Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38806 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38806 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dottoressa NOME COGNOME, che ha concluso per sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Subiaco il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 29-12-2023 del Tribunale di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 dicembre 2023, il Tribunale del Riesame di Venezia, per quanto in questa sede rileva, confermava l’ordinanza emessa dal G.I.P. d Tribunale di Padova il 7 novembre 2023, eseguita il 12 dicembre 2023, con la quale, nell’ambito di un articolato procedimento in tema di reati tributari, era stata applicata la misura degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME gravemente indiziato del reato di associazione a delinquere (capo 1) e dei reati fine ex art. 2 (capi 10 e 14), 5 (capo 8) e 8 (capi 7, 9 e 13) del d. Igs. n. 74 del 2000; fatti commessi in epoca compresa tra il gennaio 2017 e il gennaio 2023.
documentazione fiscale e contabile in possesso anche di COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
In via preliminare, occorre innanzitutto richiamare la consolidata affermazione di questa Corte (ex multis cfr. Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Rv. 281019 e Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Rv. 253511), secondo cui la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è infatti sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità sulla
responsabilità dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. Pertanto, tali indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 comma 2 cod. proc. pen., ed è per questa ragione che l’art. 273 comma 1 bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi. Quanto ai limiti del sindacato di legittimità, deve essere ribadito (sul punto tra le tante cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 Rv. 255460) che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità deve rimanere quindi “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, in ciò rientrando anche l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto al solo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, ovvero: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo dell’atto impugnato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1. Alla luce di tali condivise premesse ermeneutiche, occorre ribadire che il giudizio sulla gravità indiziaria formulato dal Tribunale del Riesame (e prima ancora dal G.I.P.) non presta il fianco a censure di irragionevolezza.
E invero, nel ripercorrere le risultanze investigative, i giudici cautelari hanno richiamato gli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza di Mirano, che, grazie anche agli esiti delle disposte intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, hanno consentito di rivelare l’esistenza di un sistema fraudolento, fondato tra l’altro sulla costituzione di numerose società dedite all’emissione e all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e all’omissione delle dichiarazioni fiscali.
Il principale metodo di evasione consisteva nella stipulazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE gestita dai coindagati NOME COGNOME e NOME COGNOME, di contratti di appalto con due società esterovestite che, in esecuzione di tali contratti, si limitavano a mettere a disposizione delle società committenti esclusivamente la forza lavoro formalmente assunta alle proprie dipendenze. Pur emettendo fattura per tali prestazioni, le appaltatrici non provvedevano ad adempiere ai conseguenti oneri fiscali, omettendo sia di presentare le dichiarazioni fiscali, sia di versare l’Iva e i contributi previdenziali. Le società estere (prima la RAGIONE_SOCIALE e da un certo momento la RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima amministrata di diritto dal padre ultraottantenne di COGNOME), oltre a essere prive di qualsivoglia autonomia finanziaria, risultavano inoltre gestite dagli stessi soggetti che controllavano le società committenti, le quali non solo ne nominavano i legali rappresentanti, ma esercitavano sulle stesse una continua ingerenza, anche per quanto riguarda la gestione dei rapporti lavorativi.
Le fatture emesse dalle società esterovestite, formalmente collocate all’estero, ma di fatto operanti in RAGIONE_SOCIALE, sono state quindi ritenute false, sia oggettivamente, perché riguardanti mera somministrazione di manodopera, come tale non soggetta a Iva, sia soggettivamente, in quanto in realtà riferibili alle prestazioni erogate dai lavoratori e non dalla società che tali prestazioni fatturava, per cui la finalit perseguita dai partecipi di tale sistema di false fatturazioni era quella di consentire alla RAGIONE_SOCIALE, unica società tra quelle coinvolte a essere realmente operativa e formalmente in regola con gli obblighi tributari, non solo di abbattere i propri costi, ottenendo prestazioni lavorative a un prezzo inferiore, ma anche e soprattutto di indicare elementi passivi fittizi nelle proprie dichiarazioni fiscali.
1.2. In tale scenario è emersa in particolare la posizione di NOME COGNOME. Questi era “il commercialista di fiducia del sodalizio” (cfr. pag. 14 dell’ordinanza impugnata) e costituiva un punto di riferimento insostituibile per l’associazione, mettendo a disposizione le proprie società e garantendo costanti consulenze volte a frodare l’Erario e gli istituti bancari, come desumibile dalla conversazione RIS 270/22, progr. 9569, in cui i coindagati programmano di affidare a COGNOME la predisposizione di falsi bilanci di alcune società, temendo che il commercialista di Modena (COGNOME è di Subiaco) non si rendesse disponibile a “fare porcherie”. Il contributo di COGNOME è stato quindi ritenuto fondamentale per l’esistenza del sodalizio, per cui è stato ritenuto sussistente il ruolo di organizzatore ascrittogli.
1.3. In definitiva, almeno per quanto riguarda la valutazione indiziaria tipica della fase cautelare e fatti salvi ovviamente gli eventuali sviluppi probatori nel prosieguo del procedimento penale in corso, occorre evidenziare che la valutazione sui gravi indizi di colpevolezza rispetto ai reati oggetto di imputazione provvisoria, in quanto fondata su considerazioni razionali e allo stato coerenti con le acquisizioni investigative, resiste alle censure difensive che, invero in termini non
sufficientemente specifici, sollecitano una differente lettura delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che non può trovare ingresso in sede di legittimità, dovendosi ribadire l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Rv. 269884), secondo cui il ricorso per cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero, come nella vicenda in esame, si risolvano in una valutazione alternativa delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
Ugualmente immune da censure è il giudizio sulle esigenze cautelari.
E invero il Tribunale del Riesame, nel ritenere sussistente il pericolo di reiterazione dei reati, unica delle esigenze ravvisate, ha rimarcato (pag. 16 ss. dell’ordinanza impugnata) il lungo tempo interessato dalle numerose condotte contestate, protrattesi per vari anni, essendo stato inoltre evidenziato che COGNOME, pur a fronte della sua formale condizione di incensurato, è stato più volte e anche di recente denunciato per associazione a delinquere, sostituzione di persona e diversi reati in materia tributaria, risultando inoltre il ricorrente debitore nei confron dell’Erario per una somma di oltre dieci milioni di euro.
È stata dunque ritenuta inevitabile l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, ciò in ragione dell’estrema scaltrezza dell’indagato nel perpetrare reati di natura tributaria, potendo COGNOME contare su plurime conoscenze nel settore.
Orbene, con tali considerazioni, non manifestamente illogiche, il ricorso non si confronta adeguatamente, per cui deve ritenersi che, anche in punto di esigenze cautelari, non vi sia spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive
Alla stregua delle argomentazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere dichiarato quindi inammissibile, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 08/05/2024