora ì Giudici del riesame che dalle conversazioni registrate il giorno successivo la stessa vittima descrive l’accaduto, commentando con COGNOME e la convivente l’aggressione subita, riferendo che vi era stata una lite con “Er COGNOME“, che lo aveva offeso e aveva insinuato che tra lui e la sua ragazza vi fosse una tresca amorosa, e che, nel corso della lite, egli aveva preso a schiaffi COGNOME, ma questi gli aveva dato un cazzotto da dietro e inferto una coltellata alla gola prendendolo alle spalle con un coltello seghettato; e che da dette conversazioni risulta che COGNOME è tuttora preoccupato delle condizioni di salute dell’amico, pallido per avere perso molto sangue e ancora sanguinante.
Il Tribunale rileva che non vi è dubbio circa l’effettivo verificarsi dell’aggressione, così come descritta dalla vittima e dagli interlocutori nelle conversazioni captate, della cui genuinità non è lecito dubitare, essendo i parlanti all’oscuro delle intercettazioni in atto; e che, peraltro, le dichiarazioni intercettate risultano riscontrate in più parti dalle immagini registrate dalle telecamere di videosorveglianza, che mostrano NOME tamponarsi la gola con le mani, lo stesso piegato sulle ginocchia per il dolore nei giardini condominiali e COGNOME mentre posiziona una sedia all’esterno dell’abitazione di Bocca.
Aggiunge che l’identificazione dell’aggressore, indicato dai parlanti come “NOME COGNOME“, nell’odierno indagato COGNOME è certa, emergendo da un’annotazione di servizio in atti del 3 aprile 2024 che la compagna dell’indagato, NOME COGNOME richiedeva l’intervento delle forze dell’ordine perché il compagno era andato in escandescenze, precisando che lo stesso era noto nel quartiere con lo pseudonimo di “NOME COGNOME“.
Osserva che vengono in rilievo indici fattuali dimostrativi dell’idoneità e non equivocità dell’aggressione compiuta dall’indagato a cagionare la morte di COGNOME oltre che dell’intento omicida sorreggente la condotta, avendo l’indagato attinto da dietro la vittima, prendendola alle spalle, facendo un movimento circolare finalizzato a tagliare la gola di COGNOME, per come palesato dalla fotografia in atti, nella quale è chiaramente visibile una grossa cicatrice che dal lato destro del collo arriva fino al pomo d’adamo.
Evidenzia che detti indici sono rappresentati dalla zona corporea attinta (la gola), che è una zona vitale dell’organismo, dalla pericolosità dell’arma utilizzata (un coltello a seghetto), dalla forza impressa al fendente, che determinava una copiosa fuoriuscita di sostanza ematica ed un profondo taglio alla gola, e dalla stessa gravità delle lesioni riportate; e che, d’altra parte, la volontà omicìdiaria veniva esplicitata dopo il fatto dallo stesso indagato, che nel successivo colloquio con COGNOME riferiva di volere portare a termine il suo proposito criminoso (“guarda stasera, mo faccio un macello…moro io e ammazzo pure a quello!…calcola che hai visto solo a cosa”).
Tanto rappresentato in punto di gravità indiziaria, passando alla valutazione delle esigenze cautelari il Tribunale del riesame, diversamente dal primo Giudice, le ravvisa, individuandole in particolare nel pericolo concreto ed attuale di reiterazione del reato desumibile dall’estrema gravità del fatto e dalla personalità violenta e pericolosa
dell’indagato, come manifestata in occasione della vicenda contestata, nonché desumibile dai precedenti specifici recenti di COGNOME, che risulta avere carichi pendenti per i delitti di lesioni aggravate e di atti persecutori commessi il 2 aprile 2022 e il 21 luglio 2023, tali da determinare la concreta immanenza del rischio che egli incorra in condotte violente del tipo di quelle per cui si procede.
Osserva, inoltre, che, tenuto altresì conto dei carichi pendenti dell’indagato per i reati di cui agli artt. 385 e 387 cod. pen., oltre che dell’uso di sostanze stupefacenti da parte di COGNOME, deve escludersi la concreta possibilità di confidare nella sua benché minima capacità di autocontrollo, sicché per contenere la spinta recidivante nessun’altra misura, inclusa quella degli arresti domiciliari, appare adeguata nel presente contesto.
A fronte di tale iter argomentativo, le censure di cui al ricorso si rivelano infondate, ai limiti dell’inammissibilità essendo in parte rivalutative e aspecifiche.
Infondata è, invero, la censura di cui al primo motivo circa l’assenza di riscontri al compendio captativo.
A tale riguardo va osservato che in tema di prove (e, quindi, a maggior ragione di gravi indizi di colpevolezza), il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 286150 – 04).
Nel caso in esame non solo si è adempiuto a tale obbligo, ma sono state, altresì, valorizzate, pur non essendo necessario, immagini di videosorveglianza a parziale riscontro del tenore delle conversazioni intercettate.
Altrettanto coerente con le evidenze investigative e non manifestamente illogica risulta essere l’individuazione di COGNOME come autore del delitto per cui si procede.
Inoltre, a fronte di una ricostruzione del fatto come sopra riportata, è evidente che i Giudici del riesame non si siano posti il dubbio della ricorrenza nel caso in esame dei presupposti della legittima difesa, considerata, comunque, la sproporzione tra gli schiaffi, che la vittima nel
corso delle conversazioni intercettate ammette di avere dato all’indagato, e la reazione di quest’ultimo.
Quanto, infine, alle esigenze cautelari, detti Giudici hanno adeguatamente motivato la sussistenza delle stesse anche in relazione
all’attualità, valorizzando oltre alla gravità del fatto anche i recenti carichi pendenti specifici di Hedhili, e, in relazione al principio di proporzione che
infondatamente si assume violato, i recenti carichi pendenti per evasioni e per reati di cui all’art.
387-bis e la circostanza dell’uso di sostanze
stupefacenti, che sorreggono la prognosi infausta in relazione a misure cautelari meno afflittive, ivi compresa la misura degli arresti domiciliari.
Profilo, quest’ultimo, con il quale l’ultimo motivo di ricorso, nell’insistere sull’adeguatezza degli arresti domiciliari con gli opportuni presidi, non si
confronta.
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vanno disposti gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2025.