Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36757 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36757 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/03/2024 del Tribunale del Riesame di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del sostituto P.AVV_NOTAIO. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
Si dà atto che il ricorso è stato trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’ 23, comma 8, D.L. n. 137/2020 e del successivo art. 8 D.L. 198/2022.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28/29 marzo 2024 il Tribunale di Napoli sezione del riesame annullava il provvedimento cautelare del GIP del Tribunale di Napoli emesso il 4 marzo 2024, impugnato da NOME COGNOME, limitatamente al reato di cui al capo A) dell’imputazione provvisoria (ossia la contestazione ex art. 416-bis cod. pen.) ed, in riforma dell’impugnata ordinanza, quanto alla contestazione di tentata estorsione aggravata di cui al capo L), sostituiva la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Avverso la suddetta ordinanza, NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione eccependo la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione agli artt.56, 629, comma secondo, e 416-bis.1 cod. pen. In particolare, rileva che,dal provvedimento del Tribunale del Riesame lemergerebbe solo che NOME COGNOME sarebbe stato incaricato da NOME COGNOME e NOME COGNOME di estorcere del denaro a “RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE“, senza, però, fornire alcuna indicazione, non solo, di quali atti avrebbe mai posto in essere il COGNOME per realizzare l’azione criminosa, ma neanche alcuna precisazione circa l’effettiva idoneità dell’eventuale atto compiuto a perseguire l’obiettivo d costringere il soggetto ignoto alla dazione richiesta, rimanendo così del tutto incerto il dato probatorio in ordine al superamento della fase dei cosiddetti atti preparatori della condotta illecita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge e comunque manifestamente infondati.
In via preliminare, si rileva che la richiesta del 20/06/2024 da parte del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, di discussione orale è stata rigettata perché tardiva, in quanto successiva al termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza fissato dall’art. 611, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Il ricorso deduce, sotto i due diversi profili della violazione di legge e del vizio motivazione, l’insussistenza del presupposto della gravità indiziaria. Trattasi di eccezione inammissibile perché volta ad ottenere dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione una rivalutazione degli elementi di prova utilizzati dal giudice cautelare. Giova, infatt ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., n.11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828-01) hanno già avuto modo di chiarire che «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie». In motivazione, la Suprema Corte, dopo aver premesso che la richiesta di riesame ha la specifica
funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. pro pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza. Tale orientamento, dal quale l’odierno Collegio non intende discostarsi, ha trovato conforto anche in pronunce più recenti di questa Corte Suprema (ex ceteris: Sez.2, n.27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv.276976-01; Sez. 4, n.26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv.255460-01).
Ne consegue che «L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. La Suprema Corte ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei da probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito» (così, Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv.248698-01).
Orbene, nel caso in esame, l’ordinanza impugnata risulta aver adeguatamente analizzato tutti gli elementi indiziarikàVerli ricondotti ad unità attesa la concordanza con motivazione assolutamente logica e coerente, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente; in particolare, richiamato gli esiti delle indagini, evidenziando (in particolare da pag.9 a pag.12) che il coinvolgimento di NOME COGNOME nell’attività di estorsione emergeva senza dubbio da numerose conversazioni telefoniche tra NOME COGNOME e NOME COGNOME oggetto di intercettazioni, che avevano, poi, trovato conferma nelle dichiarazioni rese da quest’ultimo nel corso del suo interrogatorio del 22/01/2024. Infatti, COGNOME affermava quanto segue: «Nel mese di settembre 2023 NOME COGNOME dal carcere mi chiamò per dirmi che NOME imprese stava svolgendo dei lavori e avrebbe dovuto pagare la somma di 1.500 euro, e per
avvicinarlo dovevo avvalermi di questo tale NOME perché conosceva NOME. NOME convocò NOME presso il suo deposito dei camion, alla presenza di suo figlio, e chiese la sua la somma di 1.500 euro, e grazie all’intermediazione di NOME io ebbi 1.000 euro»; sempre nel corso del suo interrogatorio,COGNOME confermava (si veda pag.11 dell’ordinanza) che la vittima dell’estorsione, indicato come “RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE“, aveva consegnato i soldi estorti a NOME COGNOME.
Il Tribunale di Napoli, in forza di queste dichiarazioni, ha ritenuto che: «In definiti le propalazioni del COGNOME riscontrano il contenuto delle conversazioni che dimostrano il coinvolgimento di COGNOME NOME nel tentativo di estorsione contestato al capo L) della rubrica. Invero il COGNOME veniva incaricato da COGNOME NOME, tramite COGNOME NOME, di recarsi da “RAGIONE_SOCIALE” per farsi consegnare il provento dell’estorsione. La sua condotta ha certamente raggiunto la soglia del tentativo punibile alla stregua del contenuto delle conversazioni finora riportate, oltre che delle dichiarazioni rese dal COGNOME che ha espressamente indicato il COGNOME come colui al quale “RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE” consegnava il denaro».
Si osserva che dalle dichiarazioni accusatorie rese da NOME COGNOME non solo vi è la conferma di quanto emerge dalle intercettazioni, ossia che fu dato al ricorrente l’incarico di riscuotere le somme di denaro da una delle vittime delle varie estorsioni in quanto persona di sua conoscenza, ma vi sarebbe anche l’affermazione di aver ricevuto l’importo di 1.000,00 euro grazie all’intervento di NOME COGNOME, che quindi avrebbe riscosso quanto estorto a “RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE“. Nell’ordinanza impugnata, pertanto, non emerge alcun vizio di motivazione in quanto la gravità indiziaria è indicata con argomentazioni prive di contraddittorietà o manifesta illogicità, né sussiste alcuna violazione dell’art. 56 cod. pen. poiché sussistono gravi indizi anche della possibile consumazione da parte del ricorrente del reato di estorsione, seppure, al momento, contestato nella sola forma tentata.
Quanto alla valutazione della gravità indiziaria in fase cautelare, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare il principio, qui condiviso, secondo cui: gravi indizi di colpevolezza, necessari per l’applicazione di una misura cautelare personale, e la prova indiziaria, di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., operano su piani diversi, essendo sufficiente, nel primo caso, l’esistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza, indipendentemente dal tipo di prova acquisita, e occorrendo, invece, nel secondo caso, la prova critica, logica e indiretta del fatto, contrapposta alla prova diretta acquisibile con i mezzi previsti dal codice di rito» (così, tra le tante, Sez.2, 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv.284299-02; conf., Sez.4, n.12158 del 08/06/2021, COGNOME, Rv.281019-01). Pertanto, si ritiene che la circostanza, evidenziata anche dal Tribunale, sul fatto che «…..non sia
documentata l’effettiva riscossione» del denaro estorto, non rilevi nel caso di specie, non solo perché l’imputazione provvisoria è di tentata estorsione, ma anche perché il complesso degli elementi di prova a carico del ricorrente, solo in parte riportati sopra, depongono per una qualificata probabilità di colpevolezza di COGNOME, fatta salva, ovviamente, la verifica dibattimentale di quanto affermato da NOME COGNOME circa la riscossione del denaro estorto.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma in data 9 luglio 2024
Il Consigliere estensore